Capitolo 1

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Non esiste essere umano che almeno una volta nella vita, non abbia subito la classica domanda Cosa vuoi fare da grande?

Domande all'apparenza semplici, domande, che ti venivano ripetute con una costanza assurda, alle quali tu eri costretto a rispondere, inventandoti la prima cosa sul momento, ma quello fortunatamente non era il mio caso.

Avevo sempre avuto una prospettiva di vita chiara fin da piccola, molti mi dicevano che mio padre aveva influenzato il mio avvenire, io preferivo definirlo come colui che mi aveva semplicemente aperto gli occhi su di una passione che mi era sempre appartenuta.

Non ero una bambina semplice da gestire, tutt'altro, ma furono  proprio quelle che, un tempo la gente definiva stranezze, a farmi andare avanti, nonostante i tanti pregiudizi che fin dal primo giorno di università mi ero portata dietro.

E' la figlia del primario

Sarà sempre avvantaggiata

Ha il futuro già scritto

Frasi, parole, strane occhiate, alle quali mi ero dovuta abituare.

Dopo il primo anno di studi, intrapreso alla facoltà di scienze infermieristiche di Boston, mio padre, vedendomi sempre più provata da quella realtà, mi aveva proposto di frequentare un'università fuori sede, dove il peso del nostro cognome, non mi avrebbe dato problemi.

Lui, Davis Wood, era uno dei cardiologi più rinomati della nostra città, nonchè detentore della cattedra di anatomia al primo anno di medicina.

Tuttavia in quella enorme facoltà, sulla quale posava anche il mio corso di laurea, le voci giravano e ovviamente io, Isabelle Wood, ero solo ed unicamente conosciuta come la figlia del prof, la figlia del medico.

Tutto questo, mi causò non pochi problemi, a partire dalle antipatie da parte dei colleghi di mio padre, per poi finire ai soliti pettegolezzi fra alunni, ma di quelli cercavo di non curarmene.

Quello che più mi scoraggiava, era vedere un simile atteggiamento anche da professionisti che a primo impatto stimavo, ma che poi si rivelarono altro.

Poco alla volta, anche quei tre anni passarono, riuscendo a riscattarmi nei confronti di coloro che mi ritenevano la solita raccomandata.

Divenne una sorta di sfida personale, nata da una grande passione nell'aiutare il prossimo e conseguita con il massimo dei voti.

Iniziai a fare tirocinio presso l'ospedale dove tutti i laureati avevano la possibilità di farlo, sorte che quello fosse anche il posto di lavoro di mio padre e come sempre le persone, nonostante quello fosse un percorso lavorativo di routine per tutti, continuarono ad additarmi e io continuai ad ignorarli.

Amavo comunque trascorrere le pause pranzo con mio padre, non avevo molti amici, i pochi che credevo fossero davvero interessati a me, in realtà capì essere solo ed unicamente interessati al mio cognome.

Mantenni quindi una certa distanza da quel tipo di persone, cavandomela anche da sola, quando in realtà, avere un parere, un semplice consiglio da un coetaneo, mi avrebbe fatto piacere.

I primi mesi di tirocinio, furono davvero molto istruttivi, la pratica era qualcosa di totalmente diverso da come i libri la descrivevano, mi piaceva restare fino a tarda sera, pur di sapere l'esito di un esame del sangue di un bambino o l'esito di un operazione a cuore aperto.

Col tempo, insieme ad alcuni colleghi, ebbi l'occasione di assistere a vari interventi molto delicati, partecipare alla fase di anestesia e dopo qualche settimana, fui anche proposta per occuparmi dei punti di sutura ad una persona operata di cancro al cervello.

Mission of love [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora