1

8.7K 184 47
                                    


HARRY's POV


Stavo sorseggiando del caffè che parve disgustoso al mio palato reduce dalla sbornia di qualche ora prima che sfortunatamente non avevo affatto smaltito. Rimasi a pensare alla mia inutile vita con lo sguardo perso nel vuoto, quasi ammaliato da come le gocce di pioggia si infrangevano irrequiete contro la parete vetrata della cucina per poi scendere lungo essa così velocemente, rincorrendosi . Sembravano arrabbiate, un po' come me. Io ero sempre arrabbiato. Arrabbiato, instabile, pericoloso, il che era comprensibile considerando ciò che avevo passato. «Ah, stronzate!» Digrignai i denti allontanando dalle labbra la tazza di ceramica cercando di non pensare più a niente se non alle piastrelle di marmo sopra il lavabo. Assottigliai lo sguardo non essendomi mai reso conto che le avessi scelte di quel colore, il che la diceva lunga sul mio eccessivo menefreghismo.

Neppure quello bastò a distrarmi.

Appoggiai le punte dei piedi sul pavimento, feci un giro di centottanta gradi sullo sgabello e mi costrinsi a spostare lo sguardo sullo schermo della televisione giù in fondo alla sala dove il volume era completamente azzerato. Era accesa dal giorno prima, o forse quello prima ancora. I vari titoli di cronaca della stazione locale scorrevano lentamente giù in basso e nonostante puntai lì tutta la mia attenzione neppure quello riuscì a placare i miei pensieri rumorosi. Strofinai il palmo della mano sulla nuca esercitando a tratti una leggera pressione su essa quasi a voler attenuare un po' le mie pene, anche se inutilmente dato che il mio non era un mal di testa qualunque. Era quotidiano, incessante, tremendo, doloroso. Uno di quelli che mi costringeva ad assumere molti analgesici, troppi, per arrestarne le pene.

Optavo più per l'alcool.

Sorrisi.

Non avevo mai pensato ad una cosa più stupida.

Mi alzai in piedi e sbuffai annoiato dopo aver afferrato in mano il cellulare per controllare le varie mail finché aggrottai con stupore le sopracciglia notandone un paio sulle quali, oltre al pollice, soffermai la mia attenzione un po' più del dovuto. Da quando in qua mia madre mi mandava e-mail? Il mio numero di telefono ce l'aveva scritto da qualche parte, eppure non si degnava mai di comporlo per chiamarmi. Strinsi i denti percependo una fitta invisibile trapanarmi il cranio e spappolarmi il cervello, così le ignorai ed infilai in fretta l'aggeggio in tasca. Quella donna era l'unica familiare che mi era rimasta in vita, ma era veleno per me ed io ero più tranquillo quando mi stava alla larga. Mordicchiai il labbro nervosamente fissando un punto a vuoto e chiedendomi cosa diavolo l'avesse spinta a scrivermi dati i mesi di totale silenzio stampa, ma ciononostante, non ebbi il coraggio di sbirciare nuovamente. Il primo pensiero che balzò nella mia testa fu che potesse essere ammalata o le fosse successo qualcosa di grave e la cosa, per un attimo, mi attorcigliò lo stomaco. Certo! Perché uno che sta male non ti chiama, ma ti invia un messaggio in posta elettronica con la consapevolezza che il destinatario possa anche non accorgersene o cancellarlo per sbaglio. Sbuffai per l'ennesima volta pensando a quanto fosse strana quella donna e conoscendola un minimo, mi convinsi che doveva per forza di cose trattarsi di qualcosa di insignificante, tipo qualche stupido evento che organizzava per i suoi miseri e fottuti libri da quattro soldi, perciò, lasciai perdere.

Come al solito stavo tardando, quindi pensai bene di sistemarmi la camicia bianca adeguatamente sbottonata sul petto e di indossare le scarpe. Dopo essermi dato un'ultima occhiata allo specchio accanto alla porta d'uscita e ringraziando quell'angelo di Dolores che me le stirava evitandomi un totale look da senzatetto, abbassai la maniglia ed in un batter di ciglia mi ritrovai sotto il porticato . Era agosto e faceva ancora abbastanza caldo anche se ultimamente c'era la pioggia che rompeva i coglioni.

«Che giornata di merda!» Bofonchiai raggiungendo a grandi falcate la Mustang nera parcheggiata in giardino pensando che in realtà, pioggia a parte, non me la passavo poi tanto male ; vivevo nei pressi di Southampton in un lussuoso loft a un piano di quasi duecento metri quadrati, con tanto di giardino, piscina al coperto e ciliegina sulla torta, vista mare . Non mi ero guadagnato nulla, erano tutti soldi che mio padre mi aveva intestato poco prima di morire . Lui e mia madre Chloe divorziarono quando io ero ancora molto piccolo, ma nonostante la mia giovane età, decisi comunque di restare al suo fianco. Per me mio padre era un'eroe ; un uomo tutto d'un pezzo che aveva sempre servito in modo dignitoso alla sicurezza del suo stato fino al suo ultimo giorno di vita, quando lo fecero fuori piazzandogli una bomba sotto l'auto per vecchia ruggine rimasta ancora in sospeso. L'idea che mi ero sempre fatto di mia madre , invece, era che non amasse affatto mio padre e le importasse poco o nulla di me.

Agrodolce- H.SDove le storie prendono vita. Scoprilo ora