La tranquillità che precede la tempesta

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Dopo qualche minuto passato a cavalcare la creatura marina, Sayuri balzò giù dal pesce gatto gigante, rischiando di slogarsi entrambe le caviglie; nel dare una rapida occhiata ai dintorni adocchiò subito lo Striker di Ace e, traballante, cominciò a correre verso l'unica via accessibile. Superò la piccola spiaggia e percorse tutta la salita rocciosa costeggiata da grigie pareti fatte del medesimo materiale, mantenendo una'andatura semiveloce, senza mai fermarsi. Anche se non perdeva più sangue, il dolore non era diminuito, anzi le stava invadendo il corpo come fosse un veleno inarrestabile, freddo e paralizzante; incespicava nel muovere correttamente le gambe, respirava con sempre più fatica e i giramenti di testa divenivano insistenti e sempre più influenti. La slealtà di Togai era stata a dir poco che ripugnante ma la sua stessa disattenzione, il cadere nelle sue trappole con tanta facilità aveva fatto la sua parte e anche se era riuscita a vincere, non poteva non pensare che se solo fosse stata un po' più sveglia, non si sarebbe procurata quelle ferite. Non percepiva dolore nel mezzo e questo un pò la impensierì perché qualcosa di rotto doveva avercelo sicuramente ma al momento, non era la sua condizione fisica a starle a cuore bensì quella di qualcun altro e questa superava di almeno tre misure qualsiasi altra cosa. Costrinse le sue gambe ad aumentare il passo in uno sforzo dettato unicamente dal suo status emotivo.

Ace....Ace!

Teneva ben premuta la mano sulla ferita, usandola come tampone provvisorio, inspirando grandi manciate d'aria e rigettandole fuori con prepotenza. Se espandeva i propri sensi era certa che avrebbe sentito l'eco dei pugni che si scontravano, i loro movimenti, la terra tremare, qualcosa per cui l'isola si lamentasse ma invece....non sentiva nulla. Ora che era finalmente riuscita ad arrivare al santuario di Fisher Tiger, percepiva solo il vento tentare di spingerla all'indietro e solleticarle scherzosamente la pelle. Un dubbio le sfiorò la sfera emotiva. C'era qualcosa che non quadrava: quel silenzio non stava facendo che aumentare la sua ansia e la sua paura di andare avanti. Non voleva tornare indietro -anche se temeva quel che avrebbe visto-, ormai era lì e camminare sui suoi passi sarebbe stata pura vigliaccheria. Pochi minuti dopo, giunse in prossimità dello spiazzo dove il santuario era stato eretto; l'intero posto era un campo costituito unicamente di roccia, con spuntoni d'ogni forma e dimensione, privo anche del più piccolo filo d'erba. A Sayuri non occorse molto prima di focalizzare le profonde spaccature createsi sul terreno e i solchi che ne rendevano la struttura ancora più irregolare: la gran parte dei piloni era stata distrutta, come fatti esplodere da tanti petardi messi insieme. L'intera area era stata rasa al suolo da un tifone di dimensioni abnormi; un tifone scatenato da due entità parecchio in conflitto dovette aggiungere mentalmente Sayuri.

Zoppicando di qualche passo, sobbalzò nell'individuare chi cercava: a diversi metri da lei, c'erano Ace e il sommo Jimbe, a terra, con la pancia in giù, sfiniti e coi corpi martoriati, anche se quel termine non poteva descrivere a pieno il loro stato. Scioccata, la ragazza si portò una mano alla bocca nel vedere com'era conciato il ragazzo. Entrambi erano ancora coscienti e da come si guardavano, la giovane non potè che dedurre due cose: la prima era che, da quanto vedeva, non si erano chiariti per niente e la seconda che, piuttosto che arrendersi, quei due stavano cercando di darsele a suon di occhiate assassine pur di dimostrare chi tra i due fosse il più testardo.

In quel modo allora, potevano andare avanti all'infinito. Assurdità a parte per come ancora cercavano di malmenarsi, dopo cinque giorni erano ancora lì: Ace non aveva ceduto, anzi, stava cercando di tirarsi su e Jimbe era preso nella stessa azione. Attorno a loro si era allargata un chiazza scura dal sapore metallico e ad ogni movimento, le loro ferite non facevano che sgocciolare, lasciando ricadere il sangue che metteva in evidenza la profondità dei colpi e i terribili effetti che i loro corpi avevano dovuto subire. Se si aggiungevano anche quei sibili ossei che infestavano l'aria come spiriti maligni, quello non poteva che essere un macabro concerto reso più digeribile dall'alone di fierezza e orgoglio che entrambi i contendenti emanavano. Per quanto volesse andargli incontro e dirgli di smetterla, Sayuri rimase lì dov'era, cercando di non farsi notare e di non cadere a terra. Quella era pur sempre la battaglia di Ace e, condizioni disastrose a parte, non poteva andare lì e interromperlo. Glielo aveva promesso.

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