Capitolo 77
Giorni, sono passati esattamente sette giorni dall'ultima volta in cui ho visto Lele, è tornato a Roma, è tornato da Diego e la sua famiglia, lontano da me e da noi.
L'ho chiamato ogni giorno, ho sperato che volesse ascoltarmi almeno due secondi per spiegargli come erano andate le cose, ma ogni volta partiva sempre la segreteria con la sua voce che diceva di lasciare un messaggio, io ricomponevo il numero e lo ascoltavo ogni volta come se stesse parlando con me, era l'unico modo che avevo per sentire che era ancora lì, che non avevo buttato tutto nel cesso con quel bacio, quando in realtà era esattamente così e lui se ne era andato, di nuovo.
Non faccio altro che guardare le sue storie e quelle di Diego in ripetizione fino a studiarne ogni dettaglio, lui in macchina in giro, lui con sua madre, lui con Thomas e i suoi amici di Roma con cui dormiva insieme abbracciato, li ho imparati a conoscere tutti odiandoli uno ad uno per quanto loro potessero stagli accanto, ho salvato tutti i suoi tiktok, in piscina, con sua nipote, dove sorrideva anche per finta, volevo che lui fosse con me continuamente, li ho guardati mentre mangiavo, sul divano con la tv accesa e prima di dormire per addormentarmi con la sua voce che risuonava nella stanza.
Gian è tornato dopo un paio di giorni, non mi ha detto una parola, si è solo limitato al silenzio e ha evitato l'argomento ogni volta che parlavamo, nonostante questo lui ci ha provato a parlare, l'ho sentito una sera mentre tentava di spiegargli quanto io mi stessi distruggendo per il suo silenzio e la sua risposta è stato l'ennesimo colpo in faccia "non è un bambino, sapeva perfettamente che cosa stava facendo, non mi interessa se sta male, adesso tocca a lui soffrire" e io me lo merito, ogni suo silenzio, il suo sorrido con gli altri, le sue parole io me me merito, mi merito il suo male che mi si schianta addosso.
"Non è guardando i suoi video che tornerà".
Gian interrompe i miei pensieri sedendosi vicino a me
"Non so cos'altro fare".
La testa continua a ricordare i suoi occhi che si stavano lentamente spegnendo, i suoi passi accelerare mentre io correvo verso di lui e contro il tempo per vederlo poi sparire dentro la stazione in mezzo a mille persone senza più trovarlo.
"Perché non provi ad andare a Roma, fai qualcosa Tancredi"
L'idea di Gian mi era passata più volte nella testa, prendere il primo treno e corrergli dietro, ma sapevo che avesse bisogno di tempo e io volevo lasciarglielo, volevo che stesse con chi lo faceva sorridere e che stesse finalmente bene, io non avrei saputo farlo e sarebbe stato solo peggio.
"Non credo funzioni, adesso lui sta bene, non voglio fargli ancora del male"
Lo sguardo di Gian si sposta completamente su di me squadrandomi
"E credi che quando tornerà verrà qui e sarà tutto come prima solo perché adesso è felice? Vattelo a prendere Tancredi, smettila di nasconderti e fai qualcosa per lui"
Credo sia arrivato il momento di affrontarlo, ho bisogno di vederlo, bisogno di lui e delle sue manie, anche dei suoi silenzi.
Sicuramente non vorrà vedermi e mi continuerà ad urlare in faccia, ma stando qui non ho nessuna possibilità di farlo tornare.
"Parto con il primo treno".
Neanche il tempo di dirlo che già sto mettendo in una borsa i primi vestiti che mi capitano, non voglio perdere tempo, voglio arrivare il prima possibile a Roma.
Esco di casa, chiamo un taxi e mi faccio accompagnare in stazione, il primo treno disponibile parte tra mezz'ora.
Più passano i giorni e più sono convinto che lui sia come me, in due modi completamente diversi ma come me, sempre stati incasinati in una vita troppo stretta e noi troppi grandi e pieni di sogni per viverla, lui sempre troppo attento ai suoi difetti che lo hanno portato a distruggersi negli anni e io troppo preso dall'apparire la versione migliore di me per non far vedere che in realtà sono solo una tela confusionaria, un po' come pollock che nei suoi dipinti spargeva colori ovunque senza un preciso senso.
Lui è l'altro me, bizzarro come paragone visto che non ci somigliamo affatto, ma siamo così uguali che a volte è come vedere me in lui e forse é proprio per quello che lo respingo, troppa somiglianza che mi porta a chiedermi se non sia stato io a farlo diventare così.
La voce metallica annuncia il treno e l'ansia inizia a farsi spazio, saranno le tre ore più lunghe della mia vita.
Salgo e fortunatamente sono da solo, mi siedo vicino al finestrino e metto le cuffie, la musica é un buon calmante alle mie emozioni contrastanti.
Sento gli occhi farsi pesanti, troppe notti insonni passate a pensare a come si sentisse e se stesse meglio lontano da me.
Chiudo gli occhi e finalmente dopo giorni riesco a dormire.
Sento di nuovo la voce annunciare che siamo in arrivo e di nuovo sento quella sensazione di ansia pervadermi.
Scendo dal treno e mi avvio fuori dalla stazione intento a chiamare di nuovo un taxi che mi porti fino a casa sua.
Osservo fuori dal finestrino i colori di Roma che si perdono nel tramonto e non posso non ricordare quella sera in cui eravamo io e lui sul prato a Citylife.
Eravamo semplicemente seduti vicini, gli altri stavano parlando tra di loro e io e lui ci stavamo godendo io tramonto di Milano.
Il suo sguardo per un attimo si posò verso di me e mi sorrise, non mi disse niente ma io già sapevo che non era importante nessuna parola, mi aveva già detto tutto e io avevo fatto lo stesso con lui.
"Siamo arrivati".
La voce del tassista mi richiama dai miei pensieri, prendo il portafoglio per pagarlo e poi scendo per andare verso casa sua.
Mi fermo davanti alla porta, forse dovrei avvertirlo che sono qui, magari neanche è a casa o semplicemente non vuole ancora vedermi.
Ormai però sono qui e non voglio tirarmi indietro.
Suono il campanello e ad aprirmi è sua madre che mi sorride
"Ciao Tancredi che ci fai qua? Non eri a Milano?"
Gli accenno anche io un sorriso, forse Lele non gli ha raccontato nulla di quello che è successo
"Sono venuto qui perché dovrei parlare con Lele, è in casa?"
Lei mi guarda un po' confusa
"No è uscito, non te lo ha detto?"
Non so cosa risponderle, non vorrei dirle che sono qui perché devo farmi perdonare da Lele perché l'ho tradito, così accampo la prima scusa che mi viene in mente
"Non sapeva che sarei venuto, volevo fargli una sorpresa"
Il suo sorriso si addolcisce di nuovo e mi fa entrare per accomodarmi dentro.
"Vieni siediti, vuoi qualcosa?" Chiede
"No grazie, non preoccuparti".
Ci sediamo sul divano e mi sento terribilmente in imbarazzo come la prima volta che entrai qui
"È tutto apposto?" Chiede gentilmente
"Certo".
Odio mentirle soprattutto perché è la madre di Lele, ma adesso non vorrei parlarne.
Il suo sguardo si punta nel mio
"Non sarò la persona adatta per parlarne, ma credo che ci sia qualcosa che non va, te lo leggo negli occhi e credo riguardi Lele, non avresti fatto un viaggio solo per parlargli se non fosse importante e lui in questi giorni è strano, sta poco a casa e le poche volte che lo fa non parla mai. Io non so cosa sia successo, ma se vuoi posso darti una mano".
La sua voce tranquilla e pacata mi fa sentire ancora più in colpa e non solo per Lele ma anche per lei e la promessa che le avevo fatto di non fare mai del male a suo figlio
"Credo di aver rovinato tutto con lui"
La mia voce esce quasi in un sussurro e il suo sguardo rimane puntato nel mio per ascoltarmi
"L'ho tradito"
Subito mi volto da un'altra parte per non guardarla ma posso sentire comunque i suoi occhi addosso.
"Anche io ho tradito il mio ex marito una volta"
Mi volto indeciso verso di lei che ancora mi guarda.
"Eravamo ancora fidanzati, era un giorno d'estate e io ero in vacanza con delle amiche, eravamo a una festa in spiaggia e un ragazzo che avevamo conosciuto si era avvicinato a noi con dei suoi amici.
Non era bello, semplicemente io avevo bisogno di altro, stavamo già insieme da un anno e mezzo ed era il primo vero ragazzo con cui avevo una relazione stabile da così tanto tempo, però era diventato tutto monotono.
Ci baciammo all'improvviso, fui io a prendere l'iniziativa, volevo solo sentire qualcosa di diverso. Quando mi resi conto che avevo tradito il mio ragazzo mi sono sentita una persona orribile, stava andando tutto bene tra di noi e io avevo fatto una sciocchezza solo perché ero presa dal momento.
Iniziai a sentire i sensi di colpa attanagliarmi, dovevo parlagli e dirglielo prima che lo sapesse da qualcun altro, lo chiamai e gli raccontai tutto, lui ovviamente mi lasciò senza che io potessi dire altro.
Ho pianto per giorni, appena tornai a casa lo cercai subito, non voleva parlarmi ne vedermi, siamo stati separati per un mese e mezzo, io non riuscivo neanche a mangiare, mi sentivo in colpa e quando riuscivo a dormire vedevo solo i suoi occhi che mi guardavano delusi.
Un giorno ci incontrammo per caso, riuscii a parlarci e a dirgli il motivo per cui lo avevo fatto e dirgli che mi ero pentita di quel gesto, che in quel tempo che eravamo stati distanti io non avevo fatto altro che pensarlo.
Ci è voluto del tempo ma alla fine è riuscito a perdonarmi, penso che anche a Emanuele serva tempo, ma ti perdonerà, si vede che vi amate".
Una lacrima mi riga il viso, vorrei che andasse esattamente così e lui mi perdoni, ma mi ha perdonato troppe volte, non sono così sicuro che succeda ancora.
"È già passata una settimana, non so se vorrà perdonarmi"
Sento le braccia di sua madre avvolgermi e mi lascio andare in un pianto silenzioso.
"Io lo amo Antonella"
Lo amo davvero, vorrei solo poterglielo dimostrare anche se sbaglio continuamente, sapergli promettere che andrà tutto bene e che per me c'è solo e soltanto lui.
"Anche lui ti ama Tancredi".
La porta si apre e Lele entra, subito si blocca e i suoi occhi fissano me e la madre ancora abbracciati.
Mi stacco velocemente asciugandomi le lacrime e mi alzo per andargli incontro
"Tu che ci fai qui".
È freddo, il suo sguardo si alterna tra me e la madre in cerca di risposte.
"Ti prego non mandarmi via e lasciami spiegare".
Allungo una mano verso di lui e subito si allontana indietreggiando.
"Vattene Tancredi".
Il suo sguardo si incupisce cambiando completamente espressione, si volta dandomi le spalle e sale le scale lasciandomi lì a fissare ogni suo movimento.
"Va da lui, io adesso esco così potete parlare con calma".
Le sorrido e poi salgo lentamente le scale per raggiungerlo fermandomi davanti alla porta di camera sua chiusa.
"Lele ti prego fammi parlare".
Non mi risponde e sento solo un silenzio assordante.
"Lele cazzo fammi spiegare".
Sento i suoi passi avvicinarsi alla porta e finalmente la serratura scattare.
Continua a guardarmi con indifferenza e i suoi occhi sono scuri.
"Non voglio sentire niente, ho detto vattene".
Mentre cerca di chiudere la porta riesco a fermarlo ed entrare in stanza.
Subito si allontana avvicinandosi alla finestra dandomi le spalle.
"Lo vuoi capire che io non voglio ascoltarti?".
Ogni sua parola si infila come la lama di un coltello.
"Lo so che non vuoi ascoltarmi, ma io voglio spiegarti come sono andate le cose".
Continua a darmi la spalle e noto dal suo riflesso sulla finestra che sta piangendo.
"Quando te ne sei andato lei mi ha chiesto di vederci. All'inizio io non gli ho risposto, non volevo che succedesse nulla tra me e te, che pensassi che io stessi aspettando il momento in cui te ne andavi per stare con lei.
Ci ho pensato tanto se fosse stato il caso o meno e alla fine gli ho risposto, ho accettato di vederla, ma ho fatto venire anche Jacopo con noi in modo da non essere da soli visto che Gian andava da Marta.
Siamo andati verso casa e delle ragazze mi hanno fermato per delle foto, ho immaginato che potessi venire a scoprirlo, ti volevo chiamare in serata per dirti che lei era da noi, ma lo hai fatto prima te.
Quando mi hai chiesto di non farti del male io non ho risposto, non ho fatto in tempo perché avevi già attaccato, ma se non lo avessi fatto ti avrei detto che non potevo promettertelo perché io non riesco a promettere una cosa che so che non posso mantenere, sono egoista e stronzo, ma non ti riesco a mentire.
Poco dopo lei è entrata in stanza e abbiamo parlato di te, ho sentito la paura di perderti, ma ero preso dall'istinto e l'ho baciata, è stata colpa mia, avevo bisogno di averla per capire perché mi fosse entrata così nella testa, ma non eri te, nessuno sarà mai te, infatti se ne è andata subito dopo.
Sono rimasto lì, ore a pensare a come dirtelo, a come spiegarti che io in quel bacio cercavo te, mi mancavi te, volevo sentire se lei poteva darmi quello che mi davi te, ma alla fine non è stato così, nessuno potrà mai darmi quello che mi dai te e non c'era nessun'altra spiegazione, dovevo solo parlarne con lei e chiudere la cosa.
Le ho chiesto di vederci di nuovo, l'ho raggiunta in stazione e di nuovo ho sentito il bisogno di baciarla.
Sapevo che stavo sbagliando, sapevo che ti avrei fatto ancora male, ma quando una cosa la voglio io devo averla, lo sai, ed è successo questo, l'ho avuta, ma già nel momento in cui l'avevo ho capito che non era altro che un semplice sfogo, dimostrare a me stesso che potevo averla quando volevo e non c'era nessun sentimento.
È li che ti ho visto e mi è crollato tutto addosso, sapevo che te ne saresti andato, ma prima volevo spiegarti, dirti che io ho paura cazzo, ho paura di noi, ho paura di dire che io ti amo come non ho mai amato nessuno, che quando questa cosa tra di noi uscirà fuori non saremo più lo stesso noi, ma ci saranno altre persone.
Ho paura Lele, ne ho sempre avuta, non sono mai riuscito a dirtelo perché non volevo che pensassi che io mi vergognassi di noi, perché non è così, io ho sempre e solo voluto proteggere noi, ma ho sbagliato".
Gli ho detto tutto quello che provo, quello che non ero riuscito a dire finora, lui ancora è voltato verso la finestra e non parla.
Improvvisamente si volta verso di me e mi guarda con gli occhi colmi di lacrime.
Dove è il suo sorriso che riservava solo a me? Dove sono le sue guance arrossate ogni volta che gli dico che lo amo, dove è il mio Lele.
"Quel giorno senza te è stato strano e lungo, l'ho passato con Diego, cercavo di farlo distrarre il più possibile per non farlo pensare a Valerio e intanto mi mancavi, non saperti nella stessa stanza con me, non potermi voltare e sapere che stavi seduto da qualche parte con la tua luna storta, avvicinarmi e sentire le tue mani su di me.
Ho aperto Instagram per vedere che facessi e immediatamente sono spuntati dei video in cui ci stava lei.
Ho pensato subito che non dovessi preoccuparmi, che avresti avuto delle spiegazioni per la sua presenza lì e ti ho chiamato, volevo che mi rassicurassi, che mi dicessi che non era niente, ma il tuo sguardo lo conosco, l'ho vista la tua paura e ti ho solamente chiesto di non farmi male.
Quando ti ho attaccato mi sono lasciato andare e ho pianto, immaginavo che sarebbe successo qualcosa, dovevo tornare, dovevo guardarti negli occhi.
Ho preso il primo treno, avevo bisogno di sentirmi dire che io per te valevo qualcosa e che mi stavo sbagliando a preoccuparmi, ogni minuto che mi allontanavo da Roma ero sempre più in ansia, volevo solo tornare da te, ma quando sono sceso e ti ho visto ho capito che non c'era nient'altro che dovessi sentire, avevo le risposte che cercavo davanti ai miei occhi, ho sempre saputo che prima o poi sarebbe successo, il modo in cui mi parlavi di lei, in cui la difendevi quando succedeva qualcosa e lei era coinvolta, l'hai sempre messa prima di me, prima di noi.
So che hai paura, non sei l'unico ad averne, ma avere paura non vuol dire scappare e andare da altre persone, la paura la affronti, con me, insieme, ti avrei capito, non ti avrei mai forzato a dire o fare qualcosa che non volevi, ci saremo preparati insieme e lo avremo detto quando ci saremo sentiti pronti, ma hai preferito escludermi e fare tutto da solo, come sempre e adesso non c'è più un noi, adesso ci sei solo tu, vattene, torna da lei, fai quello che vuoi, ma vattene"
Il suo sguardo è di nuovo freddo e privo di emozioni, mi guarda ma è come se non fossi nessuno per lui. Si volta di nuovo, ma stavolta vado verso di lui e lo faccio voltare verso di me.
I suoi occhi evitano i miei, con una mano lo riporto con lo sguardo nel mio e lo sento tremare a quel tocco
"Io non me ne vado Lele, non senza di te"
Non riesco a smettere di stringerlo, i miei occhi passano dai suoi alle sue labbra, lo guardo un'ultima volta e poi senza pensarci faccio scontrare le sue labbra con le mie.
Lo cerco, disperatamente, mi aggrappo a lui per non farlo andare via di nuovo, lo trattengo e gli urlo di restare, che lo voglio fin dentro le ossa.
Porto l'altra mano sotto la sua maglia e accarezzo la sua schiena, lui porta le sue dietro al mio collo.
Ci stiamo assaporando di nuovo, come sempre ogni volta che ci ritroviamo dopo tanto tempo.
Porto anche l'altra mano sotto la sua maglia e lentamente glie la tolgo e lo stesso faccio con la mia rimanendo entrambi petti contro petto.
Torno a guardarlo, vedo quella scintilla nei suoi occhi che mi chiama come la mia. Devo averlo, devo sentirlo di nuovo.
"Fammi ricordare di te, un'ultima volta".