Distacco

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"Glielo chiedo per favore, padre: mi affidi l'incarico di trovare Teach"

Non seppe dirsi se fosse la disperazione a farla muovere o il suo dovere in quanto ex proprietaria del frutto del diavolo rubato, fatto stava che Sayuri era sempre stata intenzionata di chiedere quel permesso al capitano sin da quando aveva messo piede all'interno della stanza. Ora che finalmente riusciva a guardarlo in faccia, gli occhi le bruciavano maledettamente ma da essi non fuoriuscivano lacrime: lucidi, erano irradiati di un vigore sempre più abbagliante, che danzava nelle sue iridi color cioccolato con sempre meno controllo. Bastava concentrarsi su di essi per dimenticare temporaneamente in che stato fosse stata trovata.
La ragazza vedeva nella sua richiesta la cosa giusta da fare, la sola ritenuta accettabile e afferabile. L'abisso da cui era riemersa le aveva aperto gli occhi su molte cose, troppe, crudeli, ma importanti affinchè conoscesse quel crudo futuro non così tanto lontano. Le sue originali convinzioni erano mutate, da prima ridimensionatesi radicalmente, poi accresciute di particolari così spiazzanti a cui ancora non riusciva dare un posto fisso. Affermare sfrontatamente che Teach li avesse traditi non era corretto per quanto assurdo potesse suonare. Bisognava vederla in un'ottica smisuratamente ampia ed era con un metro di quella portata, che Sayuri era stata capace di delineare il vero Marshall D.Teach, alias Barbanera: egli non apparteneva a pieno all'era passata ne a quella presente, che da una parte stava venendo infangata da alcuni idioti che non credevano nei sogni.

I sogni....l'essenza di un uomo.

Quante volte l'aveva ascoltato al riguardo? Credere all'impossibile era da bambini perché il mondo in cui vivevano era così materialistico che non se ne faceva nulla di desideri inconsistenti come i sogni ma Teach non era di quello stampo, non c'aveva mai tenuto a infettarsi le orecchie di simili scempiaggini. Lui era un sognatore e, per l'appunto, aveva un sogno da realizzare e questo non conosceva limiti, confini o amicizie. Non aveva preso in giro nessuno di loro, li aveva sempre considerati suoi amici; semplicemente, il suo desiderio superava di gran lunga qualsiasi altra fonte di felicità, perché troppo grande per poter essere considerato o spostato in una posizione secondaria. Satch aveva rappresentato un limite, un pericolo per il suo sogno e lui se ne era sbarazzato, dando prova che non esisteva nulla al mondo che potesse impedire agli uomini di realizzare i propri obbiettivi, perché essi non meritano alcun tipo di imposizione. Altrimenti non sarebbero sogni.

"Ho iniziato a navigare a dodici anni e mi sono sempre ripetuta che nonostante quanto avessi già provato, il mondo poteva offrire molto peggio oltre che le sue meraviglie e ci sono molte cose d'esso, che io ritengo ingiuste: l'uccidere insensatamente è una di queste" mormorò con voce stanca "Non ho mai avuto paura di combattere o di respingere chi mi attaccava ma non mi sono mai permessa di infierire mortalmente, perché non ne avevo motivo. Anche se ci fosse stata una qualche ragione a spingermi, non l'avrei reputata abbastanza importante da pormi al dì sopra di quella vita."

Inconsciamente la sua voce si stava assottigliando, riempiendosi di una strana commozione. La pelle attorno agli occhi, già pizzicata dalle lacrime, tornò a farsi rossa mentre le piccole gocce trasparenti come i diamanti iniziavano a bagnarle le fini ciglia nere.

"E'....la prima volta che vedo morire un amico" confessò in un sorriso tremolante "Pe..pensavo che se mai mi fosse capitato, sarei stata in grado di sostenerne il peso senza che mi schiacciasse..ma mi sbagliavo" e degludì "Non sono forte come credevo di essere ne così attenta come molti miei compagni d-dicono"

Cacciò indietro i singulti già pronti a spezzare la sua voce per far sì che le lacrime scendessero. Compresse con la mano le labbra con quanta più forza poteva e solo quando fu sicura di aver represso ogni possibile singhiozzo traditore inspirò altra aria per poter proseguire.

"Non voglio che Teach sparisca dalla circolazione con la convinzione di aver raggirato una stupida e anche se al momento è così che mi sento, io..non ho intenzione di dargliela vinta"
Se adesso non combattessi....
"So bene che un simile fatto richiede l'intervento di un comandante ma vede..proprio perché sono coinvolta a tal punto, che vorrei essere io ad occuparmene" continuò con la visuale nuovamente incollata al pavimento e il respiro affannato.
...Se non reagissi...
"Quindi glielo chiedo con tutto il cuore, padre.."

Si lasciò cadere a terra in ginocchio, picchiando la fronte contro il pavimento e puntando le mani ai lati di essa.

"La prego, mi lasci partire!!"
..Perderei quanto ho di più caro a questo mondo!

Non provò vergogna nel supplicare il più anziano degli imperatori ne le importava di umiliarsi davanti a gente estranea purchè questa capisse appieno la sua disperazione. Fino a quando il capitano non avrebbe emesso la propria sentenza, lei non avrebbe alzato il capo da lì e se mai le fosse stata negativa l'approvazione avrebbe ritentato. La predizione non era più un ricordo sfocato ed enigmatico ma un'autentica fonte di paura che si era elevata, mostrandole che quell'incubo era soltanto alle fasi iniziali. Se non poteva impedirlo, poteva almeno cambiare i fatti ed era questo che puntava a fare, ma prima di tutto necessitava del permesso del padre perché se fosse rimasta sulla nave, in silenzio, qualcun altro sarebbe andato per imporre la giustizia di Barbabianca e lei sapeva fin troppo bene che quel qualcuno era Ace.
Orgoglioso com'era, non avrebbe mai permesso che Teach la passasse liscia e glielo aveva anche detto. Non si parlava soltanto della vita di un fratello o della sua ma di come quel pazzo avesse preso in giro il buon nome del padre, lo avesse utilizzato a suo piacimento per agire con maggior libertà e quel comportamento era la maniera più efficace per mandare in bestia uno come Ace, il cui affetto per il capitano era profondo per molti aspetti che solo lui, lei e ovviamente il Bianco conoscevano.

Si era sforzata di non far trapelare nulla di quel discorso che accidentalmente aveva ascoltato ma prima di quella notte dichiaratoria, aveva pensato e ripensato alle parole del ragazzo, a come trasudassero di indifferenza nei confronti del parente biologico e lei, nonostante la sua buona volontà, il suo passato, non aveva potuto comunque comprendere appieno quel rancore e tutto perché era troppo buona per serbare dentro di sé un simile sentimento, proprio come lui le aveva detto. Il dolore era simile ed era grazie ad esso che si erano trovati, avvicinati fino a stringersi e a mostrarsi; da lì in poi, la vita di Sayuri aveva cominciato a salire lungo quel sentiero che sino ad allora aveva percorso da sola. La felicità era arrivata a sorriderle, a illuminarle la via, aprendole gli occhi su quanto fino a quell'istante le era stato negato e ne era stata così attratta che solamente ora, davanti al proprio capitano, comprese che tanta gioia era strettamente unita a un dolore ben più spesso di quello che era stata costretta a subire.
Non aveva legami con quella donna o con gli abitanti del suo paese natale, tutti loro le avevano impedito qualsiasi forma di consolazione, convinti che non fosse degna di tale privilegio e pertanto le avevano riversato contro quel che un mostro malvoluto meritava. Suo nonno era stato con lei per pochi anni e la vecchiaia l'aveva portato via quando ancora logicamente una bimba di dodici anni ha bisogno di una figura più grande da cui possa imparare altro per stare al mondo ma in quel caso, la vita aveva già fatto il suo corso; lui se ne era andato naturalmente e si era premurato di prepararla affinchè vedesse in quell'abbandono non un qualcosa di forzato ma di inevitabile. Sayuri l'aveva accettato, seppur a malincuore, ed era partita tenendo sempre a mente le amorevoli parole di quell'uomo. Anche adesso cercava di rievocarle per farsi coraggio ma come poteva trovare conforto in qualcosa che era del tutto diverso da quello che stava vivendo ora? Perchè si doveva soffrire così tanto per una persona cara?

Perché sono proprio quelle persone, i sentimenti che provi per loro, che ti danno la certezza di essere viva. Le avrebbe detto il suo caro nonno.

L'avrebbe presa sulle ginocchia, rivelandole che un legame non era un semplice scambio di parole e sorrisi ma un'autenticazione della propria esistenza. Per qualche strana ragione tutto si gonfiava e prendeva più vigore, brillando e incitando parti del proprio io a uscire allo scoperto per saggiare questa novità. Tra un incomprensione e l'altra, il piccolo giglio aveva realizzato che l'avere degli amici la faceva star bene anche con sé stessa e l'avere una persona come Ace accanto era quel che più la commuoveva per ciò che lui da solo rappresentava nel suo piccolo mondo.
Era importante per lei, tremendamente importante, a dispetto della sua nascita e di chi fosse. Non le interessava da quale famiglia provenisse, non le interessava se lui era il figlio di Gol D.Roger...per lei era semplicemente Ace e l'amava per tutte quelle cose che le aveva donato e a cui non era disposta a rinunciare.

"Per favore, padre..." ripetè un ultima volta con voce soffocata "Mi permetta di andare"

Raddrizzò appena la schiena ma senza alzare il capo. La stanchezza fino a quel momento rimasta assente le piombò a chili come tanti blocchi di cemento armato. Solo in quel frangente si accorse di come le sue unghie fossero conficcate nella carne dei propri palmi: sanguinanti, li rinchiuse in due pugni ben serrati e se li portò al petto istintivamente mentre Barbabianca la osservava con occhi cupi.

"Mi dispiace, Sayuri, ma non ti posso lasciare andare. Non manderò nessuno di voi a cercarlo" proruppe da sotto quei baffi bianchi a mezzaluna.

Di colpo la castana sollevò la testa, allibita, mostrando il viso sconvolto e arrossato. Dovette poggiare le mani al pavimento per sostenere il peso del suo corpo sportosi in avanti bruscamente.

"Ho perso un tuo fratello questa notte" continuò rammaricato stringendo fra le sue dita il bracciolo della poltrona "La morte di un compagno su questa nave è un crimine che non si può perdonare e questo sono sicuro che tu lo sappia bene. Voi non siete semplici compagni di battaglia per me, ma dei figli in tutto e per tutto.." e la guardò come a volerla privare di quel peso che lei aveva definito "Responsabilità" "E come padre, non ho intenzione di esporvi a un pericolo troppo grande per le vostre capacità"

In Barbabianca si stavano annidando emozioni diverse dall'egocentrismo e dalla sfrontatezza che solitamente giocavano dentro di lui, animandolo irrimediabilmente quando brandiva la pesante alabarda di cui era padrone. Tra il rammarico che rendeva amara persino l'aria presente in quella stanza, l'incertezza, la più sconosciuta tra le tante sensazioni, era riuscita a penetrare nel suo corpo provato dai molti scontri, facendolo vacillare addirittura sulla vendetta di uno dei suoi amati figli. Non era un segreto che il più anziano degli imperatori colpisse duramente chiunque riuscisse a far cadere anche solo uno dei suoi uomini ed era per tale ragione che molti si tenevano ben lontani da una simile azione ma Teach non ci aveva badato: lui aveva violato la sacralità di quella regola, se tale poteva definirsi, si era macchiato di un omicidio ed era scappato. Chiunque su quella nave l'aveva valutato come un atto imperdonabile, primo di tutti lui, l'ex rivale del Re dei Pirati, e così era stato.
Allora perchè stava esitando? Perchè non dava a quello che credeva suo figlio la punizione che si meritava?

"Ho un brutto presentimento" non nascose affondando definitivamente le unghie nel bracciolo lilla "E non voglio che nessuno di voi venga coinvolto ulteriormente. Teach sicuramente si starà allontanando.." seminascosta dai baffi, la mascella gli si contrasse con forza trattenuta "Ma non ho intenzione di porre le vostre vite al di sotto del mio onore."

In qualunque altra situazione, non avrebbe esitato a incaricare uno dei suoi comandanti a svolgere il proprio dovere. In qualunque altra situazione, non si sarebbe imposto di porre ordine a quell'animo di padre e capitano che aveva coltivato all'unisono ma il camminare nel vago, con addosso quella strana sensazione che non lasciava presagire nulla di buono, lo stava incupendo come non mai, tanto da non permettergli di scorgere nulla che non appartenesse a quel presente ora così tetro e privo di suoni allegri. Il dubbio lo corrodeva come acido sulla pelle, lo faceva tentennare quanto bastava per impedire che i suoi figli corressero verso un pericolo di cui la portata era sconosciuta.
Non poteva fare altro che rimanere dov'era, seppur forzatamente, ad attendere che gli eventi si sviluppassero e detto soltanto a parole, era già molto difficile visto che con la sua decisione, stava confermando la vittoria di quel bastardo.

"Devo rimanere qui?" sussurrò Bianco Giglio.

La frangia le copriva la parte superiore del viso. Con tono apparentemente arrendevole, Edward Newgate sospirò a bocca chiusa mentre osservava la ragazza ancora inginocchiata a terra.

"Si, Sayuri" aveva dischiuso le labbra quanto serviva per risponderle.

Non erano che poche parole, condite da diverse tonalità di voce a tenere in piedi quel magro discorso la cui fine nemmeno era certa ma nonostante quell'inconsistenza, su tutt'altro lato esso era molto più pesante di quanto apparisse, spesso quanto bastava per impedire al capitano e al sottoposto una conversazione più viva. Barbabianca reggeva quel confronto come fosse in piena tempesta e le onde stessero cercando di investirlo ma la povera Sayuri era distrutta e da padre quale era, l'anziano uomo si stava adoperando per porre fine a quello strazio, quasi del tutto ignaro che quella bambina non aveva intenzione di accettare la sua decisione in un consentito silenzio.

"Mi perdoni, padre...ma sono costretta ad andare contro la vostra volontà"

Il Bianco aggrottò un sopraciglio, mostrando quel pizzico di sorpresa nello scoprire la non ancora perduta forza d'animo della giovane.

"Io comprendo che vogliate proteggerci da questo potenziale pericolo e ve ne sono grata" riprese sottile "Però, non dovete dimenticare che anch'io, come voi, sono un pirata e il fare parte di una ciurma tanto grande, mi ha sempre esortato a proteggere chi è disposto a fare lo stesso con me. E' una sensazione...che ho conosciuto solo in questi ultimi due anni" ammise calibrando il proprio battito cardiaco "Ma è una delle più belle che io abbia mai provato e se adesso mi sento così male, è soltanto perché..perchè questo legame tra me e tutti coloro che fanno parte di questa grande famiglia è più profondo di qualsiasi altra amicizia esistente. E' la prova che sono viva e che posso amare e piangere per loro, al di fuori di questa nave non c'è niente per me. Glielo chiedo umilmente.." inspirò quanto bastava per finire quel discorso "Mi dia il permesso di lasciare la Moby Dick"

La calma che le aveva permesso di parlare senza singulti, balbettii dovuti per le lacrime ancora nascoste, l'aveva lasciata incredula ma non per questo si era fermata. Placida, appena sotto voce, aveva trovato la forza per replicare, per far luce su un altro lato di sé che era riuscita perfino a strapparle un mezzo sorriso in quella notte senza tempo e luce, dominata da un incantesimo che si sarebbe spezzato soltanto quando il fato avrebbe deciso cosa farne del giorno che prima o poi sarebbe dovuto succedere ad essa. Ma non bastava per andare oltre e lei lo sapeva; per rompere la malinconia e far sorgere quel sole che sicuramente sarebbe stato rosso, doveva guardare in faccia e confrontarsi con quella figura possente che una volta l'aveva atterrata e battuta con un solo colpo. Sentì nelle sue viscere agitarsi un moto crescente, dai contorni identici a quelli della disperazione appena consumata ma più forti ed eleganti. Non sapeva bene come descriverlo ma lo percepiva scuotersi senza controllo.
Nel tentare di domarlo, rivolse nuovamente lo sguardo verso l'enorme uomo, che tese i muscoli del collo e mosse la testa in avanti, piegandola appena in giù per guardarla interamente. I tubicini vennero tirati appena e le flebo produssero il suono di tante bollicine rotte ma poi si zittirono tutte quante per lasciar spazio al padrone della stanza. La mano solcata dai segni della vecchiaia incontrò ancora una volta la spalla dieci volte più piccola della giovane, insieme alla sua testolina castana che accarezzò con sol gesto.

"Va a riposarti, Sayuri" le disse "Hai fatto abbastanza"

Di altre maniere per dirlo non ve ne erano. Edward Negate non voleva ripetersi e apprezzava, ammirava quanto lei fosse stata forte per l'aver retto sino a quel momento ma doveva porle un freno, per evitare che si facesse male con le sue stesse mani.

"Ma, io..."
"E' sufficiente così" la fermò con tono calmo "Non è necessario che tu mi dimostri la veridicità delle tue parole o che vada a vendicare Satch per provarmi che sei affezionata ai tuoi compagni e che vuoi proteggere le loro vite"
"Invece lo è perché sono proprio i miei compagni che voglio proteggere!! "esclamò lei.

Il misterioso moto le era risalito su per la gola ed era esploso senza alcun preavviso, lasciando il re dei mari interdetto. Sayuri pareva aver liberato quel qualcosa che la opprimeva a tal punto da non farla sembrare sé stessa e così era: le sue corde vocali si erano alleggerite di inutili tentennii e ora stavano traducendo i suoi pensieri a una velocità talmente esorbitante che quasi li rubavano direttamente dal cervello ancor prima che potessero fuoriuscire da esso. Non erano mai state così tanto assetate dalla voglia di fare il loro dovere.

"E' perché ho loro e voi che avrò sempre un motivo per combattere" riprese mostrando ancora una volta l'ultimo barlume di determinazione ancora vivo in lei "E' perchè ho deciso di navigare sotto il simbolo del Jolly Roger che farò sì che la mia fede non crolli. E' perché sono qui che non voglio arrendermi! Ho scelto io di essere una pirata e non posso tornare indietro perché non vi è altra strada che possa percorrere se non questa!"

Le altre porte le si erano chiuse ancora prima che potesse emettere il suo primo verso. Più volte aveva sorriso quando al mondo non aveva nessun'altro al di fuori di sé stessa e spesso si era chiesta il perché non riuscisse a rispondere al rancore che le veniva scaricato puntualmente addosso. Non lo comprendeva e ogni volta, quelle domande simili a un ritornello, finivano per essere lasciate indietro senza neppure essere degnate della dovuta attenzione. Parlava ad alta voce, si poteva dire che stesse gridando contro il capitano ma era così animata da dentro di sé, che non poteva fare a meno di guardare dritto nei occhi l'anziano imperatore e stringere i pugni sul pavimento come a volerceli far affondare.
Pregava che capisse quanto gli aveva detto e quanto stava per dirgli ancora.

"Probabilmente non sono all'altezza di Teach, ad essere sincera dubito fortemente di portelo battere" disse soffocando il rotto della sua stessa voce "Ma è per questa ragione che le chiedo ardentemente di farmi andare: non posso proteggere nessuno se non combatto e non posso diventare più forte di così se non ci provo!"
Non voglio perdere nessun'altro..
"Se posso lottare per me stessa..."
Non voglio che accada ancora..
"..Posso lottare anche per loro..."
Non voglio che niente di quel che ho visto si avveri..
"..Ma non è stando qua che riuscirò a diventare quello che voglio essere!!"
NON VOGLIO!
"PER FAVORE PADRE, MI LASCI PROVARE!!"

Lasciò che la sua richiesta urlasse insieme a tutta l'emozione che le circolava in corpo come tante campane fatte scattare all'unisono. Appena l'ultima sillaba ebbe consumato il suo eco, i muscoli del collo di Sayuri si afflosciarono completamente e insieme a loro anche quelli delle dita, rimaste serrate in due pugni micidiali per tutto il tempo. Ora che era stata ascoltata poteva anche accasciarsi di più a terra e sperare che tutto quello fosse solo un brutto incubo ma il problema stava che non lo era. Niente di tutto quello che era successo, che la circondava e dentro cui stava era falso e il prenderne atto era ancor più difficile se si cercava ostinatamente di vedere la realtà in modo diverso: lei per prima avrebbe voluto addormentarsi e svegliarsi nella sua stanza, per poi sospirare felice ma non voleva fuggire dalla realtà ne tanto meno convincersi che questa non fosse quella vera. Quei eventi che per il momento la tormentavano, prima o poi, sarebbero giunti a toccare le sponde del suo mondo e sarebbero ugualmente accadute perché così doveva essere. Le aveva dato forma ma il conoscere quella minaccia - anche se non del tutto - non sarebbe comunque servito a impedire che questa si manifestasse ed era proprio perché si sarebbe concretizzata, che voleva essere lì per poterla affrontare perché seppur minimo, quel cambiamento che intendeva realizzare, avrebbe salvato la vita della persona di cui era innamorata e di cui non poteva più fare a meno. Far sì che Ace rimanesse lì sarebbe equivalso a proteggere lui, i suoi compagni e anche il capitano stesso; era la piccolezza che avrebbe ribaltato i pesi della bilancia e se poteva veramente farlo, a prescindere da quanto le aveva detto la sibilla, non avrebbe esitato a utilizzare anche il più piccolo grammo d'energia per evitare che la Moby Dick piangesse ancora una volta un proprio amico.

Il padre lesse in quelle minuscole iridi color cioccolato una traccia di quella ostinazione che solo pochi minuti prima si era espressa ad alte parole e comprese. Comprese di non poter piegare neppure un decimo di quel che apparteneva alla figlia e che la sua insistenza nel farla desistere non avrebbe trovato un fondo fintanto che lei l'avrebbe respinta con motivazioni a cui era faticoso poter porre un freno. Era disperata. Poteva negare a un pirata di essere quel che più desiderava anche se era per il suo bene?
Sotto il tocco di quella sua grande mano lei continuava a venir colta da brividi di pura adrenalina che, armati di fruste, la stavano istigando a farsi valere e il percepire questa intermittenza, permise al capitano di allargare la sua veduta su quella bambina.
Gli bastò guardarla un' ultima volta. Gli bastò osservare quella che un tempo aveva avuto il coraggio di battersi con lui per proteggere i propri cari e che ora cercava quella risposta, quell'assenso che solamente in lui poteva trovare, per decidere che cosa era meglio fare.

"Va bene, Sayuri" disse l'imperatore tornandosi a sedere sulla poltrona con fare stanco "Hai il mio permesso per partire"

Le flebo emisero un debole suono e Bianco Giglio rimase a bocca aperta mentre l'uomo lasciava che la propria testa si appoggiasse all'ampio schienale della poltrona.

"Dite sul serio, padre?" sussurrò allibita lei.
"Si" le rispose "Ma voglio che tu ti limiti a una spedizione esplorativa: rintraccerai e seguirai la rotta su cui sta navigando Teach e una volta assicuratati della sua reale posizione, mi avvertirai. Hai carta bianca su come muoverti e organizzarti ma voglio che eviti qualsiasi forma di contatto con lui. E' tutto chiaro?"

Era quanto le potesse permettere e Sayuri non ebbe di che replicare. Le sembrava di aver capito male ma il sentirselo nuovamente dire le fece tirare un grosso sospiro di sollievo che però si limitò unicamente a pensare: aveva ottenuto quel che voleva e senza che il padre le imponesse un accompagnatore, fattore che avrebbe senza ombra di dubbio dilungato quel discorso. La veemenza con cui l'imperatore le aveva spiegato quel che doveva fare, la rese ancor più conscia di quanto fosse riuscita a conquistarsi con le sue mani e davanti a tale concessione non potè che ringraziarlo.

"Si...si, va bene. La rin.."
"NO CHE NON VA BENE!"

L'opposizione nata dal nulla irruppe nel loro dialogare senza nemmeno tener conto dell'essere stata invitata o meno. Per la seconda volta, Portuguese D.Ace aprì una porta con sufficiente forza da farne allentare i cardini. Non aveva chiesto il permesso o bussato: semplicemente aveva dato una forte pedata alla sola barriera che si sovrapponeva fra lui e la stanza del padre, entrando così al suo interno e portandosi appresso tutta la sua disapprovazione per quel che aveva sentito.

"Ace.."

La ragazza era sobbalzata al solo sentire quel brusco rumore alle sue spalle, tanto da rischiare di cadere con la schiena appiccicata al pavimento; non riuscì a rimettersi seduta composta, le era impossibile distogliere i propri occhi dal moro che guardava dritto in faccia il capitano senza tener conto del fatto che lei fosse a meno di due metri da lui.

"Ace.." ripetè ancora scombussolata "Che.."
"Non accetto che la lasci andare!" esclamò lui senza neppure sentirla "E non accetto che quel bastardo la faccia franca! Pedinarlo senza muovere un dito non servirà a fargliela pagare per il crimine che ha commesso!!"

Infuriato com'era, pareva stesse dando fuoco all'abitacolo con la sua sola presenza e neppure l'essere rimproverato a vista dal padre per aver irrotto nella stanza a quella maniera dopo aver ascoltato di nascosto la conversazione servì a riportarlo oltre la soglia della ragione.

"Calmati, ragazzo" gli ordinò il capitano.
"Ha offeso il tuo onore e ucciso un compagno!" ruggì il giovane avanzando verso la poltrona e ignorando le sue parole "Si è preso gioco di noi e ci ha voltato le spalle come se niente fosse!!"

Le mani serrate a pugno tremavano e scottavano per l'alta temperatura corporea che cresceva in contemporanea al suo astio. L'aria ondeggiava intorno ad esse e la pelle riluceva di un sempre più visibile bagliore arancione, identico a quello del cappello che ora lasciava ben scoperto il viso lentigginoso e adirato del proprietario. La sua utilità nel non mostrare al mondo intero quello che Ace voleva tenere per sé fu vana perché in quel preciso momento, il ragazzo non si stava facendo problemi a mostrarsi pienamente rabbioso e a ogni suo passo, le mani divenivano sempre più calde, sul punto di diventare rosse come il sangue che scorreva nelle sue vene.
Accucciata e scossa sul pavimento, Sayuri aveva perso la facoltà di parlare e anche quella di muoversi: ebbe il desiderio di andarsi a rannicchiare nell'angolo ma non lo fece. Il vedere Ace così diverso da come era solitamente, così fuori di sè, l'aveva spiazzata tanto da pietrificarle le gambe e metà busto; purtroppo non era quell'immobilità che le corrodeva il corpo ciò che più le stava facendo battere il muscolo cardiaco all'impazzata, ma bensì la piena consapevolezza di quel che Ace voleva dire al padre....

"Andrò io a cercarlo. Sono il comandante della seconda flotta e lui era un mio sottoposto, quindi spetta a me sistemare questa faccenda!" affermò risoluto.
"Capisco il tuo senso del dovere, Ace, ma non ti posso accontentare" lo respinse immediatamente il capitano "Per quanto stupido, Teach non escluderà la possibilità che mandi qualcuno e appena scoprirà di avere te alle costole, si premurerà di tagliare la corda"
"Che cosa?!"

Barbabianca aveva perfettamente ragione. Quel traditore prima di ogni altra cosa pensabile, avrebbe fatto perdere le proprie tracce per calmare le acque. A meno che non fosse un completo idiota, sia lui che Sayuri dubitavano fortemente che si sarebbe fatto vedere in isole dove l'influenza dell'imperatore era molto potente. Stanarlo prima che si dileguasse era una corsa contro il tempo dove diversi fattori, inclusa perfino la fortuna, giocavano ruoli decisivi e tra essi rientrava anche la persona che vestiva i panni del "Cacciatore": Ace era il comandante della seconda flotta di Barbabianca, soprannominato Pugno di Fuoco, uno dei pirati più temibili della ciurma, capace di distruggere intere navi con una semplicità mostruosa. La sua forza e il potere derivante dal frutto del diavolo l'avevano reso famoso ed era proprio il suo calibro di pirata che rischiava di farlo scoprire e dunque permettere a quel farabutto di alzare ancor di più il fondoschiena e levare le ancore con velocità raddoppiata. Difficilmente la Marina avrebbe ignorato la presenza di un appartenente della ciurma di Barbabianca così lontano da casa e questo avrebbe portato altri grattacapi.

"Ace.." la ragazza azzardò per la terza volta a chiamarlo "Ha ragione.."

Finalmente il moro si voltò a guardarla.

"Tu sei uno dei perni portanti di questa nave e anche se so che puoi passare inosservato, rimane comunque alta la possibilità che tu possa venire scoperto.." tentò di spiegare.

La voce non le era mai stata tanto debole ed esitante.Le gambe si rifiutavano di sorreggerla, quasi tutto il suo corpo era esausto, sul punto di spegnersi come una piccola fiammella avente ormai consumato tutta la candela; di lacrime ne aveva versate a sufficienza, aveva elargito motivazioni nate unicamente per dar voce alla sua volontà, si era sgolata per imprimere con la dovuta energia quel momento che sempre avrebbe ricordato per il resto della sua vita. Aveva dato corpo e anima in quella stanza e solo lei sapeva quanto desiderasse poter riposare giusto quelle due orette per poi partire in missione ma la presenza di Ace la stava costringendo a risalire quelle mura lisce e trasparenti come specchi dopo che, con tanta fatica, era riuscita a scalarle la prima volta, aggiudicandosi così il consenso del padre. Non voleva leggere la pietà o la compassione nei occhi del ragazzo, anche se questi ne erano pieni; doveva raccogliere quei residui rimasti dentro di lei e usarli per far capire a Ace le sue intenzioni, almeno quelle che aveva illustrato al padre.
Non avrebbe avuto alcun senso se si fosse messa a raccontare ad entrambi che il suo voler compiere personalmente quella missione era dovuto al fatto che in passato le era stata fatta un predizione e che se ora Ace fosse andato al posto suo, gli sarebbe accaduto qualcosa di orribile che inevitabilmente avrebbe coinvolto tutti quanti loro. Sotto ogni aspettativa possibile, era sicura che non le avrebbero creduto ma tutto quello di cui aveva bisogno, glielo poteva dare soltanto il suo comandante e nessun'altro.

"Ace.." scoprì di più il viso accaldato e supplicante "Ti chiedo soltanto di fidarti di me, nient'altro"
Ho bisogno..che tu creda in me.

Doveva semplicemente fare quello che sempre, incondizionatamente, avevano fatto l'uno nei confronti dell'altro. Doveva solo annuire, stendere i nervi per evitare che la piccola Sayuri non lo guardasse coi occhi lucidi e le mani strette in petto.

"Ti prometto che non mi avvicinerò a lui" mormorò abbassando la testa "Gli starò lontana, farò quel che mi ha detto nostro padre e appena l'avrò trovato tornerò alla Moby Dick ma ti scongiuro..uh.." cacciando via un singulto risollevò il capo castano "Lascia che sia io ad andare"

Era arrivata al limite. Non aveva altre sponde su cui arenarsi o altri muri da scalare, si stava lasciando trascinare via dalla corrente insieme alla speranza che il moro le dicesse di si. Altro non poteva fare, se non uscire da quella stanza impregnata di disinfettante che solamente ora percepiva e col vestito orridamente macchiato e strappato.

"No" ribattè lui "Se c'è qualcuno che deve risolvere questa situazione sono io. Teach era un mio sottoposto ed è quindi mio dovere occuparmi personalmente di lui. Non voglio che un'altra persona a me cara ci vada di mezzo"
In special modo tu.

Anche se aveva tralasciato quell'ultima parte, Sayuri la recepì e fu proprio quella a spingerla a replicare.

"Nemmeno io lo desidero ma questa faccenda riguarda in prima persona me oltre che lui e non devi parlarne come se fosse colpa tua. La responsabilità è unicamente mia perché non sono stata capace di accorgermi di nulla!"
"Che diavolo stai dicendo?!" scoppiò ancora puntando su di lei a grandi falcate.

Si spostò così velocemente che il cappello gli ricadde sulla schiena, trattenuto dalla cordicella che ora poggiava alla base del collo del ragazzo. Afferrò la ragazza per le spalle con così tanto vigore che questa quasi cercò di ritrarsi, anche se inutilmente. La morsa che Pugno di Fuoco esercitava su di lei non accettava alcun tipo di ribellione.

"Sayuri, quello voleva ucciderti e non gliene sarebbe importato nulla, così come non gli è importato di ammazzare Satch!"

La castana non riuscì a non provare qualcosa di diverso dalla paura; la teneva ben attaccata al pavimento legnoso con fare piuttosto incalzante. Seppur la sensazione di mobilità fosse sgradevole, ella non accennò a distogliere lo sguardo da quello del ragazzo. Affondò ancor di più le mani nel petto, sopprimendo il fastidio che quelle del comandante le stavano procurando perché troppo calde.

"Proprio per questo voglio occuparmene io" cercò di riprendere con più tranquillità "Te lo chiedo per favore, Ace, abbi fiducia in me"

Non voleva aver paura di lui ne di come la stesse osservando in quel momento. Si, non poteva negare i brividi che le scorrevano lungo il corpo ma di certo in futuro avrebbe provato sulla sua pelle un inferno che perfino il suo stesso passato non era stato capace di mostrarle e dunque di infliggerle. Un inferno da cui pareva non esserci una via d'uscita o un'apertura verso la luce. Lì non vi era soltanto la solitudine ma il rimorso, affiancato dall'impotenza, che sogghignante l'avrebbe sempre rimproverata di essere una bambina cattiva, che nonostante tutti i suoi eroici sforzi, non era riuscita a proteggere chi diceva di amare.

"Ace, non mi accadrà nulla, io..."
"Lo dici tu ma non puoi esserne sicura!" la bloccò malamente "Andrò io e basta, chiaro?!"
"No! Nemmeno tu puoi essere certo di quel che ti capiterà e..."
"E quindi secondo il tuo brillante ragionamento, io dovrei rimanere qui mentre tu ti vai a far ammazzare!!" la sorpassò brutalmente. Non si accorse di aver stretto ancor di più le spalle della ragazza.
"Ace..mi..mi fai male.." mugugnò sentendo il fuoco bucarle la pelle. Per la prima volta poteva percepire il dolore che le fiamme del ragazzo riversavano sui nemici.
"Ace, adesso basta" proruppe il capitano con espressione molto alterata.
"Smetto solo se tu non la fai andare!" ribattè.

Non ragionava più, era troppo infervorato e se non si calmava, il padre come minimo lo avrebbe sbattuto sul fondo dell'oceano senza nemmeno farlo passare dalla porta.

"Ace..per favore, fidati di me.." ripetè con fiato ritrovato "L'hai sempre fatto, non è difficile! Perchè ti ostini a non capire?!"
"E che cosa accidenti dovrei capire?!?"
"CHE NON SEI ALLA SUA ALTEZZA!!!"

E da lì, il rumore di mille specchi che si infrangevano al suolo, impersonificò la fine di quella conversazione, la definitiva. Le lancette dell'orologio si fermarono, il vento tacque e gli oggetti inanimati di per sé, perdettero perfino i loro colori. Sayuri si rese conto troppo tardi di quel che aveva fatto e il padre rimase scioccato, benché visibilmente non si notasse più di tanto. Le labbra più volte prese a morsi, tremarono e il tapparle con le mani non servì a riavvolgere il tempo e a cambiare gli eventi accaduti pochi secondi prima. Non osò guardare Ace, poteva ben immaginare che espressione fosse comparsa sul suo viso dopo quella affermazione gridata dal suo subconscio slegato oramai da chissà quanto tempo. In frantumi non vi erano andati soltanto quei vetri immaginari ma anche quel che lei fino all'ultimo aveva chiesto al ragazzo con tanta esasperazione e che ora gli aveva negato nel modo peggiore possibile; l'aveva colpito nel suo punto più sensibile, l'orgoglio, e l'urlargli a squarciagola che non era all'altezza di punire un suo sottoposto, equivaleva a dire che non aveva alcuna fiducia in lui, che lo considerava un debole.

Fu come se in quella semplicissima frase, ci avesse immesso quel che più poteva farlo incavolare e glielo avesse sbattuto in faccia insieme a uno schiaffo violentissimo.
Desiderò morire, tagliarsi le vene e donare il suo sangue a una qualunque entità divina affinchè cancellasse quel suo errore ora impresso nella mente di Pugno di Fuoco come i tatuaggi che fieramente portava sulla schiena e sull'avanbraccio. Desiderò che il suo corpo, almeno la testa, si muovesse e che le corde vocali trovassero un altro poco di forza per aiutarla a spiegarsi ma non appena avvertì le mani del ragazzo scivolare via dalle sue spalle, capì di averlo allontanato troppo dal suo rifugio perché lui la venisse a cercare nuovamente. Udì il contorcersi della stoffa nera dei suoi pantaloni mentre questo si alzava da terra per sistemarsi il cappello di modo che gli coprisse quanto voluto.

"A-Ace, io non..." balbettò.
"Fa come ti pare" sibilò stizzito.

Non corse via, ne sbattè la porta: uscì come se non fosse successo niente, sistemandosi al meglio la falda arancione con la mano, nascondendo così lo spirito ora del tutto spento. Quando agli occhi della giovane non fu più visibile il vessillo di Barbabianca tatuato sulla schiena del moro, immediatamente si aggrappò al tenue rumore dei suoi passi e quando essi furono leggeri come l'aria, confondendosi con il restante appartenente alla nave, anche lei si spense come solevano fare le candele. Le lancette che segnavano l'ora ripresero a ticchettare, il vento, assicuratosi di non dover più temere l'ira di nessuno, picchiettò contro il vetro dell'oblò per poi danzare con l'acqua salata che lui stesso agitava. La notte finalmente ricominciò a scorrere e nonostante fosse ancora piuttosto lunga, l'alba presto o tardi sarebbe arrivata, portando con sé non soltanto il rosso scarlatto di cui sicuramente si sarebbe vestita ma anche la gelida e austera consapevolezza che per salvare da morte certa il proprio amore, Sayuri ne aveva perso la fiducia e il sorriso, guadagnandosi così il suo odio.

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