Porto Cesareo

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La prima cosa che mi colpì quando la mattina seguente il nostro aereo atterrò a Brindisi fu il colore del cielo. Un azzurro così intenso e limpido da riempire completamente i miei occhi. Non faceva freddo, ed era difficile credere che fosse dicembre. Il sole splendeva alto e pieno sopra di noi, illuminando ciò che ci circondava.

Chiamammo l'ennesimo taxi e spiegammo al tassista dove fossimo diretti diretti. Porto Cesareo.

Durante il tragitto ci facemmo molte domande. Pensammo a ciò che Miller ci aveva raccontato sull'ultima vittima, Laura Warren. Ritornammo anche alle parole di sua sorella Stephanie sull'uomo che, con buona probabilità, doveva essere l'assassino.

Non riuscimmo a trovare alcuna connessione logica tra quell' ultimo omicidio e i precedenti. Se non avessi ricevuto personalmente il messaggio che mi indicava il luogo in cui sarebbe stato rinvenuto il corpo, non avremmo mai collegato quella morte all'uomo che stavamo cercando.

Era tutto assurdo. La persona che stavamo cercando sembrava aver smesso di seguire il proprio schema, in un certo senso. Ma per quale motivo? Che cosa significava?

Nessuno di noi ne aveva la più pallida idea.

Non impiegammo molto a raggiungere Porto Cesareo. Gradualmente, il grigio della zona aeroportuale di Brindisi era stato sostituito dal verde scuro di file sterminate di ulivi tutto intorno a noi.

Dopo aver percorso alcuni tratti di strada sterrata, attraverso una zona che quasi non sembrava neanche marittima, il mare spuntò senza preavviso di fronte ai nostri occhi, sorprendendoci. Era una tavola piatta e immobile, sconfinata, di un blu scuro deciso, forte, vivo.

La cittadina dove avremmo cercato Carlo ed Edoardo si affacciava sulla riva, e il porto che le dava il nome era bellissimo. Piccolo e in un certo senso romantico. Barche di diverse dimensioni ormeggiate ovunque, a tratti nascoste dalle bancarelle di venditori ambulanti che offrivano di tutto ai passanti.

Roberto aveva contatto telefonicamente suo fratello Edoardo, per annunciargli il nostro arrivo, ma ci aveva lasciato detto di non averlo trovato. Era probabile che fosse in mare con il padre, e così ci auguravamo che fossero appena tornati, o che quantomeno tornassero a breve. Avevamo l'indirizzo della loro abitazione, e chiedemmo al tassista di condurci lì.

Pagammo, lo ringraziamo e ci guardammo intorno.

L'aria aveva un buon profumo. Osservai Marianne. La notte scorsa, dopo il bacio che ci eravamo scambiati a Torino, non era più successo nulla tra noi. Avrei voluto bussare alla porta della sua stanza, ma non l'avevo fatto. Mi ero ripromesso che se quella storia fosse dovuta tornare in vita, sarebbe stato opportuno non affrettare le cose. Un passo dopo l'altro. Lei mi guardò, e accennò un sorriso. In profondità dentro di me, sentivo che era felice di trovarsi in Italia con noi. E non era così perché lei me lo avesse detto, no. Era l'istinto a suggerirmi di essere sulla strada buona.
Era una bella sensazione, nonostante tutto.

Raggiungemmo l'abitazione di Carlo ed Edoardo. Era una casa bianca, autonoma, piccola e squadrata, con buona probabilità molto vecchia. Ma era affacciata direttamente sul mare, e tanto bastava a renderla perfetta. Si trovava a pochi metri dalla piazza principale della cittadina ed era situata vicino a diversi hotel, negozi e ristoranti. Se ci fossimo dovuti fermare più a lungo del previsto, se non altro, non avremmo fatto fatica a trovare una sistemazione. Ciò che mi stupì in un primo momento fu la forma del tetto, poi mi guardai intorno e mi resi conto che quella particolarità, in realtà, accomunava tutte le abitazioni del posto. Non era un tetto triangolare, come quelli di Torino o degli Stati Uniti. Era quadrato, piatto, come certi tetti che avevo visto in California. Mi resi conto che la neve, in Puglia, non doveva essere un grande problema. E in effetti il clima non sembrava affatto invernale.
Ci avvicinammo alla porta principale e suonammo il campanello, sul quale c'era scritto soltanto "Salviati".

Sentii un brivido percorrere veloce tutta la mia schiena.

Da Ray Dwight rinchiuso in un carcere della Pennsylvania a Carlo ed Edoardo Salviati, residenti a Porto Cesareo. Quel caso ci aveva condotti in poco tempo fin lì. Ed era una sensazione strana. L'idea che stessimo davvero facendo qualcosa di concreto per qualcuno, forse. Qualcosa di giusto.
Purtroppo, però, il campanello suonò a vuoto.

<<Dannazione>> disse Ryan, sbattendo un pugno contro la parete bianca del muro.
Provammo a chiamare ancora il numero di Edoardo, ma di nuovo non ottenemmo risposta.

Guardammo l'ora. Avevamo fame, perché eravamo ancora a stomaco vuoto.

<<D'accordo>>, disse Marianne, <<credo di avere un'idea. Ci troviamo in una piccola cittadina, giusto? È molto probabile che qui tutti conoscano tutti, o qualcosa del genere. Se Carlo ed Edoardo hanno aperto una pescheria, di certo gli abitanti del posto sapranno dove trovarli. Cosa ne dite se...>>

Si fermò e indicò con la testa un ristorante situato all'inizio della via principale della cittadina, subito oltre la piazza, a pochi metri da noi.

Ryan esitò per un attimo, poi annuì.

<<Va bene>>, disse, <<andiamo a mangiare qualcosa. Domanderemo in giro dei Salviati. Partendo dal ristorante.>>

Annuii, e così ci avviammo verso il locale.

Camminando mi voltai a guardare il mare, alla nostra destra, mentre l'aria profumata del posto mi riempiva i polmoni.

Era bellissimo.
Calmo, silenzioso.

Arrivavo con lo sguardo fino al punto più lontano all'orizzonte; poi, senza preavviso, l'azzurro del mare diveniva cielo, ed io non riuscivo più a distinguere dove iniziasse l'uno e finisse l'altro.

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora