Capitolo 68

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Rimandare, rimandare e ancora rimandare.
Era ormai questa la mia preghiera quotidiana, fin quando quel briciolo di pazienza che mi era rimasta, non fosse terminata.
Le mie giornate con Harry erano abbastanza tranquille, c'erano momenti in cui chiudevamo il mondo fuori dalla porta di casa, pensando solo a noi due, passando delle notti che mai avrei dimenticato nella mia vita e poi c'erano giorni, dove la mente non voleva saperne di tacere e la curiosità stava ormai superando i limiti di sopportazione.
Dopo lo squallido teatrino di Kim al compleanno di Harry, non ebbi più la fortuna di incontrala, anche quando ci trovavamo a passare da casa di sua madre per un saluto, lei era come svanita e la cosa non poteva che farmi felice, ma tuttavia, il mio intuito femminile, mi diceva di non abbassare la guardia e che i problemi non sarebbero scomparsi, senza prima aver lasciato una sciai sanguinolenta di litigi fra me ed Harry, come era capitato quella stessa mattina, quando venne a sapere che avrei dovuto lavorare con Mark in sala operatoria.
Avevo letto i turni il giorno prima ed entrambi eravamo stati convocati come i migliori infermieri del reparto per assistere ad operazione molto delicata a cuore aperto, di Mark si poteva dire tutto, i suoi metodi per raggiungere il suo obbiettivo, non era stati dei più corretti, ma negli anni avevo visto sotto i miei occhi i suoi miglioramenti in campo e per quanto io lo considerassi uno squilibrato per la maggior parte del tempo, non potevo negare che svolgesse in maniera eccellente il suo lavoro a tal punto da essere notato dai più competenti primari dell'ospedale dove entrambi lavoravamo.
"Puoi sempre farti sostituire" disse Harry, gettando alla rinfusa delle maglie fuori dal suo armadio.
Erano tutto uguali e prettamente nere, alle volte non capivo cosa diavolo scegliesse in quell'armadio monocolore, ma era già abbastanza agitato di suo, meglio non infierire pensai.
"Harry stiamo parlando di lavoro e per me partecipare ad un'operazione simile è molto importante" spiegai, forse per l'ennesima volta in quella mattinata, dove cercavo di arrivare in orario al lavoro.
"Beh allora rinuncerà lui" sbottò, infilandosi finalmente, come previsto, un anonimo maglioncino nero.
Alle volte mi veniva voglia di andargli a comprare qualcosa di un colore diverso, ma ero sicuro che non avrebbe apprezzato affatto, oramai avevo imparato i suoi gusti e potevo dire che fossero abbastanza semplici da indovinare.
"Harry per favore, non dire sciocchezze, non comando io su quell'ospedale e poi..."
"E poi niente Isa, continuo a non fidarmi di quello lì" uscì dalla sua camera, dirigendosi verso il bagno.
Si era innervosito un po troppo per questa notizia, ma in realtà il suo umore non era dei migliori, anche qualche attimo prima che lo avvisassi di questo piccolo particolare e precisamente, quando ricevette una chiamata da parte di sua madre, allontanandosi da me.
Ovviamente non gli chiesi spiegazioni, ma quello che più mi diede fastidio, fu che neppure lui accennò a nulla, gettò solo il telefono sul materasso prima che io gli dessi il colpo di grazia.
"Neanch'io Harry" lo seguì, fermandomi contro lo stipite della porta, mentre lui si spazzolava i denti "ma una volta finito quel lavoro ognuno tornerà alle proprie mansioni e poi...poi nell'ultimo periodo non mi ha dato alcun tipo di problema" mi lanciò un occhiataccia, prima di abbassare il capo per sciacquare la bocca.
"Ci mancherebbe altro" sputò, asciugandosi il viso "dopo l'ultimo discorsetto, se solo lui avesse anche solo provato.."
"Per favore non parliamone, non pensiamo neppure a certe ipotesi"
Il sol pensiero mi metteva i brividi, capivo cosa volesse intendere Harry con quella frase, ma per me, parlarne non era mai facile, non quando quello che lui pensava, a me, era successo realmente.
"Hai ragione, mi dispiace" il suo sguardo si addolcì, forse per la prima volta in quella frenetica mattinata.
Si avvicinò di qualche passo, fermandosi davanti a me.
"Sono solo preoccupato" lo disse a voce bassa, come se dire quelle cose fosse... Strano per lui, lui che non si era mai preoccupato di nulla nella vita e mi sentivo quasi una privilegiata, scaturendo certe reazioni in lui.
"Lo so, so che lo fai in buona fede" mi lasciai cullare dalle carezze che impresse sul mio volto, era così delicato con me, come se fossi una bambola di porcellana pronta a rompersi da un momento all'altro, ma io volevo urlagli che in realtà nella vita, ero stata molto più forte di quello che poteva immaginare, ma soprattutto che lo ero stata da sola, senza l'appoggio di nessuno, almeno fino ad un certo punto "appena finisco di lavorare ti chiamo... Se questo può farti stare più tranquillo" scrollai le spalle, mordicchiandomi il labbro nervosamente, poteva sembrare ridicolo per alcuni, ma io con Harry, continuavo ad imbarazzarmi e a farmi mille complessi.
Se lo chiamo, disturbo?
Chiamo io o aspetto lui.
Purtroppo ero fatta così e nonostante per lui, io non disturbassi mai, la mia insicurezza, tornava a prendere il sopravvento in ogni momento.
"Devi chiamarmi" ordinó, posando le mani contro la porta, ai lati del mio viso "sarei capace di venir lì e fare un macello se non dovessi avere tue notizie per ora di pranzo" sussurrò, strofinando il naso contro la mia guancia bollente.
"Si...eh, per quell'ora credo di aver finito" balbettai.
"Dopo quello che hai combinato la notte del mio compleanno, arrossisci  ancora" sorrise, baciandomi le labbra.
In me, purtroppo, vivevano due parti opposte, quella timida, ossia quella di tutti i giorni che arrossiva anche per un semplice complimento da parte del proprio ragazzo, e quella audace, un aspetto che non avrei mai creduto mi appartenesse, ma che con Harry, solo in determinate occasioni, divampava senza freni, proprio come quella notte, una notte indimenticabile come ormai quasi tutte quelle che passavo con Harry.
"Non sono arrossita" negai l'evidenza, ma avevo pur sempre una po di dignità da salvare "qui dentro fa molto caldo" sicuramente non era una scusa plausibile, dato che in casa di Harry si erano rotti i riscaldamenti e da circa due giorni, stava aspettando che l'addetto si presentasse a casa sua per aggiustarli.
"Fingerò di crederci" mi beffeggiò, dandomi uno schiaffetto sul sedere, prima di staccarsi da me.
Restai imbambolata a guardare un punto indefinito davanti a me, cavolo ero davvero una stupida tredicenne alle prime armi, anzi ero sicura, che le nuove generazioni, fossero molto più esperte e meno impacciate di me.
"Piccola torna fra noi, siamo in ritardo" ridacchiò Harry, dal fondo del corridoio.
Dovevo darmi una regolata ed anche il prima possibile.

Mission of love [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora