In mezzo alla tempesta

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Diverse ore dopo eravamo di nuovo a Virginia. Avevo dormito durante il viaggio, perché mi ero reso conto, per la prima volta da quando tutto era cominciato, di sentirmi davvero stanco.

Era sera inoltrata, e il taxi su cui ci trovavamo aveva accompagnato per primo Ryan a casa. L'avevamo ringraziato, salutato, ed eravamo rimasti d'accordo che ci saremmo sentiti il giorno seguente.

Eravamo rimasti soltanto io e Marianne. La guardai senza dire nulla e lei fece la stessa cosa.

Appoggiai una mano sulla sua. Lasciai che le nostre dita si intrecciassero.

<<Dove vi porto?>> domandò il tassista.

Esitammo, poi fui io a rispondere. Gli comunicai il mio indirizzo, e Marianne non aggiunse altro.

In mezzo alla tempesta ci stavamo ritrovando, forse.

Avevo paura a crederlo, ma c'era una possibilità che fosse così.

Lei chiuse gli occhi, appoggiò la testa contro la mia spalla. Senza pensarci, presi dalla borsa che portavo sempre con me l'album di fotografie che il padre di Christopher e Ray ci aveva lasciato.

Lo aprii, guardai fuori dal finestrino. La pioggia aveva preso a cadere sempre più intensa sulle strade di Virginia.

Abbassai gli occhi sulla prima immagine dell'album. Evelin da bambina. Voltai pagina, e vidi le fotografie di lei nel corso degli anni. Da sola, con i genitori, poi con degli amici, adolescente. Ritrovai i primi scatti che la ritraevano vestita da ballerina. Era bellissima. Magnetica in un modo impossibile da descrivere.

Le fotografie erano state scattate un po' ovunque. Palcoscenici di teatri, durante gli spettacoli. Camerini, nei momenti di pausa, o di trucco. Una scuola di danza.
Spostai lo sguardo da quelle immagini e tornai ad osservare la pioggia che di secondo in secondo veniva giù sempre più forte. Più rumorosa.

Esitai.

Provai ancora una volta quella sensazione vaga ma al tempo stesso profonda di sconforto e inquietudine che avevo provato nella stanza da letto di Cristopher dopo aver guardato la fotografia di Evelin che avevo trovato sul comodino.
Ancora una volta, non riuscii a capire di che cosa si trattasse.
Era come se qualcosa fosse fuori posto. La cosa peggiore era che in profondità dentro di me avevo quasi l'impressione di sapere che cosa fosse.

Stavo per tornare ad osservare l'album, quando il taxi si fermò ed io riconobbi l'esterno della palazzina in cui vivevo. Eravamo arrivati. Appoggiai una mano su di una spalla di Marianne, per svegliarla. Lei aprì gli occhi ed io le aprii la portiera.

<<Siamo arrivati, Marianne.>>

Pagai il tassista e ci dirigemmo verso il mio appartamento.

***

Nella gabbia, Melodie avrebbe fatto di tutto pur di non guardare l'uomo che l'aveva imprigionata. E invece, adesso i suoi occhi erano fissi su di lui. In realtà, si spostavano lentamente, ad intervalli regolari, verso le armi disposte a terra.

Assecondalo, Melodie. Assecondalo. Digli che le senti anche tu. Le campane, Melodie. Diglielo. Non perdere tempo.

Erano questi i suoi pensieri, adesso. Reggere il gioco di quel mostro, per guadagnare qualcosa. Tempo, forse.

Lui, però, d'un tratto le si era avvicinato e le aveva afferrato un polso. L'aveva guardata negli occhi, e lei era rimasta paralizzata. Aveva sentito il sangue gelarsi nelle vene, perché il suo sguardo era così... privo di tutto. Così lontano, così vuoto.

<<Adesso ti disporrò come è giusto che sia. Puoi incominciare ad avere paura, se vuoi. Se anche tu senti le campane, allora la paura non ti farà male.>>

Lei aveva gridato, aveva pianto, ma era stato inutile. Lui le aveva fatto allargare le braccia e le gambe, in modo che il suo corpo, sempre nudo, andasse a disegnare una grande X. Poi, aveva legato entrambi i polsi e le caviglie alle estremità opposte della gabbia. Ci era voluto un po', e non era stato semplice, ma alla fine ci era riuscito.

Melodie, bloccata in quella posizione, si era ormai lasciata andare al buio. Aveva chiuso gli occhi e aveva smesso di cercare di controllare i battiti del proprio cuore. Non era pronta per andarsene, ma sentiva che cercare di pensare a qualunque cosa forse sarebbe stato anche peggio. Era finita.

L'uomo le si era avvicinato lentamente dopo aver estratto dalla busta delle armi il coltello, quello già sporco di sangue. Aveva chiuso gli occhi dopo aver tratto un profondo respiro, e poi aveva allargato le braccia.

Poi, proprio mentre stava per assestare contro Melodie la prima coltellata, si era fermato.

Così, all'improvviso.

Era rimasto immobile. Come se qualcosa, dal profondo, l'avesse bloccato.

Qualcosa di terrificante.

<<Ethan Welbeck>> aveva detto, in un sussurro, lasciando che il coltello insanguinato scivolasse a un passo dal corpo tremante di Melodie.

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