Appello alla giustizia (2 parte)

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Nell'attimo in cui Sayuri si sfilò il cappuccio, mostrando così a tutti i presenti il proprio viso, la grande stella comunemente conosciuta come sole uscì da dietro una piccola nuova bianca e soffice con cui malvolentieri aveva giocato sino a quel momento. Un leggero chiarore inondò la stanza, filtrando fra le colonne di marmo color panna che adornavano la grande finestra sul fondo e riflettendosi sulla superficie liscia di quel tavolo circolare abbellito con preziose rifiniture. L'impatto di pura stupefazione fu freddo, sufficiente a congelare il tempo per una manciata di secondi,un lasso più che generoso, forse troppo per una reazione di quel genere ma la ragazza ne fu grata perché così potè continuare senza che nessuno la interrompesse.

"So bene che la parola di un pirata all'interno di Marineford vale ben poco ma so anche, che questa stanza è stata costruita affinchè il diritto alla parola venisse dato a tutti quanti, fuorilegge compresi, e che la loro opinione fosse considerata egualmente a quella degli altri. Io sono qui, signori, per fare appello a questo diritto e per chiedervi di riflettere sull'avvenire di questa guerra ma desidererei esporvi quanto ho da dirvi da un altro punto di vista" terminò per poi aggiungere "Un punto di vista che si ricollega strettamente a voi"

Appena pronunciata l'ultima sillaba, Sayuri chiuse ermeticamente la bocca e si aggrappò all'elsa dei suoi sai prima che gli avversari non le concedessero il tempo di farlo. Ebbe il timore di venire attaccata da entrambi i lati, di ricevere per prima il giusto trattamento che spettava a quelli come lei ma il non sentire rumori sospetti e il non vedere nulla di anomalo venirle addosso, allentò la presa sulle sue armi.Erano ancora lì, tutti seduti: il grande ammiraglio Sengoku, il vice ammiraglio Tsuru, l'ammiraglio Akainu - che la guardava con disgusto - e perfino gli altri due in fondo. Fu la fragorosa e sguaiata risata proveniente dal divano posto vicino all'ampia finestra che le fece alzare le sopraciglia in segno di incomprensione: a ridere era proprio quel marine che per tutto il tempo si era dedicato alla degustazione delle sue ciambelle e che adesso si era concesso un secondo per guardarla dritta nei occhi, mantenendo un sorriso divertito dietro alla barbetta grigia e ispida.

"Garp, dacci un taglio" grugnì Sengoku nello scoccargli un'occhiataccia.

Garp? Lui è...Monkey D.Garp?

La rivelazione la lasciò sconcertata. Le sembrò impossibile non essere stata capace di riconoscere quell'uomo di cui Ace le aveva parlato. Nel confrontare la descrizione fatta dal ragazzo con l'aspetto fisico davanti ai propri occhi, la castana non trovò nessun elemento fuori posto: tutto combaciava alla perfezione. L'enorme sorriso a quarantadue denti che sfoggiava in tutta la sua ampiezza, si slargava ancor di più quando questo voleva ridere come ora stava facendo, rompendo il silenzio con una risata poderosa quanto i terribili pugni che sferrava contro i pirati più cocciuti.

"Ah ah ah! Non fare il permaloso, Sengoku!" lo rimproverò a sua volta quello per poi tornare a guardarla con occhi infervorati e un ancora più largo sorriso spavaldo "Questa ragazza ha fatto tanta strada per venirci a parlare, che ti costa starla a sentire?"

La noncuranza con cui stava agendo a braccetto era sempre stata motivo di esasperazione per l'amico e superiore Sengoku. Parlare a vuoto o con un soldato il cui quoziente intellettivo superava a malapena le dimensioni di un arachide avrebbe prodotto risultati decisamente più soddisfacenti; almeno così le ammiraglie nuove di zecca evitavano di finire in fondo al mare perché usate come arma di distruzione contro i nemici quando qualcuno si dimenticava di averne una tutta sua e con la polena a forma di cane per giunta. L'umore del grande ammiraglio era tutto un fascio di nervi contorti che avevano deciso di rintanarsi tutti nella sua grande mano che stava letteralmente stritolando un'innocente matita sul punto di essere ridotta in tante briciole. Il modo di fare di quel pazzo trovava sempre la maniera di farlo imbestialire, specie se lui parlava e quello se ne stava tutto tranquillo a mangiare biscotti o robe simili.

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