Qualcuno alla porta

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Arrivammo sotto la palazzina in cui abitavo. Ci salutammo e poi Hart Miller chiamò il suo partner, Steven Renner, che lo venne a prendere. Attesi con lui l'arrivo del suo collega, e durante quei minuti che trascorremmo insieme mi parlò ancora di Ryan Cooper. Mi disse che dopo l'omicidio della figlia aveva lasciato il dipartimento di Polizia di Virginia, si era separato dalla moglie ed era andato a vivere a New York, la mia città natale. Erano cinque anni che non aveva sue notizie. L'omicidio di sua figlia, Natalie Cooper, diciotto anni, era stato l'ultimo. Dopo di lei, il silenzio. Nessun altro caso che avesse qualcosa in comune con il mondo della danza, nessun'altra ragazza rinvenuta in quel modo.
C'erano stati altri delitti simili durante gli anni a seguire, sia in Pennsylvania che negli Stati confinanti, ma non erano state trovate connessioni con i tredici casi che, ad oggi, erano ancora senza un colpevole.

Quando Renner arrivò ci salutammo ed io salii nel mio appartamento.
Accesi la luce, presi una birra dal frigo e accesi il portatile.

Digitai il nome della prima vittima, la ragazza assassianta a Virginia nel 2003, Gloria Stewart, e lessi tutti gli articoli su di lei che riuscii a trovare.

Era una ballerina professionista. Aveva 21 anni. Era stata trovata morta esattamente come la ragazza che la notte precedente avevo rinvenuto io: indossava un abito bianco ed era distesa sul palcoscenico della stessa scuola di ballo, dove aveva molte conoscenze.
Era stata uccisa la notte del dodici novembre del 2003.

Novembre.

Più o meno in questo periodo. Guardai il calendario sul monitor e vidi che segnava la data del sedici.

Era stata uccisa nello stesso modo in cui in seguito sarebbero state uccise le altre ragazze.

Gola tagliata, trucco sul viso, abito bianco.

I giornali la descrivevano come una professionista seria e con un futuro brillante davanti a sé.

Mi chiesi da dove potesse essere nata tutta quella follia, e in che modo.

L'assassino era legato a lei, la conosceva?
Oppure era legato al mondo della danza, e lei era stata la molla che aveva fatto scaturire qualcosa di incontrollabile nella sua mente?

Non ne avevo idea.

Pensai alla mail che avevo ricevuto e al consiglio di Miller di lasciare la città. Forse sarebbe stato giusto seguirlo, ma ero scappato da New York perché senza Marianne mi sentivo perso. Triste e solo. Eppure non l'avevo ancora nemmeno chiamata. Neanche una telefonata durante i due mesi che avevo già trascorso a Virginia.

Mandai giù un sorso di birra, presi in mano il telefono e scorsi la rubrica fino al suo nome.

Marianne.

Fui sul punto di premere il tasto della chiamata, poi, d'improvviso, mi fermai.

Ripensai ancora una volta alle parole di Miller. E se contattarla o incontrarla avesse davvero voluto dire metterla in pericolo?

Posai il cellulare e scossi la testa.

Mi strofinai gli occhi e mi resi conto di essere affamato.

Mi ricordai di avere visto, mentre mi recavo al giornale, una serie di bancarelle lungo la strada. Come un mercato, o una fiera. Qualcosa che durante gli altri giorni, in ogni caso, non c'era.
Ricordai il profumo di ciambelle e gli hot dog dei venditori ambulanti, e decisi che sarei uscito per comprare del cibo. Poi, dopo aver mangiato, avrei scritto l'articolo per Hattinson.

Presi il cappotto, lo infilai e mi preparai ad uscire.

All'improvviso, il campanello di casa suonò.

Un unico suono breve, che però mi fece sobbalzare.

Mi avvicinai alla porta, guardai dallo spioncino ma non vidi nessuno.

Appoggiai una mano sulla maniglia e, lentamente, aprii.

Guardai fuori, sul pianerottolo.

Silenzio. Nessuno.

Avevo immaginato tutto?

Tornai in casa, richiusi la porta.


Presi il telefono e, senza sapere per quale motivo, andai sul numero di Miller.

Stavo per chiamarlo quando, nel silenzio, una voce forte, tagliente e acuta, stridula, esplose in un grido terrificante.

<<Ethan!>>

Fu tutto ciò che sentii.

Poi, di nuovo il nulla.

Ero paralizzato. E non era tanto il fatto che quella voce che non conoscevo avesse pronunciato il mio nome a sconvolgermi, quanto quel tono.

Era talmente acuto da sembrare quello di un bambino.

Mi avvicinai, con il cuore che andava a mille.
Appoggiai la mano sulla maniglia e guardai dallo spioncino.

Nessuno. Poi, di colpo, sentii tre colpi fortissimi contro la porta. Come tre pugni in rapida successione, uno dietro l'altro.

E poi, ancora una volta, quella voce stridula, isterica, acuta.

<<Ethan!>>

Non riuscii a reagire. Non riuscii nemmeno a muovermi. Dopo qualche secondo, cercando di trattenere il respiro, di non far rumore, guardai attraverso lo spioncino: non vidi nessuno.

Aprii, uscii sul pianerottolo e sentii il rumore di passi di qualcuno che stava scendendo le scale del palazzo.

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora