Buio e silenzio.
Erano gli unici elementi di quel desolato panorama dove Sayuri continuava a vagare senza trovare via d'uscita; se provava a guardarsi le mani non scorgeva altro che il nero di quel posto, denso come la pece ma totalmente inodore. Era una sensazione nuova quella, palpabile e tiepida allo stesso tempo, priva di freddezza o spigolosità: non temeva quel buio stranamente, lo percepiva temporaneo, la cui durata era strettamente collegata a qualcosa che stava succedendo al suo esterno. Il tempo pareva non esistere e dunque era inconsapevole da quanto si trovasse lì, però ora cominciava ad avvertire su di sé come delle braccia invisibili che la stavano sollevando da terra, portandola in alto, verso la superficie. Ora il buio non era più così buio e l'aria non era priva di odore: inspirò un profumo dolce e pulito, come di fiori appena colti e nel percepire il proprio corpo e la propria mente risvegliarsi stropicciò gli occhi, cogliendo nuove sensazioni come l'avvolgente calore che la stava proteggendo e il benefico tocco di alcune fasciature che la stringevano dolcemente laddove era stata ferita; nell'aprire finalmente gli occhi scoprì di trovarsi in un letto, sdraiata sul fianco sinistro e con la certezza di non essere sulla nave dei pirati di picche. Era una stanza nuova quella, ben illuminata e con tutto l'indispensabile; da dov'era, Sayuri intravide un secondo letto attaccato alla parete di legno scuro opposta alla sua.
Tra i due letti c'erano due comodini con sopra una lampada nel mezzo; nel schiarire ancor di più la vista provò a mettersi seduta ma finì col cadere sul materasso, con il viso contratto in una lieve smorfia sofferente: il dolore fisico apparentemente scomparso si era aggiunto prepotentemente alle nuove sensazioni scoperte da poco. Nel portarsi una mano sul fianco fasciato, riuscì a raddrizzarsi e a tirarsi su,anche se con non poca fatica e dolore. Ora che il suo corpo stava cominciando a risvegliarsi, pareva essere diventato talmente sensibile ad ogni stimolo che lei non riusciva a non udirlo.
"Che bello, ti sei svegliata!" squittì una voce a lei del tutto nuova.
La porta della camera si era aperta e nella stanza era entrata una ragazzina sui quindici, sedici anni, indossante una graziosa uniforme color confetto rosa da infermiera, con tanto di cappellino, calze e scarpe ballerine col fiocco dello stesso colore. Il viso a forma di cuore era valorizzato da grandi occhi viola scuri, animati da una luce giocosa e da un larghissimo sorriso da bambina. Già con quei caratteri particolari appariva davvero bizzarra ma la cosa che la rendeva davvero buffa, erano i capelli a caschetto neri,scompigliati sulle punte; alcune ciocche del lato sinistro erano state colorate di un azzurro celeste intensissimo mentre il destro di fucsia. Con quei occhioni, i capelli e il fatto che stesse cercando di reggere un vassoio pieno zeppo di cibo e medicinali cercando di non perdere l'equilibrio, non vi era parola più idonea di buffa per definirla. Alla castana ricordò molto quelle bambole di porcellana vestite con abiti pieni di pizzi e merletti, solo che questa era a grandezza umana e la stava affiancando con un piatto di mele e un bicchiere colmo di tè caldo.
"Eravamo convinte che non ti saresti svegliata prima di una settimana e invece sono passati appena tre giorni e mezzo!" continuò posando sul comodino il piatto e la bevanda calda cosicchè potesse cingergli le spalle con il braccio "Ce la fai? Sai, non dovresti sforzarti"
"S-si, io..urgh!" non terminò la frase che venne colta da un forte capogiro.
"Non devi agitarti, sei ancora debole! Ah, dimenticavo di presentarmi: io sono Akiko e se te lo stai chiedendo, ti trovi nel reparto infermieristico della Moby Dick" la informò aiutandola a mettermi semiseduta.
"La...Moby Dick?" sussurrò la castana.
Qualcosa non quadrava. Mente e corpo lavoravano all'unisono, i suoi sensi intorpiditi stavano riprendendo lucidità ad ogni secondo e i ricordi momentaneamente ridotti a brandelli venivano ricuciti come pezze di un'unica grande tela. Quando questi ebbero ripreso il loro posto,tutto quello che prima Sayuri non riusciva a focalizzare fu illuminato da una luce rivelatoria: aveva visto il sommo Jimbe andarsene e subito dopo aveva ingaggiato uno scontro contro Barbabianca. Se era vero che si trovava sulla Moby Dick, allora non poteva che esserci un'unica spiegazione: aveva perso ma ciò non era di certo una cosa di cui doveva stupirsi. Doveva essere successo qualcosa dopo che era svenuta ma al momento non ricordava nulla se non quella corrente smisurata di potere colpirla in pieno petto e scaraventarla a terra.Al solo rammentarlo, il suo corpo gemette e lei con lui.
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Giglio di picche
FanfictionIl mio sogno è trovare un sogno. Cercarlo significa vivere? Non lo so perchè io non so se ho il diritto di questa mia vita o di questo mio desiderio. Non so cosa sia un sogno ma lo desidero così tanto perchè forse può darmi la felicità che non ho. A...