<<Perché dovrebbe funzionare tra noi, Ethan?>>
Ero rimasto in silenzio, ad osservare la neve che ricopriva l'erba di Central Park. Eravamo nel bel mezzo dell'ennesima crisi. Non volevo perderla, ma non sapevo che cosa rispondere.
<<Non preghiamo per avere la neve, no? Ci incazziamo, se nevica. Pensiamo alle strade bagnate, sporche, pericolose. Non ci sentiamo a nostro agio quando la attraversiamo a piedi. Eppure guardala. Com'è?>>
<<Magnifica.>>
<<Sai a che cosa penso, quando la guardo? A tutte le seccature che mi ha provocato. A tutti i fastidi. Al freddo. E poi, nello stesso istante, mi rendo conto di una cosa. Ne è valsa la pena. Ne vale la pena. Ecco, credo che io e te siamo come la neve.>>
Marianne mi aveva guardato e non aveva risposto nulla. Aveva teso la mano verso la mia e avevamo incominciato a camminare in silenzio, attraverso il parco. Ci eravamo resi conto che, in quel momento, non serviva altro. C'erano stati i litigi, la rabbia, il silenzio; poi, d'improvviso, eravamo rimasti soltanto più noi due. Con le nostre incertezze e le nostre ammaccature, con i lividi e i rimpianti, con le speranze e i sogni più grandi. Ed era perfetto così.
L'amore non era altro, per me.
L'amore era Marianne.
Ryan mi camminava vicino mentre raggiungevo Gerard e Alice, i genitori di Marianne. Li abbracciai. Non li vedevo da parecchio tempo. In passato avevamo trascorso spesso le feste di Natale a casa loro, tutti insieme. Mi avevano sempre voluto bene.
<<Lei come sta?>> domandai, con la voce che tremava.
Alice scosse la testa, con il volto rigato dalle lacrime, mentre Gerard le teneva una mano intorno alla vita.
<<Ci hanno chiamato... dall'ospedale. Ci hanno detto che era imbottita di farmaci, incosciente. Non sappiamo altro. Non abbiamo più saputo nulla. Non so neanche da quanto siamo qui. Io...>> si interruppe, perché il pianto le spezzò la voce in gola.
<<C'era la polizia quando siamo arrivati. Ci hanno detto qualcosa su un rapimento, ma non abbiamo capito. È stato tutto così confuso. Hanno detto che avremmo dovuto parlare con chi si occupava del caso, e che sarebbe successo presto. Vorrei soltanto sapere che nostra figlia sta bene.>>
Guardai Gerard, e Ryan gli posò una mano su di una spalla.
<<Sua figlia...>> disse, poi si fermò. <<Lei ce la farà.>>
Non sapevo come potesse esserne così sicuro. Credevo che non lo fosse, a dire il vero. Avevo la sensazione che Ryan si stesse aggrappando con tutta la forza che aveva dentro ad una speranza lontana, fragile.
Osservai gli infermieri e i dottori che percorrevano il corridoio di fronte alla sala d'attesa. Speravo sempre che qualcuno venisse verso di noi, o ci chiamasse, per dirci qualcosa, eppure non capitava mai. Sentivo la tensione aumentare dentro, stravolgendomi, distruggendomi, facendomi a pezzi. Le mani continuavano a sudare, il cuore correva all'impazzata. Mi sembrava che l'aria mi mancasse. Guardai fuori da una delle grandi finestre la neve che aveva ripreso a cadere.
Mi ci avvicinai e Ryan mi seguì. La aprii, mi affacciai. Chiusi gli occhi per un istante e lasciai che l'aria gelida di dicembre mi entrasse nei polmoni, sperando di calmarmi.
<<Ho paura, Ryan>> dissi, sottovoce.
Lui mi scrutò con aria seria. Poi, di secondo in secondo, mi parve che la sua espressione cambiasse, alleggerendosi. Alla fine, mi sorrise. Non capii per quale motivo, ma quel semplice gesto mi tranquillizzò. Durò soltanto per un attimo, poi scomparve dal suo volto.
<<Abbi fede>> mi disse. <<Se c'è una cosa che ho imparato, è che ci sono momenti in cui non possiamo fare davvero nulla. Soltanto credere. Ed io ho bisogno di credere che ci sia ancora un po' di luce, da qualche parte.>>
Lo guardai senza dire nulla. Ma il mio cuore rallentò i battiti ed io mi sentii un po'meglio.
La neve era così silenziosa.
Quella sera, dopo aver passeggiato per Central Park, eravamo tornati al nostro appartamento. Avevo cucinato qualcosa. Poi avevo stappato una bottiglia di vino rosso e preso due calici. Ci eravamo seduti sul divano e Marianne si era appoggiata con la testa al mio petto. Avevo sentito ogni suo respiro.
La vita era perfetta, eppure avevamo lasciato che qualcosa si spezzasse.
Avevo lasciato che qualcosa si spezzasse.
Come avevo potuto farlo?
Se Marianne fosse morta, quel senso di colpa avrebbe ucciso anche me. Lo sapevo, ne ero certo. Mi avrebbe inseguito per sempre, e alla fine mi avrebbe soffocato. Non avrei mai imparato a convivere con il dolore. Se invece fosse sopravvissuta, avrei cambiato tutto. Avrei stravolto il mio mondo. Sì, l'avrei fatto davvero.
Mi ritrovai affacciato a quella finestra a pregare, mentre la neve continuava a colorare la città di bianco, e mentre Ryan continuava a restarmi accanto.
Se lei si salverà, cambierò tutto. Giuro che lo farò. Giuro che...
Sospirai, chiusi gli occhi, cercai di allontanare qualsiasi altro pensiero dal mio cervello. All'improvviso, la voce di un infermiere alle mie spalle mi fece voltare di scatto.
Era un ragazzo sulla trentina, e stava parlando con Alice e Gerard.
Io e Ryan ci affrettammo verso di loro.
Li raggiungemmo, guardammo prima lui e poi i genitori. Subito dopo, una porta nel corridoio si aprì e un uomo con il camice bianco si abbassò la mascherina e si avvicinò a noi.
<<Dottor Frank Goodspeed>> disse, tendendoci la mano. <<Voi siete i genitori?>>
<<Sì>> rispose il padre di Marianne. Poi gli disse che avrebbe potuto parlare anche di fronte a me e a Ryan.Quella breve attesa fu il momento peggiore della mia vita.
<<Lei è viva>> disse, con un sorriso lieve, appena accennato, sulle labbra.
Ed io pensai alla neve.
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La ballerina
Mystery / ThrillerEthan Welback, giovane giornalista di successo di New York, viene lasciato dalla ragazza che ama, Marianne. Deciso a riconquistare il suo cuore, abbandona il lavoro presso uno dei quotidiani più importanti della metropoli e si trasferisce a Virginia...