Decidemmo di tornare a Virginia.
Avevamo una pista da seguire. Tortuosa, piena di incognite e punti ancora bui, ma non avevamo alternative.
Stavamo controllando i voli per là Pennsylvania, quando il telefono di Ryan squillò.
Era Miller.
<<Dici sul serio?>> disse Ryan, con tono sorpreso.
Rimase in ascolto per qualche altro istante, poi salutò l'ex collega, lo ringraziò e riagganciò.
Lo guardammo, curiosi.
<<Hanno localizzato il cellulare di Christopher Dwight>> disse, ricambiando il nostro sguardo.
<<E?>> domandai, incapace di contenere l'adrenalina.
<<Si trova qui. Proprio qui. Il cellulare dev'essere all'interno dell'appartamento.>>Feci un passo indietro. Mi guardai intorno. Ci trovavamo in un complesso di piccoli appartamenti tutti identici tra loro. Possibile che il padre di Christopher ci avesse dato l'indirizzo sbagliato? Mi resi subito conto che non poteva essere, perché sul campanello era riportato il cognome del figlio.
<<Pensi che Christopher sia uscito di casa senza portare con sé il telefono? Se così fosse, non dovrebbe essere andato lontano, giusto?>> domandai, guardando prima Ryan e poi Marianne.
<<Può darsi>> rispose lui , << ma in realtà non possiamo far altro che continuare con le supposizioni. E possono essere tanto corrette quanto errate. Non sappiamo nulla di Christopher Dwight. Forse dovremmo chiedere qualcosa ai suoi vicini di casa. I vicini sono sempre al corrente di tutto, non è cosi?>>
Suonammo a tutti i vicini e riuscimmo a parlare con qualcuno, ma non ottenemmo alcuna informazione. Nulla di rilevante, almeno. Le persone che ci concessero qualche minuto ci descrissero Christopher come un uomo solitario, tranquillo e molto riservato. Una donna sui quarant'anni, una certa Alice Burton, ci disse che l'aveva visto uscire di casa circa una settimana prima, e poi non l'aveva più incrociato. Aggiunse anche che però Christopher era solito assentarsi per periodi più o meno lunghi.
Eravamo al punto di partenza. Potevamo attendere che tornasse oppure agire. Fare qualcosa, qualunque cosa.
<<E va bene>> disse Ryan, <<sarebbe necessario un mandato, in certe circostanze. Ma dal momento che non sono più un detective, credo che potrò fare a meno delle autorizzazioni ufficiali.>>
Io e Marianne lo guardammo sapendo già che cosa sarebbe successo di lì a poco, poi ci scambiammo un'occhiata e Marianne allargò le braccia. Mi parve di notare un certo compiacimento sul suo volto. Sorrisi. Ryan fece il giro dell'appartamento, arrivò sul retro, si fermò accanto a una finestra e guardò all'interno. L'abitazione sembrava buia.
Ruppe il vetro con una gomitata. Esitai, poi mi guardai intorno. Nessuno sembrava essersi accorto di nulla, per il momento.
Ci guardammo.
Marianne, con un cenno del capo, annuì.
Uno per volta, facendo attenzione ai vetri caduti, ci apprestammo ad entrare in casa.Non avevamo idea di che cosa avremmo potuto trovare ad aspettarci, ma eravamo convinti che quella fosse la cosa giusta da fare.
L'uomo aveva aperto la gabbia. Senza rivestirsi, era entrato.
Melodie, in lacrime, aveva camminato all'indietro, e si era appoggiata con la schiena all'estremità opposta. Aveva guardato il suo rapitore che con passo lento ma deciso aveva continuato ad avvicinarsi a lei.
C'era qualcosa, negli occhi di lui, che la paralizzava.
Era un senso di vuoto, un senso di perdizione. Qualcosa di atroce.Adesso, era finita contro le sbarre fredde della gabbia. Sentiva il gelo del metallo contro il corpo nudo. Tremava, sempre di più.
Lui era arrivato di fronte a lei, e si era fermato quando a separarli era rimasto un solo centimetro. Continuava a guardarla. Fissava il suo viso, poi il suo seno nudo, poi le sue gambe. Lei aveva chiuso gli occhi.
<<Aprili!>> aveva gridato, pieno di rabbia, <<apri gli occhi adesso, e GUARDAMI!>>
Melodie aveva obbedito.
<<Brava. Voltati.>>
Era rimasta immobile.<<VOLTATI!>> aveva gridato lui, ancora più forte di prima.
Lei l'aveva fatto.
Le si era avvicinato ancora di più. Aveva lasciato che i loro corpi si sfiorassero, e poi si era fermato. Da dietro, aveva portato le braccia a stringere le sbarre della gabbia, e aveva appoggiato le labbra sull'orecchio destro di Melodie.
Aveva iniziato a sussurrare qualcosa, premendo con forza le mani intorno al metallo.
<<Arriveremo insieme alla città dorata. Saremo noi, forse soltanto più tu ed io. Un re e una regina. Tu sarai a pezzi, e regnerai per sempre. Ti conserverò. Ti piacerà. Forse lui si arrabbierà, ma ormai saremo lontani. Porterò il tuo corpo ovunque. Lo porterò con me. Se lo vorrai.>>
Si era fermato. Aveva lasciato che la sua lingua scivolasse su una guancia di lei.
<<Saremo più grandi di tutto il resto. Ti metterò in un sacco nero, e ti porterò sempre con me. Starai bene, benissimo. Devi dirmi che posso farlo, perché voglio essere gentile. E devi parlare a bassa voce, perché lui non ci deve sentire, lo capisci? Soltanto così saremo liberi, forse.>>
Si era avvicinato ancora a lei, e ancora una volta i loro corpi si erano sfiorati. Poi, si era allontanato.
Era uscito dalla gabbia. Aveva raccolto delle forbici da terra ed era rientrato.<<Le senti? Le campane della città dorata. Stanno suonando. Stanno suonando. Suonano per noi. Voltati.>>
Melodie, che non aveva mai smesso di tremare, era rimasta immobile.
<<VOLTATI E GUARDAMI, ADESSO!>
Lei aveva obbedito.
Era tornato a pochi centimetri dal sui corpo e teneva le forbici puntate davanti ai suoi seni.
<<Hai deciso? Da dove incominciamo? È il momento. Le campane stanno suonando. Le
campane stanno suonando. LE CAMPANE STANNO SUONANDO! LE CAMPANE STANNO SUONANDO!>>
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La ballerina
Mystery / ThrillerEthan Welback, giovane giornalista di successo di New York, viene lasciato dalla ragazza che ama, Marianne. Deciso a riconquistare il suo cuore, abbandona il lavoro presso uno dei quotidiani più importanti della metropoli e si trasferisce a Virginia...