L'inferno che sorride

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Finimmo di cenare e Ryan pagò per tutti.
Eravamo stati bene: la cucina di Sora Giuliana era ottima e l'accoglienza straordinaria.
Erano quasi le due del mattino. Il treno che la mattina successiva ci avrebbe portato ad Alessandria sarebbe partito per le undici, e ci rendemmo conto che era ora di raggiungere l'hotel.

Così salutammo la proprietaria della trattoria e ci avviammo a piedi.

Faceva freddo, ma abituati al gelo del Canada, il clima ci sembrò ottimo. Marianne in particolare sembrò apprezzare l'aria del Lazio.

Arrivammo in albergo, prendemmo le chiavi delle due stanze prenotate da Ryan e salimmo al secondo piano in ascensore.

Una camera sarebbe stata per Marianne, l'altra per me e lui.

Ci augurammo la buonanotte e ci salutammo.

Seguii Ryan in camera, a turno ci facemmo una doccia e quando fummo pronti per dormire, ci rendemmo conto che nessuno dei due aveva sonno.

Ryan sedette sul letto, aprì leggermente la porta vetrata del balcone accanto a sé e accese una sigaretta.
Me ne offrì una e anche se non fumavo da anni, accettai.

<<Pensi che stiamo facendo la cosa giusta?>> gli domandai.
<<Riguardo cosa?>>

Scossi la testa.

<<Questo viaggio in Italia. Alessandria, Valenza, il ciondolo. Tu credi davvero che andare laggiù... ci condurrà a delle risposte?>>

Ryan alzò le spalle.

<<Non abbiamo altro su cui lavorare, Ethan. Quel ciondolo... deve avere un valore per l'uomo che stiamo cercando. È importante per Ray. Se troviamo chi l'ha fabbricato, abbiamo buone possibilità di scoprire qualcosa sulla persona che sta uccidendo quelle ragazze.>>

Sapevo che era così. Ma mi sembrava tutto surreale. Inspirai lentamente il fumo e lasciai che la cenere cadesse nel posacenere sul comodino.

<<Che cosa pensi di fare con lei?>> mi domandò Ryan, senza guardarmi.

<<Non lo so. Lei è il motivo per cui mi sono trasferito a Virginia. Ho commesso diversi errori quando stavamo insieme. Mi sono reso conto di quanto Marianne fosse importante soltanto quando alla fine l'ho persa. Ma dicono che funzioni sempre così, no?>>

Lui annuì. Spense la sigaretta, si alzò e si soffermò ad osservare la strada silenziosa sotto di noi.

Iniziò a parlare lentamente, quasi scandendo le parole. Lo sguardo continuava ad essere fisso oltre il vetro.
<<Quando io e Karen ci siamo lasciati è stato terribile. Il periodo più difficile di tutta la mia vita. Mia figlia era appena morta, ed io mi sentivo...vuoto. Sì, un involucro vuoto. Un contenitore da gettar via, inutile. Ero perso. Non ero in grado di convivere con me stesso. Come potevo pretendere di farlo con un'altra persona? Così ho scelto la strada più semplice. Me ne sono andato.>>
Fece una pausa, mi guardò.
<<Poi mi sono reso conto che la soluzione più facile non è sempre quella più giusta.>>
<<Lei ti manca, non è vero?>>
<<Tantissimo. Perché eravamo innamorati. Eravamo una famiglia normale. Una famiglia tranquilla. Ma mi sembra che sia trascorsa una vita intera dal giorno in cui tutto è cambiato.>>
<<Non hai mai pensato di riprovarci? Con lei, voglio dire.>>
Lui scosse la testa, tornò a sedersi sul letto.
<<Ci ho pensato, ma non ho mai trovato il coraggio per farlo. Per farlo davvero, voglio dire. Ogni volta mi sembra di essere sull'orlo di un precipizio. Basta un singolo passo, e posso scivolare nel vuoto. Oppure posso indietreggiare un po', ma anche in quel caso non sono in salvo. Perché se mi allontano dal baratro, riesco a vederli bene.>>
<<Chi?>> gli chiesi.
<<I demoni. Tutto ciò che non ho dimenticato. Quella parte di dolore che non mi abbandonerà mai. Vedo il male, fermo sul ciglio. È l'inferno che sorride.>>
Fece una pausa, poi riprese.
<<Questa è la mia vita, oggi. Sospesa a metà tra un burrone nero, senza fine, e l'inferno.>>

Lo guardai. Pensai alle sue parole. Era bastata una singola notte a devastare per sempre l'esistenza di una famiglia intera.
Scrutai a fondo i suoi occhi: incutevano timore. Se mi soffermavo un po' di più su quello sguardo, riuscivo a scorgere tutta la voglia di giustizia che Ryan si portava dentro. Trovavo il dolore. La rabbia. Lo sconforto.

Erano tutti sentimenti che non mi toccavano in prima persona, eppure in quel momento, e in quei giorni più in particolare, avevano incominciato a sembrarmi così reali.
Così... vicini.

Ryan spense la sigaretta, si spostò e si mise sul lato del letto dove avrebbe dormito.
Stavo per fare lo stesso, quando sentimmo bussare alla porta.

Ryan si alzò e andò a controllare.

Aprì, e il volto di Marianne fece capolino.

I nostri occhi si incrociarono per una frazione di secondo.

<<Ethan!>> disse Ryan, ad alta voce.

Mi alzai e li raggiunsi.

Marianne mi guardò ancora.

<<Non riesco a dormire, Ethan. Ti andrebbe di...>>

Si interruppe, e Ryan mi fece un cenno con la testa, come a dirmi di muovermi.

Uscii dalla stanza e seguii Marianne nella sua.

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora