- Ciao.. – dico dolcemente, sentendomi quasi stupida nell’essere così imbarazzata.
- Tu sei Chelsie, vero? – chiede schiettamente, la voce debole, ma comunque dolce come quella di una bambina di cinque anni.
Annuisco alla sua domanda accennando un sorriso dolce.
- Louis dice sempre il tuo nome.. – dice guardandosi le scarpe.
- Davvero? – chiedo, sorridendo come un’imbecille.
Lei annuisce.
- Louis mi ha parlato di te.. Ti chiami Sophia, vero? – le sorriso.
Annuisce di nuovo, mantenendo lo sguardo sulle scarpine scure. Non sembra molto vogliosa di fare conoscenza, soprattutto se è la ragazza di suo fratello. Spero che non si senta minacciata da me o qualcosa di simile.. non gli porterei mai via Louis o qualcosa di simile. La sua tristezza non sembra far riferimento a questi miei pensieri, ma ne ho quasi paura. L’ultima cosa che voglio è che la sua famiglia mi odi e possa pensare che lo priverò di loro. Non potrebbe succedere, mai. Quando Louis sale in macchina c’è uno strano silenzio, che ne io ne la bambina seduta dietro a in mente di interrompere.
- Perché non hai chiamato la mamma Soph? – gli chiede dolcemente Louis.
- E’ andata via.. Seattle.. – si limita a rispondere la piccola.
Louis sbuffa prima di avviare la macchina e partire.
- Ti va di restare da me? O preferisci tornare a casa? – mi chiede in un sussurro.
- Vengo da te.. – dico senza ripensamenti.
***
Mi sento spaesata senza Louis nei dintorni. Mi ha lasciata sola, in salotto senza di lui, con Sophia. Mi sento a disagio. Ovviamente lei non ha fatto nulla, ma mi sento comunque a disagio. E’ rannicchiata nell’angolo opposto al mio a guardare la televisione.. guardare.. sembra più immersa in pensieri tristi o che per lo meno la intristiscono. Le piccole Vans scure ai piedi del divano. Un po’ mi fa tenerezza vederla così, sembra tanto me, molto tempo fa.
- E’ tutto ok? – le chiedo lanciandole uno sguardo comprensivo e dolce.
Lei annuisce semplicemente.
- Sai, tenerti tutto dentro non ti farà sentire meglio.. Lo so per esperienza. Vuoi raccontarmi che succede? – le chiedo.
A dire il vero ho perso tutta la mia sicurezza nel pronunciare quelle parole. Insomma, infondo per lei non sono nessuno, perché dovrei essere io quella a cui confidarsi? E’ solo che vorrei essere d’aiuto. Funziono così con tutte le persone, non riesco a resistere agli occhi desolati, tristi o rancorosi delle persone. So cosa vuol dire essere tristi o provare rancore verso delle persone.. nel momento in cui hai un modo per sfogarti e liberarti l’anima da quei pesi enormi, non puoi che sentirti meglio. Per come la vedo in questo momento, la tristezza è un masso troppo pesante sull’animo di una bambina di soli cinque anni..
- A scuola mi prendono in giro. – dice con un filo di voce e tristezza.
Mi avvicino e lei si tira su dritta, iniziando a muovere le gambine che penzolano dal divano. Guarda i piedi scalzi, ricoperti dal tessuto bianco dei calzini, mentre ci gioca nervosamente.
- Perché? –
- Perché io non ho il papà.. e la mamma è sempre via per lavoro.. – sbuffa.
E’ impossibile non notare la somiglianza che c’è tra me e questa bambina! Io non ho un papà, a dirla tutta non ho genitori, sono orfana, ma dal momento in cui Caroline mi ha adottata per me è stata mia madre. Quindi, visto coi miei occhi, mi manca la presenza di un padre, non quella di una madre. Inoltre mia madre lavora incostantemente per mantenerci. Fa turni assurdi e io fatico molto ad avere la sua presenza vicina.
- Anche per me è così sai? Non ho un padre.. e mia madre lavora tantissimo.. non la vedo quasi mai. – le sorrido un po’ a malincuore.
- Davvero? – chiede.
Annuisco. Non so perché, come una completa deficiente mi ritrovo a far penzolare anche le mie di gambe dal divano, in tenera compagnia di Sophia. Lei mi guarda e accenna un tenero sorriso.
- Io non ho mai visto il mio papà.. tu si? –
- Per un po’.. poi se n’è andato via. –
- Perché? – chiede con innocente curiosità.
- Era cattivo.. e se n’è andato. –
Mi cala la malinconia e mi si rigela il sangue nelle vene a pensare al vero significato del Nicholas cattivo. Chiudo un istante gli occhi e scuoto il capo. Cerco di riconcentrarmi sulla bambina prima di entrare in qualche crisi dei vecchi ricordi.
- Cos’è successo stasera? – le chiedo dolcemente.
- Alice dice che non mi vuole nessuno. Dice che la mamma e il papà non mi vogliono bene, e che sono sola, senza amiche.. mi prende in giro insieme alle altre.. – quasi sbuffa mentre si trattiene dal piangere.
- Alice è sempre così cattiva con te? –
Annuisce solamente. La sua tristezza non riesce a farmi pena, semplicemente mi intenerisce. E’ solo una bambina messa sotto giuria da quattro bambine viziate, e la cosa che più mi accomuna a lei è che siamo simili, davvero.
- Beh.. puoi dire a Alice che io sono tua amica. Aspetta.. mi vuoi come amica vero? – le dico in tono scherzoso.
Le si crea un piccolo sorriso sincero in viso, mentre annuisce e lascia libero spazio a due profonde fossette. Gli occhi azzurrissimi sono limpidi e felici. Non penso di essere un’amica speciale o qualcosa di simile, ma posso esserle vicino ed aiutarla, cosa che nessuno ha fatto con me ma che avrei gradito facessero. Le faccio segno di abbracciarmi, e lei non ci pensa due volte a stringermi a lei. L’andare d’accordo con lei inoltre è un passo in più anche per me e Louis. Se starò con lui dovrò essere accettata dalla sua famiglia, e con Sophia è solo un passo avanti. L’entrata in scena di Louis, pulito e cambiato stona leggermente nella faccenda, ma fa comunque piacere. Mi sorride dopo aver visto la sorella sorridere. Veste un semplice paio di pantaloni grigi della tuta e una maglietta bianca. I piedi scalzi, e capelli quasi del tutto asciutti gli ricadono sulla fronte.
- Che mi sono perso? – sorride confuso.
- Niente. Ho fame.. – sorride la bambina.
- Questa sorta di comunella non mi piace per niente.. ti preparo un panino. – ridacchia alzando gli occhi al cielo.
Si dirige verso la cucina mentre la piccola ritorna intenta a guardare i cartoni animati. Credo dovrei andare con lui, ma non vorrei lasciarla sola.
- Non gli vai a dare una mano? – chiede fingendo innocenza Sophia.
Questa bambina è un po’ troppo sveglia. Le sorrido in imbarazzo e seguo Louis verso la cucina. Ricordo vagamente la sua casa, maggiormente la sua camera da letto o camera degli interrogatori, se vogliamo dirla tutta. Non ho ottimi ricordi del fatto di essere stata qui, se non che lui mi abbia confessato di se e io gli abbia confessato di me. Cammino piano verso la cucina, soffermandomi sulla soglia per vedere che succede. A messo del pane nel tostapane ed ora è appoggiato alla finestra sopra uno dei banconi della cucina per fumare. Guarda oltre la finestra, mentre il cielo piange piccole goccioline.
- Vuoi una mano? – chiedo dolcemente attirando la sua attenzione.
Scuote il capo sorridendomi. Non voglio sentirmi inutile, con le mani in mano. Vedo che sul bancone contornato da sgabelli, dove probabilmente mangiano, ci sono dei pomodori, dell’insalata e del tonno in scatoletta e il materiale per affettarli. Non credo sia il pasto adeguato per una bambina di cinque anni alle undici di sera, ma non dico nulla. Quando faccio qualche passo verso l’interno lui scuote il capo e mi dice di raggiungerlo. Ritraggo l’idea di affettare la verdura e lo raggiungo. Butta il mozzicone della sigaretta fuori la finestra e, senza il ben che minimo sforzo, mi alza facendomi sedere sul marmo freddo della cucina, posizionandosi fra le mie gambe.
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HEARTS & GUNS
Fanfic[Dal Chapterღ 25] - Tu non puoi aiutarmi.. sono io quello forte, quello che deve aiutare te. Tu non devi fare nulla.. – mi deride scherzosamente. - Un giorno avrai bisogno del mio aiuto.. – dico scherzosamente. - Tu dici? Io non credo. Per come sei...