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PRESLEY's POV

Entrammo in casa e lo vidi dirigersi in camera sua e poi in bagno ; in quei cinque minuti che passammo in auto insieme, invece, non fiatò mentre io restai in apnea. Corsi nella mia stanza ed afferrai la valigia, dopo tutto, non era neanche necessario che lui venisse a dirmi chiaro e tondo che mi voleva fuori da casa sua. Avevo qualche contante e abbastanza denaro sulla carta di credito che mi avrebbero permesso di passare almeno una settimana in una stanza di motel, ma avrei dovuto trovarmi subito un altro lavoro.

Ricevetti un messaggio da parte di Ethan dove mi domandava dove diavolo fossi finita, ma non risposi non avendo la minima voglia di spiegargli ciò che accadde al Love. Piegai alcune maglie dentro la valigia e raccolsi tutte le mie cianfrusaglie, sparse in giro per la stanza. Man mano che infilai le mie cose provai una fitta perforarmi il busto, all'altezza del cuore, come se dirgli addio in realtà me lo avrebbe spezzato. Avrei potuto non rivederlo mai più e solo l'idea mi fece così male che non mi resi nemmeno conto che stessi inzuppando di lacrime i vestiti riposti all'interno della valigia.

«Peps.» Sentii la porta aprirsi ma non ebbi il coraggio di voltarmi a guardarlo. «Ma che fai?» Chiese mentre mi asciugai di nascosto gli occhi non rispondendo alla sua domanda. Mi affiancò e tirò fuori dalla valigia le mie cose nonostante io continuassi ad infilarcele.

«Lasciami andare.» Lo supplicai vedendolo catapultare la mia valigia, mentre tutta la mia roba cadde sul letto dove poco dopo mi ci sedei, esasperata.

«No, tu non vai da nessuna parte!» Sbottò facendomi spalancare gli occhi. «Quello che andrà via sono io.»

Che?

«Chiederò a Jefferson di stare da lui per un po', finché arriverà mia madre.»

«Ma che sciocchezze vai dicendo? Questa é casa tua.» Balbettai tirando sù con il naso, asciugandomi le gote.

«Ho giurato che mi sarei preso cura di te fino all'arrivo di mia madre, e lo farò, costi quel che costi. Anzi, sai anche che non avresti nemmeno avuto bisogno di lavorare, ma ho comunque voluto accontentare una tua richiesta inoltrandoti nell'ambiente lavorativo affinché ti rendessi utile, diventassi più indipendente, ti facessi degli amici e ti sentissi meno sola.» Esclamò pacato. «E poi, ti ricordo che hai firmato un contratto e lo porterai a termine finché io, nonché tuo datore di lavoro, ti licenzierò. Perciò, domani porterai il tuo bel culetto a lavoro, che ti piaccia o meno. Sono stato chiaro?»

Non risposi.

«Peps, sono stato chiaro?» Ribadì avanzando verso di me di un paio di passi finché afferrò il mio braccio e mi tirò a sé facendomi alzare dal letto per racchiudermi in un abbraccio. Non resistetti più ed appoggiai il mio viso sul suo collo.

«Mi sono comportata malissimo con te!» Sussurrai molto più calma di qualche attimo prime mentre accentuò la morsa stringendomi talmente forte a sé, quasi in modo possessivo, che quasi non respirai più anche se mi importò poco.  «Non serve che tu vada da Jefferson!» Lo supplicai mentre accarezzò la mia testa dolcemente regalandomi una piacevole sensazione di quiete.

«Se non vuoi che vada allora non andrò, però non piangere più!» Sussurrò contro i miei capelli.

Mi scostai di poco e sollevai la testa beccandomi la sua faccia a nemmeno un palmo dalla mia. Posò entrambe le sue mani sul mio viso e pulì via le lacrime con una dolcezza che mi sciolse il cuore. Ecco, pensai, erano proprio quelli i gesti che mi confondevano ; forse a lui facevo pena, ed io quella compassione che mostrava nei miei riguardi la scambiavo per altro. Ciò stava a dire che ero diventata matta? No, almeno, non del tutto. Lui mi guardava ogni volta con occhi diversi. Mi penetrava con lo sguardo talmente a fondo che era impossibile scambiare quegli sguardi per altro.

Agrodolce- H.SDove le storie prendono vita. Scoprilo ora