Lo sconforto dei sopravvissuti

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Era una scena alla quale avevo assistito tante volte, ormai.

Gli agenti che entravano tutti insieme, le voci che si accavallavano, il locale che veniva isolato, i primi accertamenti, le prime verifiche.

Tutto ciò che restava dopo quel viavai, sulla scena di un crimine, in genere era soltanto lo sconforto dei sopravvissuti.

In questo caso nessuno di noi era sconfortato per la morte di Thomas Lee Greyson. In realtà, non credo che sapessimo che cosa provare, come sentirci.

Dopo che tutte le procedure di routine furono effettuate, tornai verso la Jeep.

Era notte inoltrata ormai, ma non sarei riuscito a resistere oltre. Dovevo raggiungere Marianne.

Miller rimase al Western Motel per riuscire a parlare con tutti i clienti e per ascoltare ancora il portiere - proprietario. Ryan, invece, volle venire con me.

Durante il tragitto non parlammo molto. Eravamo entrambi scossi dalle vicende delle ultime ore. Ryan teneva lo sguardo fisso sulla strada davanti a noi. Io pensavo a Marianne.

Quel caso mi aveva devastato. C'erano tanti interrogativi per i quali non ero ancora riuscito a trovare una risposta.

Pensai a Ray. Mi aveva detto che il serpente avrebbe dovuto far soffrire e uccidere me, e al tempo stesso continuare quello che era stato il lavoro che lui, anni prima, aveva iniziato. Non aveva confessato nessun delitto, ma io ero certo che lui fosse colpevole degli omicidi avvenuti tra il 2003 e il 2006. Le sue allusioni erano state chiare. Così come era chiaro che Lee Greyson fosse uno squilibrato. Era stato in qualche modo assoggettato da Ray. Probabilmente aveva subito il "fascino" di quelle che erano state le sue imprese anni prima, e poter continuare quell'opera doveva essere stato una sorte di onore per lui. Ora che era morto, di tutta quella follia rimaneva il sangue essiccato. Non era il sangue delle vittime, però. Era quello dei loro genitori, dei loro fratelli e delle loro sorelle. Dei fidanzati, dei futuri mariti e dei futuri figli.

Per quel tipo di dolore non esistevano cure. Le ferite dei sopravvissuti non sarebbero diventate cicatrici. Sarebbero rimaste aperte per sempre, e avrebbero bruciato per sempre.

<<Non credi che Lee Greyson si sia ucciso, vero, Ryan?>>

Glielo domandai anche se conoscevo già la risposta.

Sapevo che era difficile per una persona tagliarsi la gola arrivando quasi fino in fondo.

<<Non ha importanza, adesso>> disse Ryan. Non c'erano sfumature nella sua voce. Nulla a indicarmi come si sentisse davvero.

Rimasi in silenzio, lo guardai.

<<Dopo la morte di mia figlia ho cercato per anni delle risposte. Avevo una famiglia fantastica, una moglie bellissima. Mi svegliavo presto, andavo a lavorare, tornavo a casa la sera. Dopo gli omicidi di quelle ragazze, e dopo quello di mia figlia, è cambiato tutto. Non mi sono arreso, non ho smesso di credere in Dio, ma ho cominciato a credere molto di più nel destino.>>
<<Nel destino?>>
<<Già. Thomas Lee Grayson è morto. Un pezzo della feccia che ricopre la terra in cui viviamo non è più tra noi. Forse qualcuno l'ha ucciso, e noi continueremo a cercare. Non ci fermeremo. Io non mi fermerò.>>

Lo guardai.

Mi resi conto, in quel momento più che mai, che Ryan Cooper avrebbe lottato contro quei demoni per tutta la vita.

<<Per stanotte, però>> disse, spostando gli occhi su di me per un istante, <<non voglio più pensare a tutta questa storia. Per stanotte ho bisogno di sapere che qualcosa di buono può ancora accadere.>>

Annuii. Pensai per un secondo alla madre di Ray Dwight, Evelin Perth.

La ballerina.

Pensai a Norma, la ragazza che era con lei nelle fotografie. Stavo ancora aspettando che David Hattinson, dal giornale, mi fornisse le informazioni che la riguardavano e di cui avevo bisogno.

Stavo per dire qualcosa a Ryan, quando la Jeep si fermò.

Eravamo arrivati all'ospedale.

Sentii il cuore accelerare i battiti e le mani sudare. Avevo cercato di rimandare il più a lungo possibile quel momento, perché la verità era che avevo troppa paura. Avrei voluto trovare scuse o giustificazioni, ma non ne avevo più. Ero paralizzato.

Ryan mi guardò.

<<Avanti, Ethan. Andiamo.>> Lo disse come un padre l'avrebbe detto al figlio che avesse un bisogno folle di una rassicurazione di qualche tipo. E fu proprio quello che mi sembrò Ryan, per un attimo, in quel momento. Un padre.

Scendemmo dalla Jeep, entrammo nell'ospedale. Salimmo al terzo piano, dove l'avevano portata insieme all' altra ragazza trovata nel tunnel dentro la montagna.

Nel momento esatto in cui le porte scorrevoli dell'ascensore si aprirono, vidi i genitori di Marianne seduti su una delle tante panche della sala d'attesa.

Il padre sorreggeva la madre, che non riusciva a smettere di piangere.

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora