Due mesi dopo - Febbraio

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L'aria profumava di primavera.

Erano trascorsi due mesi dalla notte alla stazione ferroviaria di Virginia. Due mesi da quando quella storia era giunta alla fine.

Avevo scritto l'articolo per David Hattinson al Virginia24. Avevo raccontato tutto, tralasciando soltanto alcuni dettagli troppo macabri. Era stato un lavoro impegnativo, ma ne era valsa la pena. L'articolo era piaciuto molto a David, e così ero riuscito a farmi perdonare per l'incredibile attesa.

La sera in cui mi aveva telefonato per dirmi che era soddisfatto del risultato l'avevo ringraziato, poi ero rimasto in silenzio per alcuni lunghi istanti. Avevo guardato Marianne. Stava scrivendo qualcosa al computer. Era bellissima.

<<Ethan, mi senti?>> aveva domandato David, spiazzato dal mio silenzio.

Avevo appena preso la mia decisione.

<<Ethan?>>

<<Vado via, David. Basta. Ho bisogno di cambiare tutto.>>
<<Che cosa? Cosa significa "vado via"?>>

Avevo sorriso, mi ero avvicinato alla finestra e avevo scostato le tende. Nevicava e faceva freddo.

<<Significa che ho chiuso. Con tutto. Con questa città, con il lavoro. Basta così.>>

Hattinson non aveva risposto. Credo che, in fondo, avesse capito le mie ragioni. Era tutto lì, nero su bianco, nell'articolo che gli avevo lasciato.

Avevo attraversato l'inferno e ne ero uscito quasi indenne. Non era il caso di continuare a tentare la sorte. Non si trattava neppure di me, ma di Marianne. Lei era più importante. Più di tutto il resto, e io sapevo, sentivo dal profondo del cuore che lo sarebbe stata sempre.

Avevo salutato David.

<<Beh, amico. Che cosa posso dire. Buona fortuna per tutto>> aveva risposto, dopo qualche altro istante di silenzio.

<<Anche a te e al Virginia24, David. Magari ci ritroveremo, una volta o l'altra.>>
<<Ci conto>> mi aveva detto, ed avevo percepito qualcosa, una sincera onestà in quelle sue ultime parole.

Avevo attaccato e mi ero avvicinato a Marianne. Le avevo posato una mano su di una spalla e poi mi ero seduto accanto a lei. Ci eravamo baciati.

Era così che avrei voluto che fosse la mia vita.

Così per sempre.

Da quella sera poi erano trascorsi due mesi, e adesso l'aria profumava di primavera.

Ero seduto su una panchina e respiravo l'odore del mare di Porto Cesareo, Sud Italia, in Puglia.
Era la cittadina portuale in cui avevamo conosciuto Carlo Salviati, l'anziano orefice che ci aveva aiutato molto durante le indagini.

Avevo pensato più volte che quello fosse un posto fantastico. Anche Marianne mi aveva detto la stessa cosa. Così avevamo riempito un paio di valigie e salutato il freddo della Pennsylvania.

Ci eravamo trasferiti in Puglia, e dopo due mesi potevo dire che ero già certo che quella fosse stata una decisone fantastica. Amavo il mare. Amavo passeggiare lungo il porto, la sera, abbracciato a Marianne. Amavo le cene insieme a Carlo Salviati e alla sua famiglia. Sì, l'avevamo ritrovato e tra noi si era instaurato un rapporto di semplice e sincera amicizia. Lui ci insegnava tantissimo sul posto, sulla gente, sulle tradizioni. Ci portava a mangiare nei ristoranti migliori e ci spiegava quale fosse il vino più buono, e perché.

La vita, all'improvviso, era diventata davvero perfetta. Ciò che era più importante era che avevo finalmente trovato il modo di trascorre del tempo con Marianne.

Non sapevo di che cosa mi sarei occupato, e non lo sapeva neanche lei. Avevamo lasciato entrambi i nostri lavori, ma per la prima volta non ci importava. Avevamo corso per così tanto tempo sul filo del rasoio da renderci conto entrambi di una cosa: perderci era stato stupido. Avremmo trovato qualcosa da fare, prima o poi. Intanto, però, ci godevamo quella vita insieme, ed era stupendo.

Quella sera di febbraio avevamo appena terminato di cenare in un ristorante a pochi metri dal mare. Stavamo camminando verso la villetta che eravamo a riusciti a farci affittare da una famiglia che Carlo Salviati conosceva da anni, quando ci fermammo e ci sedemmo su una panchina nei pressi del porto.

Non c'era nessuno, per strada. L'aria, a quell'ora, era ancora più profumata.
Mi avvicinai a Marianne e la baciai sul collo.

<<Ti amo, Ethan>> mi disse, sottovoce.
<<Ti amo, Marianne>> le risposi io, cercando la sua mano. La trovai, la strinsi nella mia, la avvicinai alle mie labbra e la baciai ancora.

Lei sorrise, poi trasse un sospiro. Portò lo sguardo davanti a sé, verso il mare. Per qualche motivo, la sua espressione si fece più cupa, più seria all'improvviso.

<<Ci pensi ancora? Pensi ancora a lui, Ethan?>> mi domandò, senza guardarmi.

Annuii.

<<Pensi ancora a Ryan?>> mi chiese ancora.

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora