Confessione - Lei amava lui, lui amava lei

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<<Era da tanto tempo che volevo parlarti, Evelin.>>

Lei mi aveva guardata e io ero riuscita a percepire lo stupore sul suo volto. Come se fossi l'ultima persona che si aspettava di trovare.

<<Parlarmi di che cosa? Come... come sapevi che ero qui?>>

Ci avevo riflettuto per qualche secondo, per cercare le parole giuste.

<<Non hai avuto abbastanza da questi anni, Evelin?>>

Ricordo il silenzio. E il suo viso dai lineamenti delicati, perfetti.

<<Che cosa vuoi dire?>> mi aveva domandato, in un filo di voce.

La lampada a olio, dietro di lei, illuminava appena il camerino.

<<Hai dovuto fuggire fino in California per smettere di sentirti in colpa?>>

Aveva scosso la testa, come se non capisse.

<<In colpa per che cosa, Norma?>>

<<Per tutto ciò che ti sei presa. Come fai a non rendertene conto? Hai portato via tutto, a tutte. Ci sei sempre stata soltanto tu. Davvero non riesci a vederlo? Ma il successo, la fama, gli autografi, le lodi della stampa... no, non era sufficiente, non è vero?>>

Ricordo che avevo perso il controllo. La mia voce... i miei sensi... non ero più io. Non volevo che andasse così. Eppure, stava accadendo.

<<Perché sei qui, Norma?>>

<<Perché tu hai dovuto portare via con te anche lui.>>

Aveva socchiuso le labbra, aveva fatto un passo indietro. Aveva esitato.

<<Pacey Dwight. Perché, Evelin? Perché anche Pacey? Non avevi già avuto abbastanza? Perché hai dovuto prenderti anche lui?>>

L'avevo domandato miliardi di volte a me stessa, durante il silenzio triste e vuoto delle mie notti, e non avevo mai trovato una risposta. In realtà, nel profondo lo sapevo. Era così semplice. Lei amava lui, lui amava lei. Ma non riuscivo ad accettarlo. Non ci riuscivo davvero. Ecco perché avevo viaggiato per tutte quelle miglia. Soltanto per trovarla. Per poterla avere di fronte mentre le scaraventavo addosso tutto il mio odio, tutto il mio rancore. Ero piena di tristezza e rabbia. E non ero in grado di accettare l'una e gestire l'altra. Ma neanche di conviverci.

<<Perché stai facendo questo, Norma? È la mia vita. Posso...>>

Si era fermata, e all'improvviso sul suo volto era comparsa un'espressione di sconforto, che in fretta si era tramutata in terrore. Aveva capito.

<<Eri tu... eri tu. Sei sempre stata tu, non è vero?>>

Non le avevo risposto.

<<Eri tu a telefonarmi, a seguirmi. Eri tu a terrorizzarmi. Norma... non... non capisco. L'hai fatto per Pacey? Ti rendi conto di che cosa mi hai fatto? Non hai pensato neanche per un attimo che...>>

<<Che cosa, Evelin? Che cosa avrei dovuto pensare? Avevi già scalato il grandino più alto del podio e ancora non ti bastava. Tu volevi di più, sempre. E così hai preso anche lui. Sarai contenta, adesso.>>

<<Io ho cancellato la mia esistenza per colpa tua, Norma. Te ne rendi conto? Riesci a capire che cosa significa?>>

Era rimasta in silenzio per qualche istante, poi aveva fatto un passo verso di me. Mi aveva messo una mano sul petto, e aveva avvicinato le labbra al mio orecchio destro. Improvvisamente, la paura sembrava essere scomparsa dal suo volto. Ed era stato in quel momento che ero riuscita a comprendere, per la prima volta, la ragione del suo successo: era tutta lì, nei suoi occhi. La determinazione di chi, con le spalle al muro, è pronto a combattere, anche a costo di morire. Ci ho pensato a lungo durante questi anni. Evelin doveva aver vissuto tutta la propria vita con quel tipo di determinazione dentro di sé. Era sempre stata con le spalle al muro e aveva sempre dovuto combattere per ottenere ciò che poi, con merito, si era presa. Ma all'epoca non ero stata capace di guardare oltre i miei occhi.

<<Non finirà così>> mi aveva detto, in un sussurro. <<Ti trascinerò in tribunale, Norma. Sei una persona malata. E sei pericolosa.>>

E quella fu la frase che mi fece perdere la testa. La molla che fece scattare la serratura in cui avevo cercato di rinchiudere il mio odio e la mia invidia per tutto quel tempo. Mi scaraventai contro di lei. Non sapevo che cosa avrei voluto farle. Lei si difese. Mi colpì. La colpii. Le graffiai il viso, e ogni giorno piango da sola nel buio, pensando a quella maledetta notte. Perché io non avrei voluto che accadesse. Non lo avrei voluto davvero. Rimanemmo a terra, cercando di lasciar uscire la rabbia che in quel momento ci accomunava. Io avevo le mie ragioni e lei aveva le sue. Era come se le stessi finalmente dicendo tutto ciò che provavo. In realtà, stavo soltanto lasciando uscire l'invidia che mi si era instillata dentro da orami troppo tempo.

Quando mi resi conto che la lampada a olio era caduta a terra e si era rotta, fu tardi. Fu tardi perché l'incendio era divampato in un istante. Evelin era a terra, all'improvviso. Era incosciente, mentre il mondo aveva incominciato a bruciare, intorno a noi. Forse aveva sbattuto la testa, non lo so. Avevo provato a tirarla su, a trascinarla con me. Era stato inutile. Sentivo il calore atroce del fuoco ovunque. L'aria aveva già incominciato a mancare. Avevo provato ancora a trascinare Evelin fuori da lì, ma non vi ero riuscita. L'incendio aveva soffocato ogni mio senso, ogni mia capacità.

Alla fine, l'avevo fatto. Mi ero voltata ed ero andata via. Non avevo visto l'ex marito di Evelin, Walter Clayton, che entrava per soccorrerla. E soprattutto non avevo visto i due figli, Ray e Christopher. Ringrazio il cielo ogni mattina, lo sa, Ethan? Ringrazio il cielo perché Walter è riuscito a salvare almeno loro. Lui mi aveva vista fuggire verso la scala anti incendio, come avrebbe raccontato poi in seguito alla stampa e alla polizia. Ovviamente non poteva sapere che quella persona fossi io. E io non ho mai trovato la forza di parlare di quella dannata notte con nessuno. Mai prima di oggi.>>

Norma si alzò, fece alcuni passi verso la finestra e poi si voltò verso di me. Io la raggiunsi, mi avvicinai a lei. Condividemmo quel silenzio fino a che durò.

A interromperlo, infine, fu lei.

<<Non avrei mai voluto uccidere Evelin Perth. È strano, per me, raccontarlo a qualcuno. Dirlo a voce alta, dopo tutto il tempo che è trascorso. Mi fa sentire in un certo senso... bene. Meno colpevole. Ma è la verità, Ethan. Non avrei mai voluto che Evelin morisse. La odiavo, ma fu un incidente. So che non è una giustificazione, eppure vorrei davvero, con tutto il mio cuore, che lei mi potesse credere. Non avrei voluto che Evelin Perth morisse.>>

Chiuse gli occhi per un istante, li riaprì. Vidi le lacrime che avevano incominciato a rigare il suo volto. Sembrava più stanca e soprattutto più vecchia di quando mi aveva aperto la porta.

<<In un certo senso, quel giorno sono morta anche io>> disse, con la voce che aveva incominciato a tremare.

Poi, il campanello suonò.

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora