Capitolo 49

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Il rumore dei miei passi lungo quel corridoio, era molto più snervante di ciò, che di per se, avrei dovuto affrontare quel giorno.

Come da calendario, ero tornata a lavori a soli due giorni dal mio ritorno dall'Afghanistan, tuttavia, nonostante la stanchezza e nonostante il fuso orario, preferivo di gran lunga distrarmi e passare quanto più tempo possibile fuori da quella casa, dove mia madre, invece, ci aveva piantato le radici.

Con i primi caldi, preferiva non uscire, odiava sudare e sopratutto i suoi capelli non sarebbero più stati perfetti e lucenti come a lei piaceva, ogni anno era la stessa storia ed ogni anno, odiavo sempre più la mia casa.

Mio padre, dal mio ritorno, non fece nulla per affrontarmi, era assente, come mai successo ed ogni volta che mi incontrava in qualche angolo della casa,  scappava come un codardo.

Presi un lungo respiro, prima di abbassare la maniglia del mio ufficio, sapevo che quell'apparente calma, sarebbe durata ben poco e che da lì a qualche minuto, la notizia del mio ritorno si sarebbe sparsa per tutto l'ospedale, i miei colleghi amavano particolarmente i pettegolezzi anche se in questo caso, non credevo potessi considerarmi in quel modo.

Una puzza di chiuso, albergava in quelle quattro mura, mi diressi subito alla finestra spalancandola, dando modo così ai raggi solari di filtrare al suo interno, era tutto così ordinatamente triste.

La foto mia e di mio padre sulla scrivania mi mise non poca pressione, non ero più abituata a questa normalità, a questa monotonia e la stessa sensazione di incompletezza che avevo prima della mia partenza, iniziò a farsi risentire, ma tuttavia non potevo fare nulla, era quello il mio posto, era per quello che avevo studiato e faticato tanto.

Presi posto sulla mia poltrona, aprendo la mia agenda, quella mattina avrei dovuto affiancare un delicato intervento al fegato, mi sarei dovuta occupare della fase preparatoria e dell'anestesia, ma questo non prima delle dieci, avevo ancora un'ora di tempo, così decisi di recarmi alle macchinette per un bel caffè rigenerante.

Raggiunsi la porta, aprendola, trovandovi però Margaret con un pugno a mezz'aria, pronta per bussare.

"ehm ciao" sorrise, era a disagio "stavo per bussare"

"stavo per andare a prendere un caffè" replicai sorpassandola, mi stavo comportando da vera stronza, ma era più forte di me.

"Isabelle dobbiamo parlare" la sua voce tramutò in un tono molto più deciso, quasi autoritario "è inutile rimandare l'inevitabile e sono stanca di stare agli ordini di tuo padre e di quella..e di tua madre" sospirò pesantemente, mentre io ero ancora voltata di spalle, scossa da quel suo modo di parlare, lei sapeva tutto ed ora ne ero sicura.

"ordini di mio padre?" mi girai con espressione perplessa "di cosa stai parlando Margaret?"

"meglio se andiamo nel mio ufficio"sussurrò, guardandosi in torno, era tesa ed anch'io.

La seguì senza emettere un suono,troppo pensierosa per quello che stava per accadere, forse non avrei più dovuto aspettare una settimana per sapere la verità, forse lei me l'avrebbe detta.

Troppe domande, poche risposte.

Mi chiusi la porta alle spalle, quando la vidi poggiarsi contro la sua scrivania, attorno alla quale ci eravamo sempre divertite un mondo e confidandoci tutto o almeno così credevo io un tempo.

"chi era quel ragazzo Isabelle?" la sua voce bassa, il capo chino, non aveva neppure il coraggio di guardarmi in faccia.

"si chiama Liam, è un amico che ho conosciuto in missione"

Mission of love [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora