Atterrammo a Fiumicino che era trascorsa da poco la mezzanotte. Avevo avuto il tempo di riflettere su tante cose durante quelle dieci ore di volo.
Marianne, gli omicidi, il ciondolo, le parole di Ryan.
Non avevo trovato risposte, però. Soltanto altre domande che, lentamente, si andavano ad accavallare a quelle che già mi riempivano la testa.
Così avevo cercato di chiudere gli occhi e dormire il più possibile. Non volevo neanche pensare a Marianne e a tutta quella strana situazione che si stava creando tra di noi. Ne ero felice, ma non volevo pensarci.Nessuno di noi aveva parlato molto, durante il volo.
Adesso, mentre riprendevamo i nostri pochi bagagli e ci dirigevamo verso l'uscita del Leonardo Da Vinci, ci sentivamo soprattutto stanchi ed affamati.
Avremmo raggiunto Alessandria in treno, ma saremmo partiti il mattino seguente.
Ryan mi disse che aveva prenotato due camere da letto in un hotel di Roma, vicino alla stazione Termini.
Così, nel freddo di quella notte italiana - che per quanto rigida non aveva nulla a che vedere con il gelo canadese - salimmo su un taxi e ci lasciammo accompagnare nella zona di Roma Termini, dove saremmo stati vicini sia alla stazione sia all'hotel.Una volta a destinazione Ryan chiese al tassista se conosceva un buon posto non distante dal nostro albergo in cui si potesse ancora cenare. L'uomo, in un inglese piuttosto approssimativo, ci segnalò una trattoria vicino a dove avremmo trascorso la notte.
Ci indicò la strada per raggiungerla, e pochi istanti dopo ci ritrovammo di fronte all'entrata.
Il locale era piccolo e accogliente. Sull'insegna c'era scritto "Da Sora Giuliana". Entrammo, e fummo subito accolti da una signora sorridente con un'espressione dolce sul volto.
Ci fece accomodare e ci consegnò i menù. Io non ero stato molte volte in Italia. Mai con Marianne. Ero stato una settimana a Venezia da bambino e qualche giorno a Firenze per motivi di lavoro. Non conoscevo quasi nulla della lingua, se non le frasi di cortesia. Avevo però un ottimo ricordo dell'Italia, per il poco che avessi visto.
Consultammo il menù e decidemmo di ordinare fettuccine al sugo di pomodoro e una bottiglia di vino bianco dei Castelli Romani.Quando i piatti arrivarono, la signora che ci aveva accolti all'entrata ci sorrise ancora, mentre ce li porgeva. Nonostante fosse davvero tardi non sembrava scocciata di averci a tavola, come succedeva spesso quando ci si presentava nei locali a quegli orari.
Le fettuccine erano squisite, il vino anche.
Tra un boccone e l'altro incrociai più volte gli occhi di Ryan.
A un certo punto lui guardò prima me e poi Marianne, e ci domandò qualcosa.
<<E così voi due stavate insieme, eh.>>
Esitai, perché non me lo aspettavo. Non sapevo se sorridere o essere in imbarazzo. Marianne mi guardò e socchiuse le labbra.
<<Già>> rispose, precedendomi <<stavamo insieme.>>
<<E adesso?>> continuò a domandare Ryan, senza darmi tregua.
<<Adesso non più>> rispose ancora Marianne.
Ryan non ci mollava. Sembrava che ci stesse davvero studiando. Quindi, non soddisfatto, aggiunse ancora qualcosa.
<<Peccato. Sembrereste una bella coppia.>>
Non rispondemmo, e Marianne sorrise. Stavo per parlare, quando lui riprese: <<Dico sul serio, eh. Si vede che c'è un feeling particolare tra voi.>>
Marianne finì di bere il vino e non smise mai di sorridere. Ryan le riempì di nuovo il calice e poi fece lo stesso con il proprio e con il mio.
<<Sono contento che abbiate deciso di venire con me>> disse, tornando serio <<anche se non era necessario. Questo caso... è diventato una questione personale per me. Non lo so, ma il fatto che troppe persone siano coinvolte... mi spaventa, in un certo senso.>>
Lo guardai, bevetti un sorso di vino, finii di mangiare le fettuccine.
<<Ryan, sai che ormai ci sono dentro. Avrei voluto che le cose non andassero così, ma è capitato. A volte non c'è una spiegazione. A volte le cose succedono e basta.>>
Lui terminò il vino, poi annuì lentamente con la testa.
Marianne lo guardò.
<<Ho saputo che anche lei ha una storia finita alle spalle, Ryan>> disse.
Lui annuì ancora, gli occhi bassi, a guardarsi le mani.
<<Già. Un tempo portavo la fede. Poi io e la mia ex moglie... la vita ci è piombata addosso.>>
<<Ho saputo di sua figlia, Ryan. Volevo dirle che mi dispiace tantissimo per ciò che è successo.>>
<<Grazie>> rispose lui, sottovoce.Si fermò, poi chiamò la signora che ci aveva serviti e ordinò un'altra bottiglia di vino.
Lei ci sorrise e ce la portò dopo qualche minuto.
Ryan riempì ancora i bicchieri e porse il calice verso i nostri.
<<Non avrei voluto rattristare la serata, ma vorrei brindare a lei. A Melissa. La mia bambina.>>
Sollevammo il bicchiere e lo avvicinammo al suo, fino a che non lo toccammo.
Lui chiuse gli occhi per un attimo, poi tornò a guardarci.
<<E va bene, e va bene>> disse <<basta malinconia per questa notte. Dicono che l'Italia faccia bene a chi si ama, o sbaglio?>>
Scoppiammo a ridere.
Trascorremmo il resto della cena scherzando e conoscendo l'ex detective più a fondo. Fu una bella notte. Lui e Marianne erano entrati in confidenza in un modo piacevole, e ad un certo punto mi guardai intorno.
Non c'era più nessuno nella trattoria.
Mentre le voci di Ryan e Marianne si sovrapponevano, mi resi conto di una cosa: al di là dell'indagine e del terrore che quel caso ci aveva cucito addosso, ero contento di essere lì, in quel momento, insieme a quelle persone.Era come se quella stessa esistenza che durante gli ultimi tempi era diventata tanto vuota e triste, adesso stesse ritrovando una strada da seguire.
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La ballerina
Mystery / ThrillerEthan Welback, giovane giornalista di successo di New York, viene lasciato dalla ragazza che ama, Marianne. Deciso a riconquistare il suo cuore, abbandona il lavoro presso uno dei quotidiani più importanti della metropoli e si trasferisce a Virginia...