Le tre di notte e lui era ancora in piedi. Dopo una pessima giornata come quella, chiunque sarebbe stato felice di ficcarsi sotto le coperte e dormire fino all'arrivo del nuovo giorno, ma di sonno, Don non ne aveva la benchè minima traccia; si era abituato a fare le ore piccole per motivi professionali e visto che questo - il sonno si intende - non si decideva ad aiutarlo, il medico-cecchino si era aggrappato al collo di una bottiglia di rhum trafugata dalla cucina. L'alcol annebbiava la mente e i sensi a tal punto da farli rigettare sottoforma di vomito se la quantità assunta era alta, ma perfino l'ubriacarsi come un barbone non stava sortendo l'effetto sperato, visto che era più lucido di un astemio. Gettò malamente l'occhio sulla bottiglia verde smeraldo affiancata dalla candela che gli aveva impedito di picchiare i nervi delle ginocchia, risparmiando così imprecazioni su imprecazioni ma scosse ugualmente la testa appesantita da tutto quel nervosismo che si era accumulato a tempo record.
Dovevo immaginarmelo. Borbottò mentalmente, adocchiando nuovamente la bottiglia Sarà difficile che mi ubriachi per bene con questa schifezza.
Con l'indice, fece scivolare il bicchierino mezzo pieno poco lontano dalla sua mano. Si era completamente dimenticato di essere un accanito bevitore di prima categoria: scolarsi mezza bottiglia di rhum scadente come quello, gli avrebbe solo fatto male allo stomaco, ma intanto aveva riagguantato il bicchiere e mandato giù il restante con la persistente speranza che almeno un quarto di quella giornata andasse al diavolo.
"Hai intenzione di giocarti il fegato per caso?"
Una voce falsamente provocante fu accompagnata da una camminata ancheggiante e secca, appartenente a una figura che si soffermò a lungo a guardare con occhi scarlatti e molto accigliati il solo presente nell'ampia sala da pranzo.
"Per essere un medico non hai molta cura di te stesso, se bevi quella roba" lo rimproverò l'ombra, sempre guardandolo coi due rubini ben spalancati "E non è neppure delle migliori" aggiunse sdegnata una volta afferrato il collo della bottiglia.
"Tsk! Smettila con le prediche, donna: siediti e bevi in silenzio" ordinò lui stizzito.
Con mezzo sorriso sprezzante, Maya si accomodò di fianco al collega e fece comparire da sotto il tavolo un bicchierino identico a quello già presente che subito venne riempito.
"Brutta giornata, eh?"
"Da dimenticare" mugugnò l'uomo, con il gomito puntato e il palmo aperto per sostenere la guancia destra "Come se la situazione non stesse colando a picco già di suo.."
Non era inusuale che Don fosse pessimista, la negatività faceva parte di lui come fosse un secondo cervello ed emergeva puntualmente per rispondere a tono alla stessa capo infermiera che ora guardava il bicchiere col suo stesso muso lungo, senza neppure bere un goccio di quanto si era versata. Di battibeccare quel giorno non era il caso, l'acidità del medico-cecchino dell'ex ciurma di pirati di picche era talmente al di sopra della soglia di sicurezza che anche il più piccolo rumore, sgherro o parola che fosse stato emesso fuori posto, gli avrebbe fatto scagliare la bottiglia contro il muro e Maya, nel cogliere quanto stesse cercando di affogarsi nell'alcool, comprese che mai sarebbe stata tanto stupida da punzecchiarlo col bastone. Il vederlo agitarsi nel brodo dell'amarezza era più che sufficiente a venirgli incontro con un salvagente.
"Dovresti avvertirlo" gli consigliò seriamente lei.
"Credi che non ci abbia provato? Glielo avrò detto almeno dieci volte, ma quello manco mi è stato a sentire" sbottò di rimando.
"C'era da immaginarselo, ma vista e considerata la ragione per cui è partito, non c'è da stupirsi che ti abbia sbattuto la cornetta del lumacofono in faccia"
"Non ricordarmelo" e buttò giù altro rhum come fosse acqua.
Era rimasto attaccato a quel benedetto apparecchio per interminabili ore, col solo risultato di dover urlare per far inculcare in quella testa di fuoco quale era Ace quanto lui stesso aveva udito con le proprie orecchie pochi attimi dopo che quel putiferio scoppiato sulla Moby Dick era cessato.
Quel giorno, quel dannatissimo giorno che stava ancora maledicendo tra un sorso e l'altro, a distanza da tre mesi dalla partenza di Sayuri, era venuto a far visita a papà una delle persone più improbabili che esistessero sulla faccia della terra. Lo sentire la propria testa come una camera dove si erano venuti a concentrare una moltitudine ingestibili di fischi era stato il primo e unico indizio che gli aveva permesso di riconoscerlo mentre affiancava la sua nave alla loro. Dio, era quasi morto per l'emicrania quando quello era salito sulla passerella e aveva sfilato sul ponte lasciandosi dietro una trentina di uomini svenuti, ma il farglielo notare non era servito più di tanto, se aveva avuto il coraggio di sorridere e chiedere addirittura a Marco di entrare a fa parte della ciurma.
C'era da dire che Shanks il Rosso era un pazzo a mostrare tanta noncuranza davanti a una ciurma di mille e seicento passa uomini, anche con il suo grado di imperatore.
Era impensabile che avesse fatto tanta strada per una semplice visita di cortesia al vecchio dato che quei due, per questioni lampanti, erano avversari, ma il vederlo portarsi a presto quell'enorme bisaccia colma di liquore della sua terra d'origine, con la sola intenzione di parlare a tu per tu con il vecchio Newgate lo aveva insospettito ancor di più. Il Rosso si era presentato senza neppure dare un avviso, ma ora che ricordava bene, tempo addietro si era presentato uno strano tipo - un certo Rockstar se non ricordava male - che aveva consegnato una lettera scritta di suo pugno per il loro babbo,istantaneamente rispedita in mille brandelli a casa insieme al messaggero. Era rimasto perplesso davanti a un simile gesto da parte di quel uomo: a parte lanciarsi palle di cannone, cosa dovevano dirsi due imperatori?
Il possedere lo stesso titolo non implicava certo una qualche particolare alleanza, con il carattere del loro capitano poi,era stato difficile figurare questi due seduti, uno di fronte all'altro, a bere sakè e a parlare come nulla fosse; ma il difficile che lui si era solo immaginato aveva preso forma, trasformando una qualunque giornata di sole nel preannuncio di un disastro dalla proporzioni bibliche. Erano stati mandati via, tutti quanti, di modo tale che i due capitani potessero parlare senza l'interferenza di opinioni da parte dei membri della ciurma, ma rimasto a una distanza di sicurezza - nel primo posto vedetta, precisiamo -, Don aveva udito ogni singola parola fuoriuscita dalla bocca seriamente preoccupata di Shanks il Rosso.
"Devi fermare Ace, subito"
Quell'uomo dai capelli scarlatti aveva combattuto le sue guerre, affrontato nemici di ogni genere e procuratosi ferite che più di una volta l'avevano visto quasi in punto di morte, ma tra le molte che avevano segnato il suo fisico, una in particolare aveva ripreso a bruciare come fosse animata di vita propria: la triplice cicatrice che spiccava sull'occhio destro era riconosciuta come un marchio vistoso e, in un certo senso, anche famoso, visto che tale ferita era arrivata vicinissima a privare l'imperatore di metà della sua vista. Don era rimasto ad ascoltare in silenzio il perché il più giovane fra i due imperatori si fosse premurato di riferire di persona la sua preoccupazione e una volta tratte le conclusioni e tentato in più modi di far ragionare Ace al lumacofono, aveva adescato la bottiglia di rhum e si era messo a bere, con le parole dell'imperatore stampate a caratteri cubitali nella sua memoria.
Non ha mai cercato di prendere posizione sulla tua nave perché stava aspettando il momento migliore per agire.
Il seguito ricalcava alla perfezione il ragionamento che tempo addietro aveva formulato per dar spiegazione al gesto di quell'ameba disgustosa, ma il sentirlo uscire da quella bocca che più pareva saperne al riguardo, lo aveva letteralmente congelato.
Guardò il suo bicchiere con occhi appesantiti dalle occhiaie, la mente piena di assurdi pensieri tutti soppressi da uno che ora pareva essere la sua unica certezza.
"Avrei dovuto picchiarlo più forte" disse "O incatenarlo all'albero maestro"
"Non penso avrebbe fatto alcuna differenza" replicò la capo infermiera, prendendo la bottiglia quasi vuota con le sue dita laccate di rosso "Lo conosci meglio di me"
"Per questo dovevo provarci con più convinzione" reclinò indietro la testa, stirandosi tutti i muscoli del collo.
L'indolenzimento delle proprie ossa non lo preoccupava così come la flaccidità dei suoi muscoli: faceva tutto parte della semplice e piratesca arte del bere. L'alcol scendeva giù per la gola che era un piacere, bagnava le pareti dei vasi sanguigni lasciandosi dietro un bruciore ghiacciato che invadeva gli organi fino a stordirli come tanti pugni concentrati in un unico punto. Se fosse riuscito a ridurre anche il suo cervello a un ammasso gelatinoso inconsistente ne sarebbe stato più che felice, almeno non sarebbe stato lì a pensare all'ultima conversazione avuta poco più di tre mesi addietro con il suo migliore amico...
"Che diavolo combini?"
Si trovava nel piccolo hangar dove veniva custodito lo Striker di Ace. Era piccolo, con un pontile sulla destra e il resto del pavimento sostituito dall'acqua marina che faceva galleggiare il mezzo. Pugno di Fuoco ci stava trafficando velocemente, il suo zaino preferito era già stato prontamente sistemato vicino al motore.
"A te cosa sembra? Vado a stanare quel bastardo" gli rispose taglientesenza nemmeno guardarlo in faccia.
"Raccontala a un altro. Sappiamo entrambi che non stai andando da quel traditore" replicò con egual tono, ma più basso.
"E dove dovrei andare altrimenti?"
"Non scherzare, Ace"
"Ti pare che lo stia facendo?" sillabò quello perché le parole esprimessero la sua serietà.
Non gli aveva mai dato le spalle da quando lo conosceva. Lo trovava indifferente, così come le sue domande, inutili e dispendiose di tempo che lui non voleva sprecare.C'e l'aveva ben chiara la situazione, ma Don non ritenne ciò sufficiente a giustificare il comportamento del compagno.
"Ma che fai?!"
Una delle braccia del moro era stata afferrata con forza e tirata verso l'alto con l'intento di far girare il resto del corpo.
"E' buona educazione guardare in faccia una persona quando gli si parla"
"Se non l'avessi capito, Don, devo partire" tagliò corto Ace, riafferrando la fune sfuggita.
"E' il tuo orgoglio che parla o la stupidità? Sinceramente non ho idea di con chi io stia parlando, ma di sicuro non sto parlando con l'Ace che conosco"
Non c'era traccia del ragazzo che aveva conosciuto quel giorno di pochi anni fa e che poi era diventato suo capitano. Non vedeva l'Ace sorridente con cui parlava del più o del meno.
Ace non c'era, al suo posto si erano auto-sostituiti quell'ego falsamente ferito e la scelleratezza dettata dal desiderio di mostrare la sua superiorità. Era arrabbiato, furente e il medico-cecchino sapeva meglio di chiunque altro di star giocando col fuoco in persona, ma piuttosto che rimangiarsi le parole dette e quelle future, si sarebbe tagliato a metà la lingua. Aveva promesso.
"Posso capire benissimo il rancore che provi nei confronti di quello stronzo, tutti quanti noi lo condividiamo, ma quello che non mi è chiaro, è che cosa pensi di fare scendendo dalla Moby Dick" ricominciò "Se adesso parti e la raggiungi, non pensi che tradirai la fiducia che riponi in lei?"
"Ho forse detto di volerla raggiungere?" domandò per rimando "Mi pare di aver già spiegato più che a sufficienza sul ponte che cosa voglio fare"
"Veramente io ho sentito solo un mucchio di stronzate"
Seppe di averlo accoltellato nel vivo e ne prese ancor più coscienza quando ricevette un pugno in piena faccia dal quest'ultimo. Rotolò nell'angolo e sbattè violentemente la schiena contro la parete che per puro miracolo aveva resistito all'impatto. Era difficile pensare che Pugno di Fuoco si fosse trattenuto e infatti non si era premurato di farlo: le nocche erano rosse e fumanti, prossime a incendiarsi e la rientranza creata da Don lasciava intendere il poco restante.
"Secondo te l'onore e il nome di papà.." sibilò lui, afferrandolo per il colletto,"Sono un mucchio di stronzate?!"
L'aveva tirato su con un braccio solo, tenendolo schiacciato contro il muro, come se volesse farlo diventare un tutt'uno con esso.
"No" replicò, accusando il colpo "Solo le tue ragioni, la tua codardia e il tuo fottuto orgoglio" rispose con egual tono.
Gli tirò un calcio all'altezza delle costole e quello di rimando lo gettò a terra senza mollargli la presa che aveva sul suo colletto. Finirono entrambi a terra, il medico-cecchino inchiodato a terra con Ace sopra che lo schiacciava con tutto il suo peso. Ingoiando la saliva imbevuta di qualche goccia sanguinea, Don storse la bocca e gli occhi accigliando ancor di più la sua espressione già visibilmente contrariata.
"Sei tanto forte da distruggere delle navi con un solo pugno, ma non sopporti l'idea che qualcuno ti sia superiore o che tu venga considerato meno di quanto vali, e sono pronto a scommettere che adesso sei più incazzato con Sayuri che con Teach!"
"Adesso sei tu che stai dicendo un mucchio di stronzate!"
"Davvero? Non mi sembra affatto" digrignò coi denti cercando di liberarsi dalla sua presa.
Gli stava facendo male, ma non abbastanza da fargli implorare pietà, cosa che mai aveva e avrebbe fatto. In quello stato Ace non avrebbe combinato nulla di buono in mare, figurarsi dare la caccia quel bastardo e infliggergli la giusta punizione per il crimine commesso. Da parte sua, era consapevole di star calcando un po' troppo la mano, ma le sue accuse non erano delle falsità, non quelle sull'onore e il nome del padre: doveva accertarsi che quello scemo non si stesse lasciando trasportare dalla rabbia e che non fosse stato tanto stupido da prendersela per un semplice colpo diretto al suo ego. Era sicuro che la faccenda di Sayuri gli stesse rodendo più di quanto lui stesso volesse ammettere, ma non certo per l'insinuazione da lui fatta e che gli aveva permesso di guadagnarsi i primi lividi violacei sulla faccia.
Non lo avrebbe mai ammesso o forse si se glielo tirava fuori a suon di calci; fatto stava, che in quel preciso momento non aveva alcuna intenzione di mollarlo fino a quando non avrebbe capito cosa cavolo gli stesse passando in quella testa bacata e infuocata che si ritrovava.
Con una ginocchiata ai reni, se lo tolse di dosso; ne approfittò per bloccarlo a terra, nella stessa posizione in cui lui era stato per pochi secondi prima, con un ginocchio impiantato nel torace.
"Tu sei arrabbiato perché ti ha detto che non eri all'altezza, non è così? Sei arrabbiato perché credi che lei ti abbia negato la sua fiducia, quando da te, invece, non si aspettava che questa!" gli urlò tirandogli un pugno in faccia "Sei così arrabbiato perché non riesci a capire il suo comportamento quando invece non dovresti avere dubbi sulle sue scelte, anche se incomprensibili!"
Il vedere come gli occhi del moro stessero cercando di incenerirlo lo spronò a continuare; fino a quando non avrebbe ammesso quello che voleva farsi sentire, il medico-cecchino avrebbe continuato a rinfacciargli quella cruda verità che stava colpendo il suo orgoglio ben scoperto alla luce del giorno come una carie grossa quanto il suo berretto. Il semplice fatto che riuscisse a picchiarlo nonostante quello stesse aumentando sempre di più la propria temperatura corporea, gli diede l'ulteriore prova che Ace non aveva il pieno controllo su di sé e anche se l'avesse avuto, lo stava esercitando gran male; era sicuro che continuando su quella strada, le sue ossa avrebbero gridato per il dolore, ma sinceramente non gliene importava un fico secco. Se per farsi ascoltare fino in fondo, se per ottenere delle beneamate risposte doveva picchiare e a sua volta essere picchiato a sangue, allora non si sarebbe fermato.
Da parte sua, il comandante della seconda flotta non potè più sopportare con mezza passività tutto quello che Don gli stava riversando contro. La verità faceva sempre male e lui ne aveva dovute sopportare di molto pesanti, ma quella....quella le superava di gran lunga tutte quante. Non aveva idea di quanto fosse ridicolo in quello stato, ne di star mostrando un'infantilità incompatibile con la sua età, la sua sola consapevolezza era che le proprie mani lo stavano supplicando di farle chiudere e colpire quella bocca che con tanta facilità sputava sentenze su sentenze.
"Ma tu.." ringhiò nel spingerlo via "Che diavolo ne sai?!"
Lo calciò dolorosamente e lo gettò lontano da lui, per poi riafferrarlo per la maglia e sbatterlo ancora contro la parete legnosa.
"Ti permetti di farmi la predica, ma non hai la minima idea di come mi senta ora. Credi che sia entrato di prepotenza nella stanza di papà solo per farmi incaricare di inseguire quel dannato? Credi che non abbia tenuto conto di quanto era successo?! Credi che.." e sbattè Don ancor più forte contro la parete "Non abbia visto in che stato fosse lei?!"
Le assi scricchiolarono pericolosamente insieme ai trattenuti mugugni dolori del compagno col berretto. I segnali che il suo corpo gli stava inviando, cominciavano a essere troppo insistenti per continuare a venire soppressi. Da una parte la solidità del muro, seppur cedente, gli stava puntellando la schiena con le sue schegge; dall'altra, le mani incandescenti di Ace stavano bruciacchiando la sua pelle a sufficienza per farci rimanere dei segni rossi se quello avesse deciso di trasformare l'intero arto in puro fuoco. Era infuriato perché non capiva; benchè sapesse che lei era fatta a quel modo e che mai sarebbe cambiata, il tutto gli apparve insensato, quasi riluttante a voler chiedere aiuto; si era sentito spingere via, allontanato, murato al di fuori di quelle difese che lui stesso a poco a poco aveva fatto cedere ed era rimasto così pietrificato quando lei gli aveva detto quelle cose - una poi - che quel che doveva replicare, insieme ai sentimenti messi in gioco al momento, era svanito, sepolto sotto una coltre di ghiaccio calato con la stessa incisiva lentezza di un requiem funebre.
Le aveva detto di fare come meglio credeva. Le aveva permesso di scendere dalla nave senza neppure provare a spiegarsi. L'aveva lasciata andare via senza che le potesse parlare; era arrabbiato con lei, ma anche preoccupato per quella sua stupida immolazione a cui non si era opposto, ma per Don, lo stesso Don che ora aveva colpito con un altro pugno per averlo schernito tanto apertamente, e che adesso si trovava ancora a terra con la faccia dolorante, le sue parole parevano essere inconsistenti, vuote, patetiche.
"So come sta, l'ho vista" ansimò quello reggendosi la guancia "Ma la cosa che mi fa più schifo di tutta questa storia, è che tu te ne sbatta di come lei stia e che lei..." e calcò bene il pronome "Stia male per quello che ti ha detto"
Seppe di aver toccato l'ennesimo tasto dolente perché l'espressione di Ace si deturpò quanto bastava da impedirgli di parare il colpo che lui gli restituì seduta stante. Non avrebbe mai pensato di arrivare a quei livelli, livelli che nemmeno gli si addicevano ma non poteva non togliersi dalla mente il dialogo avuto con la ragazza, la sua versione dei fatti - più che completa - le sue motivazioni e di come in particolar modo si fosse affidata totalmente a lui. Gli aveva mostrato e fatto leggere il pezzo di carta datole da Satch prima di morire e dopo ciò, non aveva più avuto dubbi sul fatto che se qualcuno, dotato dei poteri dei frutti del mare, fosse andato a cercare Teach, non avrebbe trovato altro che una sconfitta mortale. Si era incupita maggiormente nel descrivere quella parte e lui non aveva dimenticato quel viso,ora stampato nella sua memoria. Aveva promesso, lei confidava nel suo silenzio e Don nel profondo di sé non voleva venire a meno a quel giuramento: Ace non poteva vincere contro un potere che inibiva il suo e benché fosse forte anche senza, non era detto che potesse farcela contro l'uomo che era riuscito addirittura a uccidere il comandante della quarta flotta.
Gli si fiondò addosso con il viso di Sayuri sempre impresso nella mente, tenendolo ben fermo per permettergli di continuare in quella lite la cui fine era incerta.
"Tu non sei imbattibile, Ace, nessuno a questo mondo può essere il più forte per sempre, ma evidentemente, orgoglioso come sei, hai preferito fare di testa tua invece che ragionarci sopra. Non stiamo parlando dell'onore di papà, ne del suo nome, ma di quello che stai per commettere e non pensare che te lo lasci fare, sai?"
Il ragazzo sotto di lui tenne la bocca contratta in una smorfia ribelle e distolse lo sguardo, ma senza smettere di far leva coi palmi per controbilanciare la presa che il medico-cecchino aveva su di lui.
"Lo vedi che ti stai comportando peggio di un poppante?! E guardami quando ti parlo idiota!"
Gli mollò un altro pugno, costringendolo così a volgere la testa verso destra, con tutti i capelli che gli coprivano il viso.
"Non riesci nemmeno a renderti intangibile.." ansimò Don, disgustato "Adesso stammi bene a sentire" lo afferrò per le spalle alzandogli così la testa da terra "Posso accettare che tu decida di batterti contro tutta la Marina da solo. Posso accettare che tu voglia rendere il capitano il Re dei Pirati anche a costo della tua stessa vita e posso anche passare sopra a tante di quelle cose per cui meriteresti una lavata di capo colossale, ma non posso, non posso in alcun modo perdonarti per l'aver messo il tuo fottuto ego prima di lei!" a quel punto esplose definitivamente "CAZZO, ACE, E' SAYURI NON CHISSA' CHI! MA TU PENSI SUL SERIO CHE NON ABBIA MAI VISTO QUANTO NE SEI INNAMORATO PERSO?!?"
L'acqua su cui galleggiava lo Striker si appiattì seduta stante benchè la corrente proveniente dall'esterno fosse piuttosto agitata per via del tempo nuvoloso e minaccioso. Il muscolo cardiaco di Don dopo quell'urlo, martellò animatamente nella cassa toracica dentro cui era rinchiuso cercando di regolarizzare il suo andazzo, contenendo il desiderio di salire il gola ed espandere i suoi palpiti, ma il medico-cecchino aveva un ultima cosa da dire a quello stupido e il trattenerlo dentro di sé era impensabile: era certo che Ace, quello vero, fosse lì, sotto tutta quella coltre di odio ingigantito e doveva tirarlo fuori, anche malamente se necessario, per fargli comprendere che il suo istinto lo stava spingendo a comportarsi in maniera del tutto contraria da quella consona che ci si aspettava da un comandante della flotta di Barbabianca, anzi..da un amico.
"Hai detto che non ti saresti mai sognato di ferirla e io ci ho creduto subito perché solo un cieco non vedrebbe quanto tu le sia legato, ma forse sono stato troppo frettoloso. Può darsi.." e assottigliò le pupille "Che tu non le voglia così bene come hai sempre detto"
A quel punto l'ambiente circostante calò in mutismo ancor più profondo di quello creatosi pochi secondi addietro.
Infine glielo aveva detto, quel che pensava realmente. Anzi, più che detto, prima urlato e poi sibilato con tanta veemenza da far tacere perfino l'increspare del mare. Si era lasciato trasportare da quel sentimentalismo che per fargli raggiungere la meta senza alcuna esitazione, aveva assunto le sembianze di una Sayuri sull'orlo della disperazione e che gli chiedeva aiuto. Smise di spingere nel non percepire più l'ostilità fisica di Ace, ma non gli tolse le mani di dosso per non rischiare di finire nuovamente a terra. Il silenzio in quel piccolo hangar si era indurito come il cemento nell'acqua, i granelli di polvere si erano appiattiti contro le parti del muro ancora integre e le rabbie acquietate del tutto. Quella fiammella troppo alta che aveva gonfiato a dismisura pugno di fuoco si era estinta, da prima pian piano poi,scomparsa in un battito di ciglia; aveva fatto tacere, sbollire quel moccioso lentigginoso nel solo modo che gli era consentito ovvero attaccare con tutta la sua forza quella parte di lui dove il ricordo di Sayuri era vivo quanto il suo stesso cuore. Era stato crudele, un autentico bastardo nel rinfacciargli tutte quelle cattiverie, ma al momento non se ne pentiva: voleva verificare, voleva scoprire che cosa c'era realmente dietro tutta quella maschera mal assortita di sentimenti negativi, perché si rifiutava categoricamente di credere che a Ace non importava nulla della ragazza. Glielo aveva sentito dire prima, continuando a girarci intorno ma lui invece aveva pesantemente preteso che quelle parole uscissero dalla sua bocca senza che nessun impedimento morale lo bloccasse.
Arrendersi era contrario alla personalità del moro, ci era sempre stato incredibilmente allergico e i continui attentati alla vita di Barbabianca quando quello lo aveva portato sulla sua nave ne erano un chiaro esempio. Ma allora Ace non aveva litigato con Sayuri;l'aveva avuta accanto, sempre, che fosse in silenzio o gli parlasse per il solo sapere come stesse.
Ma adesso era completamente diverso. Lei non c'era....
"Mi sa che hai ragione" mormorò il moro "Forse non le voglio bene come ho sempre pensato"
A quel punto la pressione che le mani del medico-cecchino esercitavano sul compagno, vacillò quanto bastava da diminuirne nettamenta la forza. Con occhi lievemente allargata e la bocca sul punto di aprirsi da sola, Don rimase totalmente abasito per quel che aveva appena udito: Ace, l'orgoglioso testone di fuoco che il più delle volte faceva di testa sua, gli stava dando ragione.
"Le ho detto che voglio essere egoista" riprese con un sorriso mesto "Le ho detto che voglio avere più di quanto ho già e che sarebbe stata costretta a sopportarmi per un altro po' visto che avevo promesso di prendermi cura di lei ma forse.." e qui l'amaro gli scese giù in gola "Di lei non mi importa così tanto se sono stato addirittura capace di metterla al di sopra del mio stupido ego"
Voleva averla sempre vicino per evitarle ulteriori sofferenze, per non vederla piangere.Voleva essere il suo appoggio, la sua spalla, tutto quello che lei avrebbe desiderato e in cambio, lui non avrebbe chiesto che il suo sorriso e la sua presenza quando ne avrebbe sentito il bisogno.
"Le ho detto che qualora ne avesse avuto bisogno, sarebbe potuta venire da me" continuò con gli occhi celati dai capelli scompigliati "Le ho detto..che l'amavo"
Ace non era tipo da esternare così apertamente i suoi sentimenti più profondi, nemmeno al suo migliore amico anche se era quel che stava facendo. Odiava sentirsi in qualche modo scoperto; finiva per dire cose mai pensate,si ghiacciava a tal punto da allontanare col solo sguardo tutti. Quanti uomini aveva ridotto in fin di vita perché sparlavano di Roger? Non c'era modo di tenerlo a freno quando l'argomento era quello perché ogni volta finiva per distruggere tutto quanto mentre dentro di sé si sentiva unicamente ferito. Solamente Sayuri era riuscita a placare quel lato ingestibile di lui, a toccarlo e a rassicurarlo come nessun'altro e il realizzare che lei era lontana da quella nave lo stava facendo impazzire. Come Don era venuto lì per fargli capire che andare non sarebbe servito a nulla, Ace voleva fargli comprendere che andare, era il solo modo che aveva per mantener fede alla sua promessa, per proteggerla e anche se molto di quello che doveva ancora dire era nella sua mente, il medico-cecchino era abbastanza lucido per intuire il tutto senza che il moro finisse di scoprirsi. Pugno di Fuoco gli stava dando ragione, stava ammettendo fatti che si sarebbe tenuto volentieri per sé se Don non fosse venuto lì e avesse iniziato a picchiarlo e inveire contro di lui, ma al tempo stesso non stava demordendo e l'amico oramai ne aveva preso pienamente coscienza, osservandolo come solo lui aveva imparato a fare nel giro di quei anni trascorsi a navigare insieme.
"Tu sei un pazzo" brontolò il medico-cecchino togliendosi da sopra "E lei più di te. Ci credo che state insieme"
Si pulì col dorso della mano la bocca insanguinata.Gli dava la schiena, quindi udì solo i suoi passi e il rumore dell'acqua appesantirsi e nuovamente muoversi. Poteva ancora fare qualcosa? No, quello che doveva dire l'aveva detto, con tanto di scazzottata e disfacimento dell'hangar. Sapeva di star deludendo un'amica, ma la sola cosa che poteva fermare un'idiozia d'amore era un'altra idiozia d'amore e lui lì, nonostante la sua influenza di amico, non poteva competere contro una simile opposizione. Non poteva capire l'amore, la malattia più grave esistente al mondo - detta in termini medici -.
"Io vado, Don"
Non gli fece un cenno di saluto ne si sprecò ancora a parlare. Finì col rimanere lì mentre sentiva il motore dello Striker emanare vampate di calore contro la sua schiena e rombare verso il mare aperto, fino a confondersi con il resto di quella calma piatta.
"Non potevi fermarlo, Don" gli disse Maya, una volta che quello fu tornato al presente "Nessuno di noi avrebbe potuto"
La prima bottiglia era stata sostituita da una seconda,di una marca più buona e accettabile rispetto l'altra,già dimenticata nell'angolino. Se si doveva affogare il dispiacere nell'alcool - se poi si poteva chiamare così - era meglio farlo con roba decente si erano detti più volte quella notte.
"Le persone sono stupide" continuò la capo infermiera, battendo il bicchiere sul tavolo dopo aver bevuto in un colpo il suo contenuto "Siamo stupidi perché crediamo di avere padronanza della nostra ragione, dei nostri sentimenti e delle emozioni, quando è invece il cuore, il nostro vero cervello, a farci fare quello che vuole lui, perché sa esattamente cosa vogliamo in assoluto al di sopra di tutto il resto" spiegò lei agguantando la bottiglia "Siamo schiavi del nostro cuore, è un dato di fatto"
Fissò il bicchiere per qualche secondo ma poi preferì bere a canna sotto lo sguardo basito e stanco del collega.
"Che finezza.."
"Taci e soffoca i tuoi sensi di colpa" e allungò il braccio per passargli la bottiglia.
"Chi ha parlato di sensi di colpa, donna?" le domandò afferrando quanto offerto.
"Fammi un favore, Donnie" gli disse seriamente nonostante la voce velata dall'alcool e il viso appena rossiccio "Bevi e sfogati, così domani mattina saremo troppo impegnati a vomitare per ricordarci questa conversazione ed eviteremo di insultarci pateticamente a vicenda. Non mi diverto a prenderti in giro se non sei in forma."
"Concordo, donna" e riempì per l'ennesima volta i bicchieri.
Crash!
La tazzina ben colma di tè al limone rotolò giù dal tavolo e si infranse a terra disperdendosi in tanti piccoli cocci bagnati. Non era nemmeno sul bordo, ma per qualche strana, assurda ragione, quella era finita per terra, spaventando chi l'aveva ordinata. Da qualche giorno Sayuri era tesa,col fiato corto e ancor più insolito, non per le ragioni che l'avevano spinta a fare quel che aveva fatto. L'aria stava trasportando qualcosa, un presagio di cattivo auspicio che continuava a picchiettare contro la sua pelle senza però lasciarsi afferrare del tutto. Era frustrante avvertire qualcosa ma non apprenderla a fondo,era come brancolare nel buio seppur con la consapevolezza che da qualche parte ci fosse una cosa dal valore non poco trascurabile. Il guardare quella tazzina rotta diede a bianco giglio l'ennesima brutta sensazione, un altro avvertimento dai caratteri indecifrabili. Purtroppo, non era riuscita a bloccare Teach a Shanbody - il bastardo era arrivato prima di lei - e adesso si trovava su un'sola della Grand Line, prossima a riprendere l'inseguimento. In tre mesi di navigazione era riuscita a raccogliere soltanto degli avvistamenti che poi si erano rivelati dei bluff, bande di pirati che si vantavano della loro taglia, ma che appena vedevano un collega di rango più elevato se la squagliavano a gambe levate prima che il nome ottenuto finisse nella spazzatura.
Non c'era bisogno di star a pensare che i pirati,non tutti almeno, rendessero onore al proprio nome; la testa della castana era affollata da pochissime cose, ma ingarbugliate a sufficienza fra loro per occupare il vuoto vacante. La stanchezza non era più un peso per lei,quei ritmi veloci e tiranti li aveva fatti suoi in pochi attimi e se mai fosse stata a letto più del necessario, era convinta che poi non si sarebbe più rialzata. Riassettandosi ordinatamente i capelli, afferrò la mappa e il log pose tolto temporaneamente dal polso per controllare la correttezza della rotta.
"Vediamo, io son....eh?"
Credette di aver visto male. Lo sguardo si era rivolto sullo strumento di navigazione anzichè sulla cartina; stropicciò gli occhi con le dita, certa che fosse stato un abbaglio, ma nel riprendere in mano l'oggetto e nel guardarlo da vicino, vide che non si era sbagliata.
Il piccolo ago contenuto nella bolla trasparente si stava muovendo, ma non nella direzione che le aveva indicato poco prima che si sedesse per pranzare.
Sta puntando a nord-est, ma prima invece era su nord-ovest. Com'è possibile?
Il pezzettino di ferro acuminato ondeggiava verso la nuova indicazione per poi tornare indietro, come se non sapesse decidersi sul da farsi. Lo vedeva nitidamente, l'ago pareva essere impazzito. Sayuri non si era sbagliata perché aveva segnato sul proprio quaderno l'ora di registrazione e la direzione che il log pose le aveva fornito pochi minuti prima, ma adesso quello stava nuovamente cambiando direzione e non era possibile che si stesse posizionando su un'altra rotta, il magnetismo di quell'isola era stato appena registrato. Qualcosa non andava. Pagò velocemente quanto mangiato e si diresse nel primo negozio di cartografia adocchiato. Appena entrata andò subito al bancone, richiamando l'attenzione del padrone.
"Buongiorno, posso esserle utile, signorina?" le domandò l'uomo dietro il lungo tavolo, un anziano dai capelli marroncini prossimi a diventare bianchi.
"Si, vorrei chiederle di dare un'occhiata al mio log pose, se non le spiace"
"No di certo" e prese l'oggetto portogli "Mi dica, che cos'ha che non va?"
"Ecco, in verità non ne sono sicura" cominciò cercando le parole più adatte "Ha registrato il magnetismo dell'isola diversi minuti fa e adesso sta cercando subito di sintonizzarsi su un'altra rotta. Continua a cambiare direzione, guardi lei stesso"
"Uhm...."
Gli occhi di quell'uomo, aiutati da delle sottili lenti quadrate osservarono insieme a quelli della cliente l'ago contento nella tondo boccetta di vetro. Pareva veramente aver perso la testa; acquistava velocità, rallentava improvvisamente, si muoveva su e giù,restando fermo a malapena, come fuori di senno. Sayuri non aveva idea di che cosa potesse trattarsi: possedeva quel log pose sin dall'inizio del suo viaggio e mai, mai quello si era rotto o aveva assunto comportamenti del genere.
"Non c'è che dire, signorina" proferì sollevato il padrone, alzando gli occhi su di lei "Lei è stata molto fortunata ad arrivare fino qui"
"Non riesco a seguirla. Il mio log pose è rotto?" domandò confusa.
"Io non lo definirei rotto, visto che questo non è nemmeno un log pose vero" le rispose.
La confusione le colpì una parte qualunque del petto. Ebbe timore a chiederlo, ma si fece coraggio per sapere cosa il negoziante intendesse dire con il fatto che il suo log pose non era vero.
"E' molto semplice: vedete, l'ago contenuto nella boccetta dei log pose è fatto di un materiale speciale che riesce a captare gli influssi che i minerali delle numerose isole emettono. Nella Grand Line, la quantità di questi è sette volte maggiore rispetto ai altri mari che si trovano al dì fuori della Reverse Mountain, quindi il solo strumento che permette ai viaggiatori di non perdersi o di non finire alla deriva è proprio il log pose. Ora, venendo al vostro, ho notato che l'ago è leggermente più spesso rispetto alla norma ed è stato questo a farmi sospettare della falsità dello strumento. Se questo non è del giusto peso o è fatto con un altro materiale diverso da quello previsto per la costruzione, non può funzionare correttamente"
"Vuol dire che impazzisce?" azzardò Sayuri nel cogliere i punti salienti di tale spiegazione
"E' una delle conseguenze" annuì il padrone del negozio "Vedete, il metallo con cui si costruisce l'ago di un log pose è un particolare ferro allo stato puro che possiede delle peculiarità che gli permettono di captare l'influsso dei minerali presenti nell'oceano e sulle isole, e quindi di stabilire con loro un collegamento. Questa proprietà è presente solo in codesto tipo di metallo, qualsiasi altro ferro priva di essa è inutile"
Man mano che l'anziano negoziante proseguiva,una nota di panico cresceva con divorante fame dentro la ragazza. Le gambe le tremavano a ogni parola che il cervello recepiva e rielaborava mentre la conclusione che le avrebbe dato conferma di quel timore incontrollabile, si avvicinava con passo danzante.
"Lei mi sta dicendo che..questo non è il mio log pose?"
"Beh, mia cara, se non lo ha cambiato, temo che sia stato manomesso o addirittura sostituito con un altro"
Se non avesse appoggiato le mano sul banco sarebbe caduta a terra come un peso morto. Le parole "manomesso" e "sostituito" rimbombarono all'unisono nella sua scatola cranica, richiamando a galla dettagli di quel suo viaggio fino a quel momento ritenuti insignificanti. Alla partenza, quand'era ancora sulla Moby Dick, lo aveva sempre portato con sé e inoltre si sarebbe accorta subito del cambiamento di rotta visto che fino a Shanbody l'aveva organizzata lei su carta. In quel frangente il commerciante stava aggiungendo anche che il metallo con cui era stato costruito il suo log pose era di qualità resistente perciò era naturale che non si fosse accorta subito dell'inganno: pareva aver funzionato correttamente fino all'arcipelago, ma poi, forse per la minor presenza di minerali in zona, questo aveva incassato quel calo perdendo il suo ultimo briciolo di stabilità. Era stata fortunata, tremendamente fortunata a non finire in chissà quale altro posto, ma fatto stava, che ancora non capiva come fosse stato possibile quello scambio o manomissione.
Se l'aveva sempre tenuto con sé, com'era possibile che fosse stato sostituito? Si sarebbe accorta se qualcuno l'avesse seguita o avesse cercato di derubarla.
No...rifletti, Sayuri. La risposta c'è, deve essere da qualche parte..
Mossa dall'agitazione, iniziò a rivangare nel passato, scandagliandolo centimetro per centimetro senza tralasciare nulla che all'apparenza fosse futile e vuoto. Fu solo quando tornò a poco dopo l'inizio del suo viaggio che il viso le si impallidì a tal punto da colpire perfino il commerciante.
"Oh, Mio Dio...." sussurrò con occhi spalancati.
"Signorina, si sente bene?"
Era incredula a quello che lei stessa stava formulando mentalmente ma quell'episodio, quel particolare episodio che ora stava ricostruendo con tanta minuziosità, le appariva sotto una nuova luce rivelatoria. Ricordava bene il suo primo approdo, era salita in stanza senza neppure scendere per cenare. Aveva lavorato fino a tardi per ottenere un percorso rapido e agevole che la conducesse a Shabondy nel minor tempo possibile e tra la fatica e il cercare di non farsi colpire dal dolore, era crollata sulla scrivania per risvegliarsi la mattina successiva stesa sul letto e con le coperte a scaldarla. Non ci aveva mai dato peso, perché ricordava ben poco di quella notte tanto che quello strano buco di memoria l'aveva attribuito alla stanchezza, auto-convincendosi che in una qualche maniera era riuscita a raggiungere il letto.
E invece non era così.
Lei si era addormentata alla scrivania, ora lo rammentava bene, non poteva essersi spostata di sua iniziativa e peraltro..il log pose in quell'occasione l'aveva tolto, ma se l'era sempre tenuto vicino alle cartine. Più dettagli risalivano in superficie, più tutto il suo corpo andava incontro a quella frenesia che la portò a essere vittima di un panico tanto grande da paralizzarla. Poteva trattarsi di un incidente che l'aveva vista sbattere, di qualunque altra ipotesi possibile, ma alla fine collegò quanto rimembrato alla sola risposta che prepotentemente cercava di respingere - seppur vera - e pensò a quella persona che più le stava facendo battere il cuore per la paura.
"E' stato lui...è stato lui.." mormorò sconvolta.
"Signorina, di chi parlate?" domandò preoccupato l'anziano.
Una delle mani con cui si reggeva al banco, venne tolta per poi essere appoggiata alla base del collo. Doveva calmarsi ma anche quella semplice azione le risultava impossibile; perfino la sua pelle si era raffreddata a quella scoperta. I tanti e sofferti passi compiuti in avanti erano stati disintegrati in un solo colpo e lei, rispedita così indietro senza neppure aver la possibilità di replicare.
Ace era in mare, al di fuori dei territori di loro padre. Stava cercando Teach e probabilmente era addirittura più avanti di lei.
Con uno sforzo immane, bloccò sul nascere il passato da cui era scaturita la sua situazione attuale e si riscosse quanto bastava per farle recuperare la parola.
"Signore, non è che avrebbe una cartina raffigurante le isole presenti nei dintorni del territorio di Alabasta?" domandò infine.
"Del regno di Alabasta? Certo, aspetti un momento.." e prese a frugare sotto il bancone.
Alabasta era un continente desertico dove regnava la monarchia e l'acqua veniva considerata più preziosa dell'oro, ma non era quello che a Sayuri interessava; nelle sue vicinanze ,più a nord, vi era l'isola invernale di Drum, l'esatto opposto di quel torrido e afoso regno. Tra i bluff e le false piste, aveva scoperto che Teach era passato proprio su quell'isola e che ne avesse cacciato il sovrano. Dubitava fortemente che fosse ancora là, ma il numero di correnti che esse presentava - ovvero due - era il solo aiuto che le poteva permettere di guadagnare terreno. Non appena il negoziante stese sul tavolo l'enorme pergamena geografica, la ragazza la unì insieme a una delle sue mappe tirate fuori dallo zaino e molto velocemente, ricostruì l'ipotetico percorso che le due correnti partenti da Drum andavano a creare con le altre isole. Procedendo con l'indice puntato sulla carta, vide che entrambe erano piuttosto in sincronia, vicine fra di loro, ma comunque inutili: erano buone per navigare, con venti favorevoli, ma di certo simili elementi non le potevano dire quale stesse utilizzando Teach o Ace per spostarsi.
"Mi scusi, sa se per caso in queste zone ci sono stati dei avvistamenti di pirati o dei saccheggi?" domandò indicando col dito la zona da lei contrassegnata.
Era la sua ultima possibilità. Se mai l'ex compagno era riuscito nell'intento di mettere insieme una ciurma, non era detto che non avesse già iniziato a razziare in giro.
"Saccheggi? Si, figliola: ultimamente su quest'isola e su altre si stanno trasferendo molte persone che prima abitavano in questo arcipelago" e puntò coi occhi il secondo territorio marcato dalla giovane cliente "Da quello che ho sentito dire, sembra che una banda di pirati stia creando scompiglio nei villaggi di quella zona. Nessuno sa chi sia, pare possa trattarsi di nuove leve, ma quel che è peggio, è che la Marina al momento è indaffarata a Enies Lobby per poter andare a controllare" spiegò con una nota di rammarico al riguardo.
Si vociferava che qualcuno avesse infranto l'invulnerabilità dell'isola giudiziaria, ma Sayuri era stata ed era ancora così presa dalla propria missione che ignorava che il fautore di tale atto fosse l'adorato fratellino di Ace, Rufy. Con maggior agitazione osservò quel gruppo di isole vicine fra di loro; erano sette, quasi tutte della stessa dimensione e Teach poteva trovarsi su una di esse.
"Per favore, signore, lei non avrebbe un eternal pose di una di queste isole? Uno che mi permetta di approdare su tutte, se fosse possibile" chiese con tono supplichevole.
"Come? Io..."
"La prego, è importante!" esclamò.
Gli occhi cominciarono a bruciarle, ma come per molte altre cose non ci badò: non appena percepì sul proprio palmo il legno dell'oggetto, alternato al vetrino tondo incastonato dentro d'esso, lo strinse e corse fuori insieme a tutto quello che aveva verso il porto, rischiando anche di andare a sbattere contro i passanti.
Per favore.....per favore, fa che non gli sia successo nulla!!
STAI LEGGENDO
Giglio di picche
FanfictionIl mio sogno è trovare un sogno. Cercarlo significa vivere? Non lo so perchè io non so se ho il diritto di questa mia vita o di questo mio desiderio. Non so cosa sia un sogno ma lo desidero così tanto perchè forse può darmi la felicità che non ho. A...