Tu mi conosci

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Nel cuore la verità non si perde mai.

Nel mondo può sbiadire, può cambiare colore, può nascondersi tra silenzi, rumori, inganni. Nel cuore no.
Resta immobile. Immutata.

Era per questo che avevo deciso di chiamare Marianne.
Avrei dovuto pensare a qualunque altra cosa al di fuori di lei, e invece tutto ciò che volevo era sentire ancora una volta la sua voce.

Con mia grande sorpresa, rispose subito al telefono.

<<Ciao, Marianne. Ho bisogno di vederti, adesso.>>
Ci fu un silenzio, poi lei mi stupì ancora.
<<Va bene>> disse, <<ti aspetto. Sono a casa. Fabian non c'è.>>

Dieci minuti dopo ero da lei. Avevo dovuto superare i controlli dei due agenti davanti al portone, che in realtà ormai mi conoscevano. Marianne era scesa per dire loro che andava tutto bene, di lasciarmi salire.

Non parlammo mentre eravamo in ascensore, ed io la guardai.

Era così bella.

Quando raggiungemmo il suo appartamento, lei aprì la porta e senza dire niente si diresse in cucina. Mi sedetti sul divano nel salotto e Marianne tornò verso di me con una bottiglia di vino rosso in una mano e due calici nell'altra.
Li riempì fino a metà, poi si sfilò le scarpe e si sedette accanto a me.

<<Al tuo coraggio, Ethan>> disse, sfiorando il mio bicchiere con il suo.
Sorrisi.
Era quel suo modo di fare, di comportarsi, ciò che non riuscivo a togliermi dalla testa.
<<Non credo che sia coraggio. Penso che sia istinto, piuttosto, o qualcosa di simile>> risposi, assaggiando il vino.
Marianne mi guardò in silenzio.

Mi chiesi che cosa pensasse del bacio che le avevo dato.

<<Dov'è Fabian?>> le domandai, evitando i suoi occhi.
<<Fuori. Non lo so. È un fotografo. Viaggia spesso. Certe volte lo seguo, altre no.>>

Aveva un tono apatico, privo di emozioni. La sua voce però, bassa e calda, era sempre la stessa.

<<Perché volevi vedermi, Ethan?>>

Scossi la testa. Non avrei potuto continuare a dirle che restare lontano da lei era troppo difficile. Troppo insopportabile.

<<Abbiamo scoperto qualcosa sugli omicidi.>>
<<Abbiamo?>>
<<Sì. Sto lavorando insieme al detective del Dipartimento di Virginia che segue il caso. Ti ho parlato di lui. Con noi lavora anche Ryan Cooper, l'uomo che anni fa era rimasto coinvolto in ciò che ti avevo raccontato dopo che ci siamo incontrati al mercato.>>
Marianne annuì senza dire nulla.
Bevette un sorso di vino, appoggiò la testa allo schienale del divano e chiuse gli occhi per un istante.
<<Perché lo stai facendo, Ethan?>>
Scossi la testa.
<<Non lo so. Lo sai come sono. Tu mi conosci.>>

Era la verità. Lei mi conosceva. Come nessun altro. Conosceva i miei limiti e la mia forza. Era consapevole di quel mondo che si accendeva dentro di me; di quella luce che avrei inseguito ad oltranza, sempre e comunque. Era stata la causa della fine della nostra relazione, ma al tempo stesso era anche la mia forza più grande.

<<Ti conosco, sì>> sussurrò. Si spostò, lentamente, e i suoi piedi nudi sfiorarono la mia gamba.
Mi guardò.
Avrei voluto avvicinarmi di più a lei, ai suoi capelli neri che le scivolavano fin sotto le spalle, alle sue labbra. Avrei voluto baciarla ancora, e invece mi trattenni.

Si alzò dal divano, e scalza si diresse verso lo stereo, tenendo tra le mani il calice di vino.

Premette play, e partì "Kind of blue" di Miles Davis. Uno dei miei dischi preferiti. Ero stato io a farglielo apprezzare. Un jazz e un blues che mi riscaldavano l'anima.

Lei si muoveva lentamente sulle note di "So What". Indossava un vestito corto bianco. Le sue gambe lunghe, sensuali, mi facevano pensare e ripensare a tutti i momenti incredibili che avevamo condiviso.

Tornò a sedersi accanto a me, si avvicinò al mio orecchio e sussurrò qualcosa.

<<Perché abbiamo lasciato che tutto crollasse, Ethan?>>
La guardai.
Avrei voluto stringerla, fare qualcosa, poi però fu lei a prendere la mia mano nella sua.

<<Vorrei che le cose potessero essere andate in altro modo. Ci sono giorni in cui penso che vorrei non aver mai fatto quella valigia. Vorrei non aver mai chiamato quel taxi. Tu eri tutto per me.>>
<<Marianne, sono...>>
<<C'erano delle giornate, quando stavamo insieme, che andavano male. Poi tornavo a casa, ti vedevo sorridere e tutto tornava ad avere senso. Così, da un momento all'altro.>>

Mi avvicinai di più a lei. Scostai con delicatezza una ciocca di capelli che le era scivolata davanti agli occhi.
Lei sollevò le gambe, le strinse tra le braccia e si appoggiò con la testa a se stessa, rimanendo voltata verso di me. Potevo sentire il suo respiro.

<<Sono venuto a Virginia perché ci credo ancora, Marianne. Tu mi conosci. Io ti conosco. Ed è tutto qui. So che cosa ti fa tremare, so che cosa ti lascia indifferente. E so che per te è lo stesso. So che la fossetta che spunta sulla tua guancia è in grado di azzerare il resto del mondo, per quanto mi riguarda. È sempre così. Non ho bisogno di nient'altro.>>

Lei sorrise.

La amavo. Non c'era nulla da fare. Non esistevano vie di fuga o scorciatoie per evitarla, per fare finta che non provassi ciò che provavo.

La amavo tantissimo.

Le accarezzai lentamente una guancia. Lasciai che il mio dito scivolasse sulla sua pelle morbida, fino a cadere dolcemente sulle sue labbra.

Lei sospirò, mi guardò, esitò per un istante.

<<Sto per partire per l'Italia, Marianne.>>

Mi avvicinai di più, ancora di più al suo viso, al suo corpo.
Strinsi più forte la sua mano.

<<Vuoi venire con me?>>

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora