In men che non si dica però il tempo mi tradisce, come la mia mente che mi riporta alla realtà. Louis è sbagliato. Si è preso gioco di me e lo sta facendo ancora. Userà questo bacio, la visione della me fragile e debole per uccidermi dentro. Quanto posso essere stupida? In un attimo mi allontano, cogliendolo alla sprovvista, ricominciando a far scendere una o forse due lacrime. Ricomincio a ricostruire il mio piccolo muro, che ha ceduto una seconda volta per colpa di Louis. E’ un po’ scioccato dal mio allontanarmi da lui così all’improvviso. Mi guarda in modo confusionario, cercando di provare a capire, ma non credo ci riesca. Mi passo velocemente le mani sulle guance, che probabilmente saranno sporche di nero, visto l’ennesimo pianto che il mascara non sarà riuscito a sovrastare. Incrocio un’ultima volta il suo sguardo, confusa più che mai, prima di scappare fuori la porta e raccogliere la borsa ai piedi del divano. Mi afferra un braccio prima che possa muovermi verso le scale per uscire.
- Dove stai andando? – chiede più confuso di prima.
- Lasciami Louis.. – lo avverto, strattonando il braccio per sottrarlo alla sua ferrea presa.
- Si può sapere che cazzo hai? Perché la fai sembrare una cosa così tragica? Era solo uno stupido bacio Chelsie! – dice mettendosi sulla difensiva.
- Io.. – non so che dire, non so come spiegarlo.
Il fatto è che essere così aperta con lui mi ucciderà. Lui vuole solo uccidermi ulteriormente, umiliarmi, ne sono sicura, e gli ho già dato troppe opportunità con cui farlo. Solo uno stupido bacio.. Solo uno stupido bacio.. questo cerco di ripetermi le stesse parole fredde che ha appena proferito lui, ma non funziona.
- Perché lo hai fatto? – chiedo, cercando un motivo per litigare, cosicché mi lasci andare.
- Cosa? – chiede scioccato.
- Perché mi hai baciato? –
- Perché non avrei dovuto? Tu lo hai voluto esattamente quanto l’ho voluto io! –
Mi mordo il labbro nervosamente. So che ha ragione, ha fottutamente ragione, ma il suo sorriso compiaciuto mi da i nervi. Ho bisogno di tornare a casa, buttarmi a letto e piangere. Non so perché ne ho così tanto bisogno ma devo, prima di crollare qui. Libero la presa dei denti e cerco di chiudere gli occhi per imprigionare le lacrime dentro i miei occhi e non farle uscire.
- Io me ne vado.. – lo avviso, prima di aprire gli occhi.
- No, non da sola. – dice fermandomi nuovamente.
- Ho vent’anni, sono praticamente una donna matura e responsabile e ho due fottute gambe. Posso tornare a casa da sola benissimo! – dico malamente.
- Non quando sei nella periferia più infame di New-York cazzo. Ti porto io a casa, fine della discussione! – ringhia seccato.
Non mi resta che sbuffare, alzando gli occhi al cielo, e aspettare che mi faccia strada verso l’uscita, e in seguito verso il suo SUV nero. Mi guardo intorno ancora scossa per la miseria che c’è qui. E’ davvero uno dei quartieri più infami. Palazzi grigi e decadenti, ragazzini di quattordici anni sporchi mentre iniziano con le prime risse. Nessuno dei due proferisce parola per tutto il viaggio, che non dura eccessivamente molto. Louis guida concentrato sulla strada, senza mai distogliere gli occhi da ciò che sta avanti a lui. Io rimugino sugli eventi appena passati mentre guardo fuori il finestrino. Sto usando tutte le mie forze per essere forte davanti a lui, per non crollare nella sua macchina. E’ che sto male, male davvero. Ogni singola volta che rivivo nella mia mente quei singoli momenti passati, perdo tutte le forze e il mio involucro da dura. E’ come se quei ricordi sradicassero completamente, tutte le volte, il mio muro. Ora mi ci vorrà un po’ prima di ricostruirlo partendo però dalle fondamenta. Sussurro un semplice “ Siamo arrivati ” indicando la mia casetta bianca, sputata a tutte quelle a schiera vicine. Parcheggia davanti al vialetto, senza nemmeno spegnere l’auto, il che è confortante, perché significa che non mi accompagnerà oltre e ci possiamo salutare qui. Non voglio più passare un altro secondo qui con lui, o giuro che crollerò lasciandomi uccidere dentro dalle sue umiliazioni.
- Ehi Chelsie, senti.. – prova a dire, ma lo interrompo prima che possa andare oltre.
- Non voglio che si sappia in giro.. per favore, non dire niente. – chiedo in una specie di supplica disperata.
Ma infondo è proprio questo che è, una supplica disperata. Forse solo per fargli un po’ di pena, giusto per evitare che parli delle mie debolezze ad altri, che le userebbero contro di me. Mi guarda un po’ deluso, credo, ma non m’importa. Spero solo ascolti la mia supplica.
- Si.. si ok.. – sbuffa annuendo e spostando lo sguardo sul suo finestrino.
Non credo molto alla sua conferma, ma convinco me stessa che non può essere così cattivo e stronzo. Non c’è nemmeno molto altro da dire, e capisco che per lui la discussione finisce qui. Accenno un “ Grazie ” con filo di voce prima di scendere e correre verso casa. Recupero le chiavi dalla borsa e le infilo nella serratura girandole, e facendola scoccare poco dopo. Entro dentro senza guardarmi indietro, nemmeno quando sento la macchina allontanarsi via dal mio vialetto. Chiamo giusto un paio di volte mia madre, urlando, solo per avere la conferma che lei non è in casa. Se devo essere sincera è meglio così. Ho bisogno di stare un po’ da sola, perché sono troppo confusa e addolorata per poter avere una sorta di comunicazione con qualcuno. Mi affretto a fare quei pochi scalini che mi dividono dal piano superiore e raggiungo la mia camera. Butto la borsa sul letto e prendo qualcosa di pulito da mettere per potermi fare una doccia. Forse l’acqua calda mi rilasserà. Prendo l’intimo e un vecchio pigiama, o meglio una semplice maglietta extra-large della vecchia me e i suoi pantaloncini corti. Cose ormai enormi per me. Mi chiudo in bagno, poso le cose sul mobiletto vicino e mi guardo allo specchio. Non so nemmeno chi sia quella ragazza di fronte a me così triste e confusa. Vorrei tanto non essere io quella ridotta così. Mi passo una salviettina leggermente umida sul viso per stuccarmi e poi, con tutta la calma del mondo, comincio a sfilare uno ad uno ogni singolo braccialetto di pelle che mi avvolge i polsi. Ed eccole comparire come segno evidente della mia depressione, del mio odio per me stessa. L’unica valvola di sfogo che ho, il mio corpo. Piccole cicatrici biancastre, di cui nessuno, a parte me, ne sa l’esistenza, compaiono dal loro nascondiglio. Ci scorro sopra il polpastrello di un dito chiudendo gli occhi, rivivendo ogni singolo motivo per il quale la mia mente, il mio corpo, mi ha spinto a farlo. Leggo storie di ragazze perfette, senza problemi, con i loro genitori. Famiglie felici di ragazze altrettanto felici, mai sole. Perché allora io devo essere la pecorella nera tra il gregge del bianco perfetto? Il tessuto dei jeans mi scorre sulle gambe, accarezzandole. Una volta a terra insieme all’intimo li butto nel cestino dei panni sporchi, seguiti a breve dalla mia maglietta e dal reggiseno. I lunghi e mossi capelli chiari mi ricadono su una spalla prima che possa accendere l’acqua ed entrare in doccia una volta calda. Credevo che il perfetto miscuglio tra il silenzio della vuota casa, e il delizioso tocco dell’acqua calda sul mio corpo, riuscissero a rilassarmi, ma invece è esattamente tutto il contrario. Il bisbiglio del getto d’acqua riesce solo a coprire i miei singhiozzi, come del resto le goccioline sul mio viso mimetizzano le amare lacrime di dolore. Gli avevo chiesto di non farlo, di lasciarmi in pace, ma lui ha dovuto farlo per forza, e ho passato alcuni minuti terribili rivedendo quelle scene orribili. Ciò che mi confonde di più è come sia possibile che mentre mi stava baciando, questi ricordi orribili se la siano data a gambe, facendomi godere di quel contatto. E mi è piaciuto, altro punto da aggiungere alla mia confusione, ma alla fine è stato solo uno stupido bacio per lui, punto in più al dolore che prova quella piccola parte del mio cervello, soffocata finora. Come può essere stato solo un semplice bacio per lui, quando per me è stato così piacevole, confuso e doloroso allo stesso tempo? Forse sono semplicemente io troppo complicata. Devo lasciar perdere, come sempre, e affogare il mio stress, il mio dolore in qualche modo. Scorro le lame del rasoio sulle mie gambe, prima di riavere quelle immagini ancora nella mia mente. Perché è così difficile liberarmene da sola? La lama del rasoio punta ai miei polsi, e allora provo a liberarmi di quei pensieri. Non sento nemmeno il dolore della lama che mi lacera un breve pezzetto di carne. L’acqua ai miei piedi passa da limpida ad opaca, fino a passare da varie tonalità del rosso e fermarsi su quello più vivo, dopo il secondo taglio. L’acqua brucia leggermente a contatto con la carne e il sangue vivi. Mi scappa un sorriso mentre continuo a piangere. Meno di mezzora fa stavo litigando con Louis perché non era in grado di disinfettare le sue ferite, sciacquandole solamente, ed ora? Io sto facendo la stessa cosa che stava facendo lui. Perché lui non è qui a fare la stessa cosa che invece stavo facendo io? Perché non è qui a medicare i miei tagli? Scuoto leggermente il capo liberandomi da quei pensieri, prima di iniziare ad insaponarmi e lavarmi i capelli. Non voglio più pensare a Louis, o a qualsiasi cosa lo riguardi. Ho solo avuto un momento di debolezza.. non ricapiterà più! E suona più come una frase per convincere me stessa che come una promessa. Quando finisco, esco velocemente vestendomi e sistemando i capelli ancora bagnati in una crocchia ordinata. Mi fascio e disinfetto il polso che ho tagliato prima di indossare nuovamente tutti i miei braccialetti. Non ho fame, ma sono molto stanca e ancora giù di morale. So che non riuscirò a dormire. Ora che nella mia mente sono tornati quei ricordi non chiuderò occhio stanotte, ma ci voglio provare. Vado a stendermi a letto, spegnendo la piccola luce sul comodino e cercando di bearmi del ricordo di forti braccia che mi tengono stretta e labbra sottili giocare con le mie.
***
LOUIS’S POV
- Ti avevo detto di aspettarmi li, perché non mi hai ascoltato? – strilla Wendy davanti l’entrata di scuola.
- Wendy io.. – prova a dire Chelsie, ma Wendy non le da tregua.
- Sai se ti fosse successo qualcosa? Dio, non me lo perdonerei! – dice portandosi una mano sul viso.
- Wendy sei sempre la solita cogliona! - la rimprovera Zayn.
Sono esausto. Non ho dormito stanotte, facendo incubi su incubi e l’ultima cosa che voglio sentire a quest’ora del mattino sono le urla isteriche di Wendy. Immaginavo fosse stata lei a portare Chelsie al rifugio ieri, me lo sentivo. E’ sempre la solita. Coinvolge sempre persone che non dovrebbero centrare un cazzo, come John ad esempio. Zayn mi ha detto di aver sentito Wendy raccontare a quel ragazzo tutto quello che riguardò me e i giorni prima della mia partenza. Questa cosa mi fa già innervosire parecchio, senza contare che ha portato Chelsie al rifugio, coinvolgendola in questa merda. Mi avvicino alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa, quando riesco a scandire bene le sue parole.
- Si può sapere che cazzo c’è da strillare così? – chiedo malamente una volta raggiunto l’intero gruppo.
- Louis stanne fuori! – mi dice puntandomi il dito contro.
- L’ho portata a casa io. Dio, se avesse aspettato te ci sarebbe morta in quel cazzo di buco! – ribatto.
- Perché non mi hai detto che era stato lui a portarti a casa? – chiede arrabbiata.
Chelsie boccheggia qualcosa, annaspando con le parole, così rispondo io per lei.
- Evidentemente perché non la lasci parlare.. – dico un po’ troppo malamente.
So che di li a poco litigherò con Wendy, e per quanto tenti di trattenermi sto per esplodere, mentre lei trova patetiche giustificazioni al suo comportamento da irresponsabile imbecille.
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HEARTS & GUNS
Fanfic[Dal Chapterღ 25] - Tu non puoi aiutarmi.. sono io quello forte, quello che deve aiutare te. Tu non devi fare nulla.. – mi deride scherzosamente. - Un giorno avrai bisogno del mio aiuto.. – dico scherzosamente. - Tu dici? Io non credo. Per come sei...