Il piumone bianco mi avvolge completamente tenendomi al caldo. Louis è appena uscito dal bagno dopo essersi fatto una lunga doccia. Indossa appena un paio di boxer grigi. Mi guarda un po’ stranito prima di raggiungermi con estrema lentezza e imbarazzo. Gli faccio cenno col capo di venire e lui, con altra lentezza, arriva. Si infila sotto le coperte, nella parte opposta alla mia, e si stende su un fianco per guardarmi in faccia, esattamente come sono messa io. Non c’è nessun tipo di contatto fra noi, ora come ora. Penso sia il momento giusto di parlare, perché so che è quello che vuole fare. Glielo leggo negli occhi. Vuole sapere, avere risposte a domande che non ha ancora potuto o avuto il coraggio di pormi. Glielo devo. Mi ha salvato dalle mani di Michael, mi ha salvato la vita, in un certo senso. Rispondere a qualche domanda mi sembra doveroso, ma voglio sapere anche io qualcosa, e se non ne approfitto ora non saprò mai nulla di questo ragazzo.
- A che pensi? – chiede.
- Ti posso fare una domanda? – chiedo, un po’ intimorita da una qualsiasi sua reazione.
- Riguardante..? – mi incalza.
- Te. – mi limito a dire.
Ci pensa su. Forse anche lui sta pensando quello che ho pensato io. Forse sa benissimo che, ora che sono leggermente aperta nei suoi confronti, potrà chiedermi qualsiasi cosa e io risponderò. Ma sono davvero sicura di voler affidare il mio passato nelle mani di un ragazzo, che potrebbe usarlo per rovinarmi il futuro? Che potrebbe farmelo ritorcere contro? No, non ne sono sicura. Ho bisogno che, se vorrà sapere qualcosa, mi dia la conferma a voce, anche solo per provare a fidarmi di lui, della sua parola. Sto giocando col fuoco, lo sento. Spero solo di non bruciare viva.
- Una sola. In cambio, anche io te ne farò una. Ci stai? E’ uno scambio equo. – dice con lieve preoccupazione.
- Chiedi.. – dico esausta.
- So che l’unico ragazzo a cui ti sei mai avvicinata e John, perché? – chiede.
Nemmeno un briciolo di coraggio per guardarmi negli occhi, mentre porge la fatidica domanda. Credo senta il mio sguardo su di lui, perché lo sto fissando leggermente divertita dal suo imbarazzo e un po’ intimorita dalle informazioni che sto per rivelargli.
- Io.. Dio è una cosa così complicata! – penso a voce alta.
- Posso provare a capirla.. – propone sempre con lo sguardo basso.
Sbuffo. Aspetto qualche minuto indecisa e alla fine mi butto, gli racconto ogni minima cosa, cercando di entrare il meno possibile in dettagli dolorosi.
- Dunque ehm.. Io sono stata adottata. I miei veri genitori sono morti in un incidente stradale quando avevo appena un anno. Sono l’unica sopravvissuta. Ho vissuto fino a cinque anni in un orfanotrofio prima che Caroline e Nicholas mi adottassero. – inizio a spiegare.
Lui è attento, curioso mentre riposa lo sguardo su di me, che lo abbasso sulle mie dita che giocano con un lembo del lenzuolo nervose. Il suo sguardo non è giudicatore, anzi, man mano che procedo con la mia storia è sempre più sorpreso, pentito e comprensivo. Non mi sta giudicando, e questo mi piace. Forse ho sbagliato qualcosa su di lui. Forse non è così cattivo come immagino.
- Fin dal primo momento in quella casa conobbi Barney, lo zio Barney, così almeno voleva lo chiamassi Nicholas. Era il suo migliore amico, credo, e anche un fidato collega di lavoro in banca. Veniva spesso a cena da noi il sabato, così da poter guardare il basket con Nicholas. Ricordo che un sabato, durante il periodo Natalizio, chiamò Nicholas per dirgli che aveva problemi con l’auto. Nicholas lo voleva li, si giocava la semi finale tra New York Knicks e i Chicago Bulls, una partita importante e Barney doveva esserci. Così lo andò a prendere, tornarono, cenammo e guardammo assieme la partita. Verso il tardi Nicholas mi chiese di accompagnarlo a riportare a casa Barney.. E’ da li che è praticamente iniziato tutto.. – dico incominciando a farmi più forza.
- Va avanti.. – mi incita con dolcezza.
- Beh.. Dio io.. me ne vergogno terribilmente. Avevo solo quattordici anni! – dico con nervosismo.
- Cosa ti hanno fatto? – chiede facendosi più serio.
- Loro, anzi Barney, beh.. – gesticolo nervosamente.
E troppo imbarazzante, troppo doloroso, parlare di questo. I ricordi affiorano nella mia mente. Mi si rivolta lo stomaco alla sola idea che Michael stava per rimacchiarmi in quel modo. Lancio uno sguardo a Louis, il quale sembra capire subito.
- Ti ha violentata? – chiede scioccato, anche se un brivido d’ira sembra percorrerlo.
Annuisco spostando subito lo sguardo da lui. Sto per piangere. Sopprimo le lacrime prima che possano uscire, ma la vista leggermente appannata mi fa capire che non resisterò a lungo. Perché non riesco a farmi forza? Perché non riesco a superare la cosa? Sono passati circa sei anni da quella volta, perché non riesco a essere un po’ forte, cazzo?!
- Che lurido bastardo! – si lascia scappare imprecando.
- E da li che è davvero iniziato tutto.. In un anno ho preso forse più di 40 kg, per non parlare degli incubi e della questione “ Ragazzi ”.. – spiego tenendo lo sguardo basso.
- Odi farti toccare perché hai paura che possa riaccadere? – chiede ipotizzando.
- Il fatto è che un contatto fisico con un ragazzo qualsiasi mi fa tornare alla mente quello.. e ci sto davvero male. E’ come se ogni volta mi si lacerasse una parte di me che cerca solo di rimarginarsi! – spiego, e ormai non c’è nulla che blocchi quelle lacrime.
- Ma allora perché con John.. – prova a dire prima che lo interrompa.
- John è un caso a parte. All’inizio accadeva anche con lui. Quando mi ha rivelato di essere gay, i baci sulla guancia o gli abbracci, sono diventati quelli di un’amica. – spiego.
Resta in silenzio per svariati minuti, a fissare il soffitto bianco della sua stanza. Quando il suo sguardo comprensivo e confortatore torna su di me fa per avvicinare una mano, per asciugarmi una lacrima credo, ma si blocca a metà strada, ritraendola subito.
- Mi dispiace.. se lo avessi saputo.. – si scusa subito.
- Sei un caso a parte anche tu.. – accenno, afferrando la sua mano e portandolo a finire il gesto che stava per compiere.
- Perché? Non sono come John.. non siamo nemmeno amici.. – dice incredulo.
- Non lo so perché.. So solo che con te è diverso.. Piacevolmente diverso. – accenno con leggero imbarazzo.
Gli occhi ancora bassi, troppo intimoriti forse, per poterli sollevare. Il letto si muove leggermente mentre lui si avvicina a me per abbracciarmi. E’ un gesto inaspettato, ma che accetto ben volentieri, alla fine è ciò di cui ho bisogno in questo momento: conforto, è un abbraccio può aiutare. Il suo profumo mi manda in ecstasy. E’ così dolce, buono.
- Ti posso fare un’ultima domanda? – chiede.
- Avevi detto una a testa.. – gli ricordo sorridendo sul suo petto.
Non risponde. Per un momento sento la sua presa stringermi di più e poi mollare leggermente. Una mano, che poco prima era posata sulla mia schiena, scende e mi afferra un polso. Penso di riuscire ad immaginare cosa voglia chiedermi, del resto, la bugia del giorno prima non dove aver attaccato.
- Da quanto lo fai? – chiede.
Il suo pollice si muove in movimenti circolari sulla garza, dopo essersi fatto spazio sui pochi braccialetti in pelle rimasti. Il suo non è ne un tono duro, ne accusatore. Chiede, quasi fosse avvolto da un’innata innocenza, solo per capire, per curiosità. E’ quasi un sollievo sapere che, qualsiasi cosa gli abbia detto o gli stia per dire, non verrà giudicata, io non verrò giudicata. Credo sia la prima volta in tutta la mia vita che riesco ad essere così rilassata nel raccontare queste cose, nello sfogarmi su qualcuno che non sia Chelsie Morris.
- Da un paio d’anni a dire il vero.. Ma non lo faccio spesso. Capita a volte che abbia bisogno di sfogarmi e non ci sia nessuno con cui poter parlare apertamente.. – dico facendo spallucce, quasi fosse qualcosa di normale, ma ovviamente non lo è.
- Lo dici con tanta naturalezza.. Fai quasi paura.. Perché non hai mai parlato con Wendy, o con John? – chiede confuso.
- Perché nessuno di loro due sa di tutto quello che ti ho detto.. E poi perché non voglio che le persone soffrano o siano stressate dai miei problemi. Non voglio far star male nessuno.. – accenno intimidita.
- E’ una cosa stupida, lo sai vero? – mi deride nervosamente.
- No non è una cosa stupida.. – mi difendo.
- Si invece. Non può sempre importarti degli altri.. Non puoi fare male a te stessa perché ti credi un peso per loro.. E’ da stupidi. Tenersi tutto dentro è stupido! – sbuffa.
- Allora anche tu sei stupido.. – accenno.
- Lo so.. – dice solamente.
Sa che mi riferisco al fatto che non può far soffrire terzi perché soffre anche lui. Non può dirmi che tenersi tutto dentro è sbagliato quando lui sbaglia esattamente come me. Come può avere il coraggio di far sentire le persone come si sente lui? Io non ce la farei mai. Credo di aver sofferto così tanto che vedere una persona che possa soffrire anche solo la metà di me, mi farebbe malissimo. Forse allora è questo che divide quella grande sensazione di dolore che ci accomuna. Siamo due stupidi. Io, una stupida troppo buona, lui, uno stupido troppo egoista.
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HEARTS & GUNS
Fanfiction[Dal Chapterღ 25] - Tu non puoi aiutarmi.. sono io quello forte, quello che deve aiutare te. Tu non devi fare nulla.. – mi deride scherzosamente. - Un giorno avrai bisogno del mio aiuto.. – dico scherzosamente. - Tu dici? Io non credo. Per come sei...