Verità parte 2

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Aveva iniziato a piovere. Leggera e silenziosa, l'acqua scendeva dalle nuvole passeggere, non tanto arrabbiate da scatenare una tempesta, ma ugualmente cariche di qualcosa di cui dovevano liberarsi. Picchiettava sul ponte e si diffondeva all'interno della nave sotto forma di tanti piccoli tamburi sordi. Senza ricevere alcuna replica, Ace aveva portato Sayuri nella propria stanza, leggendo nel suo silenzio il desiderio di non voler più andare avanti con quanto stava succedendo.

Il peso di tutti quei anni passati a contenere un inferno dato dal distacco, dall'odio e dalla discriminazione, alla fine, era stato sciolto dalle briglie che lo tenevano relegato nel petto della ragazza, liberando una sofferenza così grande che la poverina non era più stata in grado di rinchiudere nuovamente dentro di sé; imporsi di resistere, di non piangere per quei pochi minuti che le occorrevano, era stato del tutto vano. Il suo animo e il suo io interiore si erano riempiti di incrinature, ferite, così come le catene e i sigilli posti da lei stessa: le cicatrici si erano riaperte, andando ad approfondirsi e a sanguinare ininterrottamente e le sue difese a lungo andare si erano arrugginite, indebolite dal suo vacillare. Il colpo a cui tanto si era preparata era stato di una potenza indescrivibile, imparagonabile a qualsiasi altro attacco fisico o morale che fino a quel momento aveva subito; invece di rilasciare pezzi di sé periodicamente, aveva accumulato e accumulato, col risultato di non saper reagire con dovuta risolutezza a tale impatto, troppo forte per lei, già sull'orlo del baratro.

Si aspettava veramente di cadere nella solitudine più buia e di non vedere più la luce del sole, ma a salvarla era stato Ace, ad aver avuto pazienza era stato lui; nel sentire la porta chiudersi alle proprie spalle, aveva avuto la sensazione di trovarsi in un posto sconosciuto al mondo intero, dove c'erano soltanto loro due. L'abbracciava e la teneva vicina a sé con ancora più calore di quanto non avesse fatto a Yukiryu, quasi in braccio; udiva i suoi singulti, il tremore dei suoi pugni che man mano diminuivano, e, intanto, faceva passare le sue dita tra i lunghi e morbidi capelli di lei, appena un po' umidi.

"Ero convinta che non sarei mai stata in grado di scoprirmi con qualcuno" mormorò con voce stanca "Ero convinta...di non meritare la compagnia di nessuno"

Tutti quei anni passati a cercare il proprio posto, a scoprire che cosa fosse un sogno e quale fosse il suo parevano essere finalmente giunti a una metà ben più grande del semplice traguardo che si era prefissa e che solitamente si intravedeva verso la fine della propria vita. Il parlare apertamente, il ricevere quel bacio, le avevano fatto capire che anche lei aveva il diritto di vivere e ancor di più, di essere felice. Non aveva desiderato altro ma ancora sentiva il bisogno di sfogarsi del tutto.

"Mi..Mi dispiace, Ace"

Quando era tornata da Meriko, era subito voluta andarlo a cercare e a forza di girovagare a caso, si era trovata davanti alla porta della stanza del padre. Lì, aveva sentito ogni cosa. Le parole che aveva udito, le avevano paralizzato le gambe, imponendole di restare fino alla fine, pregando che la sua presenza non venisse avvertita dai due uomini.

"Mi dispiace v-veramente, Ace, io..non avevo idea che passando di lì avrei sentito quel discorso.." cominciò insicura.

"E' tutto apposto" la anticipò lui "Probabilmente se non fossi passata di lì nemmeno te lo avrei detto"

La sola persona, escluso lui e la ragazza, che era a conoscenza di quel segreto, era per l'appunto il capitano, ma quello era un caso ben diverso, perché lì aveva ritenuto necessario dirglielo. Odiava il fatto di sapere a quale ramo paterno appartenesse e tutto quello che comportava essere il suo erede. Sayuri non aveva colpa se aveva ascoltato la conversazione e poi, prendersela con lei in quel momento tanto delicato, sarebbe stato tutto tranne che giusto. Lei gli aveva appena confessato tutto quanto, tutto il dolore che lui aveva già percepito in passato e poteva ben capire quanto le fosse costato farlo; si sarebbe comportato da infame se si fosse lasciato condizionare da quell'istinto primitivo, che si svegliava puntualmente quando udiva il nome del Re dei Pirati o quando si parlava di lui. Gli avrebbe imposto di urlare cose impensabili, forse gli avrebbe perfino fatto alzare le mani, ma tutto questo non poteva farlo, non a lei: la rabbia non si era presentata, non lo aveva istigato come tutte le volte e tutto perché la persona che stringeva a sé non meritava di essere trattata come fosse un abominio. Piuttosto, si sarebbe tagliato le vene pur di non ferirla.

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