La cosa giusta

1.1K 142 61
                                    

Feci in tempo a scorgere l'espressione sul volto di Marianne prima di udire il rumore che giungeva dall'esterno. Ci sollevammo di colpo entrambi e ci guardammo intorno.
Eravamo sconvolti, ma le urla che provenivano da fuori ci riportarono in fretta alla realtà.
Ci alzammo dal letto e aprimmo la porta. Chiesi a Marianne di rimanere in camera, ma lei scosse la testa.

<<Vengo con te. Andiamo>> disse.

Esitai, ma non c'era tempo per discutere .

Scendemmo le scale. Erano vetri che si spaccavano; tonfi di qualcosa che cadeva a terra; grida maschili.

Sembrava una rissa.

Raggiunta la reception, ci rendemmo finalmente conto di ciò che stava succedendo.

Ryan teneva un uomo per la gola. Lo colpì con violenza allo stomaco, poi in viso. Il portiere dell'albergo, un uomo alto e magro all'inverosimile, stava urlando loro di fermarsi, ma nessuno sembrava ascoltarlo.
A terra c'erano vetri di bicchieri rotti e un paio di altri uomini.

Corsi verso Ryan, lo strattonai, gridai il suo nome.

<<Ryan! Fermati, Ryan!>>

Non mi ascoltava. Continuava a colpire l'altro uomo. Sul volto, adesso. Il malcapitato cercava di dimenarsi, ma era paralizzato dalla raffica di colpi veloci e violenti che stava ricevendo.

<<Andiamo, Ryan, lascialo! È a terra!>>

L'ex detective si voltò verso di me e sgranò gli occhi. Impiegai qualche secondo a rendermi conto che nei suoi occhi era comparsa una luce oscura. Nera come la pece. Era rabbia cieca, indomabile. La rabbia di un uomo solitario che si era ritrovato a convivere con l'inferno per troppo tempo.

Ryan si fermò.
Allentò la presa sull'uomo, si alzò dal suo corpo e si appoggiò contro il bancone.

La reception era completamente sottosopra.

Chiuse gli occhi per un istante, li nascose sotto le mani con un movimento lento, stanco.

Mi diressi verso il receptionist.

<<Ha chiamato la polizia?>> gli domandai, sperando che non l'avesse fatto.
<<No, non ancora. Ma lo farò. E in ogni caso l'avrà già fatto qualche cliente, perché è da un po' che stanno andando avanti a distruggere l'albergo.>>
<<Che cosa è successo?>>
<<Lui>> disse, indicando Ryan <<stava bevendo qualcosa al bancone, quando è stato preso di mira da quei tre ubriachi.>>
<<Clienti?>>
<<No, passavano qui davanti e sono entrati. Erano... fuori di testa. Ma non è un buon motivo per distruggere il...>>
<<Senta, se la polizia non è stata chiamata da qualche cliente, non lo faccia lei, per favore. Le pagheremo i danni. Non abbiamo tempo da perdere. Glielo chiedo per favore.>>

Cercai di scandire bene ogni singola parola, sperando che quell'uomo cogliesse la disperazione nel mio inglese appositamente rallentato. Non avremmo potuto finire in centrale. Avevamo il treno per Alessandria di lì a poche ore.
L'uomo esitò, poi i suoi occhi si spostarono su qualcuno alle nostre spalle.
Mi voltai e vidi un signore pelato e sovrappeso in accappatoio davanti a noi. Ci guardava con aria sconvolta. In mano teneva un cellulare.

<<Non lo faccia>> gli disse Ryan, facendogli un cenno con la testa.

In qualche modo l'uomo capì e fece sparire il telefono.

Trascorsi il resto della notte aiutando a rimettere in ordine il caos che si era creato nella reception. Accompagnai i tre ubriachi fuori dall'albergo, accertandomi che non avessero intenzione di procurarci altri fastidi. Pagai una discreta cifra per ripagare i danni e mi scusai ancora per quanto era accaduto.

Nel frattempo Marianne aveva telefonato a Miller e gli aveva raccontato del messaggio che avevo ricevuto. Il detective disse che si sarebbe mobilitato subito mandando rinforzi di ogni genere all'indirizzo che ci era stato lasciato sotto l'immagine della testa mozzata della ragazza e che ci avrebbe aggiornato al più presto.

Quando la pace sembrò essere finalmente tornata, Marianne ci disse che sarebbe salita in camera per cercare di dormire almeno qualche ora, mentre io rimasi nella hall con Ryan. Mi sedetti sul divano accanto a lui, appoggiai la testa allo schienale e chiusi per un attimo gli occhi.
È strano da dire, ma lo sentivo. Potevo percepire, nel suo silenzio, tutto il caos che si portava dentro.

<<Se lo meritavano, non è vero?>> gli chiesi, riferendomi a ciò che aveva fatto a quegli uomini.
Lui rimase zitto per un po', e infine rispose .
<<Non lo so, Ethan. Vorrei dirti di sì, ma la verità è che non lo so.>>
Lo osservai. Aveva gli occhi segnati. Puzzava di alcool. Era ricoperto di piccoli tagli e graffi.
Mi alzai, lo guardai negli occhi, gli porsi la mano.
<<Andiamo, detective>> gli dissi <<ci aspetta una lunga giornata domani.>>
Lui esitò per un lungo istante, ma alla fine afferrò la mia mano e si alzò dal divano.
Ci incamminammo insieme verso l'ascensore, senza aggiungere altro. Condividendo soltanto quel silenzio.

Sapevo che accanto a me non avevo un uomo, ma una bomba pronta ad orologeria ad esplodere da un momento all'altro. Non capivo, perché non avrei potuto mai neanche soltanto immaginarlo, di che portata fosse il dolore che Ryan si portava dentro; ma glielo leggevo negli occhi. Era incazzato con se stesso e con tutto il resto del mondo. Era triste e stanco, e disperato. Avrei davvero voluto aiutarlo, perché lo sapevo. Era una brava persona. Era un uomo puro. Uno dei pochi.
Uno degli ultimi.

Ci sdraiammo sul letto, lui spense la luce ed io mi chiesi se non avrei dovuto andare da Marianne. Alla fine, decisi che non sarebbe stato il caso di forzare troppo le cose in quel momento.

Chiusi gli occhi, pensando alla giornata che ci avrebbe atteso domani.

<<Ehi, Ryan>> dissi, nel silenzio della notte.
<<Sì?>> rispose lui, con voce bassa, rauca.
<<Qualunque sia il motivo che poco fa ti ha portato ad agire in quel modo, io sono con te. So che hai fatto la cosa giusta. Lo so, amico. Ne sono certo.>>

Ryan annuì ed io, per qualche ragione, pensai di essere stato fortunato ad imbattermi in lui.

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora