Il mostro invisibile

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Hart Miller chiamò il suo partner, il detective Renner, l'uomo che avevo conosciuto la notte del ritrovamento del corpo di Claire Goodway, e poi mi presentò Peter Mendes, il tenente. Era lui a capo dell'indagine. Salutò Ryan abbracciandolo e scambiarono alcune parole.
Poi, su autorizzazione di Mendes, Miller fece radunare una ventina di agenti. Il piano era recarsi nell'area mineraria tra Virginia e Saint Nicholas alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, che potesse aprire uno spiraglio di luce sull'uomo al quale stavamo dando la caccia.

Salii su un'automobile della polizia guidata da Miller, assieme a Ford e Ryan. I due detective non erano contrari alla mia presenza, ma Ryan spese alcune parole in mio favore. Disse che ero l'unico testimone, e che probabilmente ero più sicuro insieme a loro che in qualunque altro angolo della città, da solo. La verità era che mi sentivo orami parte di quel caso. Era ciò che finivo con il provare ogni volta, dopotutto. L'adrenalina che cresceva, di giorno in giorno. Sensazioni che avevo imparato a conoscere bene a New York.

Durante il tragitto nessuno parlò molto. Io ripensai a ciò che aveva detto Lyla all'ospedale. Quei suoni, quei rumori di traffico. Così vicini ma così lontani.

Non ero mai stato in quell'area. Sapevo che quelle miniere avevano ospitato per anni centinaia di lavoratori provenienti da Saint Nicholas e da parecchie altre cittadine vicine. Oggi era tutto diverso, i lavori erano terminati da tempo e l'intera zona era quasi abbandonata.

Impiegammo una ventina di minuti per arrivare a destinazione. Miller ordinò agli agenti di dispiegarsi in ogni punto dell'area e di esaminare tutto: gli ingressi delle miniere abbandonate, le zone agibili, il terreno e l'eventuale presenza di tracce o impronte di qualunque tipo.

Vidi gli uomini radunati da Miller, che alla fine erano diventati una trentina, spargersi ovunque intorno a noi. C'erano anche diversi cani e un paio di agenti della Scientifica. Tuttavia non sapevo quanto quel dispiegamento di forze sarebbe stato produttivo. Ci stavamo pur sempre basando sulle parole di una ragazza sotto shock, in stato confusionale, terrorizzata. Poteva trattarsi anche di un'illusione del suo cervello; qualcosa che magari inconsciamente lei aveva creato per cercare un filo di speranza al quale aggrapparsi quando si era trovata faccia a faccia con l'assassino.

Io, Ryan e Miller ci guardammo intorno. Il posto era isolato. La superstrada dei minatori correva sopra le nostre teste, non troppo distante dal punto in cui ci trovavamo. Da lì, riuscivamo a sentire in modo nitido il rumore del traffico.

Dall'interno di uno qualsiasi degli accessi minerari, i rumori del traffico si sarebbero uditi esattamente come Lyla li aveva descritti.

Gli ingressi che conducevano alle miniere erano bloccati, proprio perché i lavori erano terminati da tempo. Sapevamo che in ogni caso per il nostro uomo quello non sarebbe stato un problema: la ricerca di un possibile varco sarebbe stata lunghissima.

La notte infatti giunse in fretta, ma non fu trovato nulla. Erano state forzate le entrate chiuse e poi erano state esplorate tutte le aree, fin dove possibile. Non c'era niente che facesse pensare alla presenza di uomini o donne là sotto in un periodo recente. Nessuna traccia di vita umana, nessun segno del passaggio di qualcuno in quel buio incredibile.

Mi trovavo all'interno di una di quelle miniere insieme a Ryan e Miller, mentre Ford coordinava gli altri agenti impiegati nelle ricerche.

Guardai i due uomini che erano con me, poi chiusi gli occhi.

<<Di giorno il traffico è più intenso. Ma anche adesso lo possiamo sentire>> disse Ryan.

Era così. Sentivamo il rumore delle automobili in lontananza, ed era davvero ovattato come Lyla l'aveva descritto. Vicino e lontano al tempo stesso.

<<Lei doveva essere qui, da qualche parte>> disse Ryan, appoggiando una mano su una parete. L'unica parte accessibile delle miniere, però, era quella iniziale. Non era possibile andare oltre, perché erano bloccate dalla pietra. Oltre quei blocchi non poteva esserci nessuno. Ma il suono che sentivamo era davvero come l'aveva descritto lei. C'era una possibilità che ci trovassimo nel posto giusto.

Uscimmo dalla miniera. Fuori la notte era davvero buia, adesso. Nera e gelida.

Mi guardai intorno. Ryan si accese una sigaretta e come me rimase immobile a osservare ciò che ci circondava.

Il movimento incessante degli agenti, avanti e indietro. I cani. Le voci. Tutte quelle forze dispiegate insieme, alla ricerca di un mostro invisibile.

All'improvviso, ebbi un presentimento terribile. Da buon cronista di nera sapevo bene che il mio intuito era sempre stato la mia arma migliore. Difficilmente sbagliava. E adesso, mentre mi continuavo a guardare intorno e continuavo ad osservare tutti quegli uomini riuniti a dare la caccia a un fantasma, una voce mi sussurrava che c'era qualcosa che non quadrava.

Lyla rapita e poi lasciata andare.
I rumori della superstrada erano nitidi dalla miniera, e lei li avrebbe sentiti. Ce ne avrebbe parlato. Era ciò che aveva fatto.


Non si trattava di un particolare che sarebbe potuto sfuggire all'assassino.

Posai ancora una volta gli occhi su tutti gli agenti intorno a noi.

Sentii i rumori, i passi, le voci che si sovrapponevano.

L'assassino lo sapeva. Sapeva che saremmo arrivati alle miniere.

Lo sapeva. Forse, lo voleva.

Un brivido di terrore corse lungo tutta la mia schiena.

Presi il telefono e composi il numero di Marianne.

Era spento.

Lo stavo per comporre di nuovo, quando Miller, che era accanto a me, ricevette una chiamata.

Vidi le sue labbra che si muovevano.

Poche parole concise.

L'attimo dopo, il suo volto era diventato una maschera di orrore.

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora