Capitolo 2 ☆ Erica

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L'unico aspetto decente del campeggio era poter rivedere quegli amici che durante l'anno scolastico finisci per dimenticare.
Poter rivedere Kai dopo mesi e mesi scanditi da pochi scambi di rapidi messaggi era l'unico motivo per cui avrei potuto superare anche quella, di estate.
Il problema era che Kai non si era ancora degnato di presentare la sua faccia.
Dovevamo incontrarci in mensa, prima del discorso di inizio estate che avremmo dovuto ascoltare e prendere in giro dall'alto della collina, dove mia madre non ci avrebbe visto, ma ormai si era fatto tardi e la panna del mio scherzo era andata rovinata sul pavimento.
Anche se ero riuscita a colpire qualcuno e a farmi due risate, non era stato soddisfacente tanto quanto sarebbe stato con Kai.
Quella ragazza... sembrava avere la nostra età, ma non mi sembrava di averla mai vista qui. Ed è strano: solitamente i nuovi sono sempre bambini più piccoli, difficilmente i nostri coetanei decidono di darsi al campeggio di punto in bianco. E il suo senso dell'orientamento era un ulteriore prova del fatto che non avesse mai messo piede fuori dalla sua villetta, perché di sicuro possedeva una villetta. Con quelle unghie appena fresche di manicure, i capelli slegati e mossi, appena usciti dalla parrucchiera e le sneakers della Adidas. Non volevo giudicare, ma... presto si sarebbe rovinata tutto il suo bel guardaroba.
Se ne era andata da qualche minuto, un po' di panna ancora incollata ai suoi capelli che la faceva sembrare più vicina a noi comuni mortali, la schiena dritta e il mento alto, quando Kai decise finalmente di farsi vivo.
Non sembrava cambiato per nulla rispetto all'anno prima, ma allo stesso tempo sembrava completamente diverso. Era leggermente più alto, i capelli sembravano essere stati appena tagliati ed erano pettinati all'indietro, invece che di lato.
Mi sorrise e io non potei fare a meno di ricambiare quel gesto.
«In ritardo già il primo giorno? Non si mette bene per la tua squadra, sono almeno venti punti in meno» lo presi in giro, avvicinandomi a lui.
«Menomale che noi due facciamo a gara per chi ha meno punti, allora» ridacchiò a sua volta, stringendomi in un piccolo abbraccio.
Anche se non ci vedevamo da più di duecentosessanta giorni, sembrava non essere passato nemmeno un secondo dall'ultima volta in cui ci eravamo abbracciati. Portava ancora quell'odioso profumo al cocco che tanto adorava e che pensava facesse impazzire le ragazze, ma che a me nauseava da morire. Aveva ancora legata al collo la corda che avevamo tagliato due anni fa, facendo disperdere tutte le canoe nel lago. Mia mamma aveva impiegato un pomeriggio intero per rinchiuderle nuovamente tutte al loro posto, e noi avevamo tagliato un pezzo a testa di quella prova incriminata, legandocelo io al polso e lui al collo. Mi chiesi se l'avesse indossata per tutto l'anno scolastico, o se l'avesse tolta per andare a scuola.
«Forse ci siamo persi il ripasso delle regole, ma siamo ancora in tempo per lo smistamento delle squadre e se non ci presentiamo a quello mia madre potrebbe davvero svenire, andiamo?» chiesi, incamminandomi verso il portone.
Lui mi raggiunse, annuendo. «Spero di avere più bimbi, quest'anno. L'anno scorso mi sono preso praticamente solo ragazzini delle medie e loro non sono molto bravi ad infrangere le regole.»
«Scherzi? I più piccoli sono i peggiori. Troppo spirito di competitività nelle sfide. Penso di averne perse solamente un paio l'anno scorso. E poi nessuno li vuole mai punire. Tutti i punti che riuscivo a farmi detrarre per avergli fatto infrangere qualche regola li riprendevo il giorno seguente» borbottai io.
Era una nostra sfida, quella di essere la squadra con meno punti assegnati alla fine dell'estate. Tutti gli altri istruttori del campo cercavano di far vincere le proprie cabine, con l'ambizione di arrivare al primo posto, noi facevamo l'esatto opposto.
Spesso ricevevamo lamentele dai bambini che ci venivano assegnati, perché ormai sapevano che con noi era impossibile puntare ai dolcetti che la squadra vincente avrebbe mangiato, ma vedere la faccia piena di disapprovazione di mia madre ogni volta che la mia cabina arrivava fra le ultime era una vera soddisfazione. Non avrei mai potuto chiedere di meglio.
«Sai cosa ti dico? Penso di aver qualcuno in mente che vorrei troppo avere nella mia squadra.»
«Chi?» chiese lui.
«Una ragazzina che ho incontrato questa mattina. Sembra proprio il tipo che va a spifferare tutto agli insegnanti. Sono sicura che riuscirò a perdere un bel po' di punti con lei attorno» gli sorrisi, gustandomi già la mia vittoria. Sarebbe stato veramente il massimo avere quella tipa nella mia cabina. Se fossi stata un altro tipo di figlia, probabilmente avrei potuto far finta che fosse mia amica e chiedere a mia mamma di metterla nella mia stessa squadra. Se fossi stata un altro tipo di figlia, mi avrebbe sicuramente detto di sì, ma non lo ero, quindi dovevo affidarmi alla sorte.
«Sei sicura che la vuoi nella tua squadra solo per questo?» ammiccò, facendomi un occhiolino e scontrandomi con la spalla.
Alzai gli occhi al cielo, esasperata. Ogni volta che arrivava una nuova ragazza o un nuovo ragazzo della nostra età al campeggio cercava sempre di farmi ammettere che mi piacesse. Ma non era così che funzionava. Solamente perché ero bisessuale non voleva dire che mi sarei aggrappata a qualsiasi persona mi si fosse presentata davanti.
«No, in realtà vorrei proprio scoparmela» replicai ironica. «Seriamente, non sembra proprio il mio tipo.»
«Beh, allora spero di vederla presto, così capiremo se è il mio tipo.»
Avrei potuto scommetterci che lo fosse, ma per qualche motivo non dissi nulla.
Ormai eravamo arrivati al piccolo anfiteatro in cui ogni mattina dichiaravamo l'inizio delle sfide giornaliere, in cui ogni sera facevamo un falò attribuendo i punti per le diverse prove giornaliere e che in quel momento era usato da mia madre per farsi ascoltare da tutti.
Purtroppo il discorso iniziale era già finito e lei stava facendo segno a tutti gli animatori, nonché capo-squadra, di avvicinarsi al piccolo palchetto centrale. Io e Kai ci unimmo svogliatamente a loro, in una piccola riga di sei persone.
«Loro sono i nostri sei supervisori, molti di voi li conosceranno già. Ognuno dei campeggiatori sarà smistato in una cabina diversa, capeggiata da uno di loro. Alla fine dell'estate, chiunque abbia totalizzato più punti avrà diritto ad un bellissimo premio» stava spiegando mia madre, ma io ero troppo intenta a scrutare la folla di bambini e ragazzi seduti sulle scalinate per ascoltarla sul serio.
Era un po' strano vederli tutti con i loro abiti normali, prima che le magliette del campo fossero state distribuite e indossate. In mezzo a loro c'era anche qualche genitore, probabilmente era la prima volta che i loro figli partecipavano e volevano assicurarsi che tutto filasse liscio.
In mezzo alle teste riuscii a scorgere anche la ragazza di poco prima. Mi stava guardando, gli occhi mezzi sgranati. Forse era sorpresa che fossi uno dei capo-squadra, non potevo certo fargliene un torto.
Le feci un occhiolino e lei distolse subito lo sguardo.
Scossi la testa, divertita, tornando ad ascoltare mia madre.
«Ora elencherò la divisione in squadre di quest'anno» stava annunciando. Aveva una cartelletta in mano con sopra scritta tutta una lunga lista di nomi.
Sarah, a capo della cabina uno, o anche detta squadra delle "Marmotte Rosse", si era presa una decina di ragazzini e solamente un paio di femmine. Era così tutti gli anni, solamente per una questione logistica: la loro cabina era una delle più vecchie e una stanza era molto più piccola dell'altra. A lei non sembrava importare molto, aveva sui vent'anni e riusciva a rendere felici tutti i bambini. Era un po' la mamma del campeggio a cui tutti accorrevano quando si facevano male ad un ginocchio.
Danilo, cabina due o "Serpenti Azzurri", era un ragazzone molto competitivo e per questo gli venivano spesso assegnati i nuovi arrivati, così che riuscisse a farli entrare nello spirito del campeggio. Lui e Sarah si contendevano il primo posto, ogni anno, e i campeggiatori facevano quasi a gara per finire con loro.
Man mano che i bambini e ragazzi venivano chiamati, si allontanavano con i propri animatori per iniziare a sistemarsi nei nuovi alloggi.
La principessina era ancora seduta al suo posto. Le probabilità di averla in squadra si stavano alzando sempre di più e così faceva anche il mio umore.
Emma, cabina tre o "Grilli Arancioni", mia sorella, era la più grande degli animatori con i suoi venticinque venerandi anni d'età, cercava spesso di usarla come scusa per non partecipare attivamente alle sfide, ma per qualche motivo mia madre la riteneva una figlia migliore di me.
Camilla, cabina quattro o "Rane Gialle", si prese una buona parte dei ragazzini delle medie, lasciando a me e a Kai i bambini delle elementari e alcuni dei più grandi, compresa quella ragazza.
Rivolsi uno sguardo a Kai. «È ancora qui. La ragazza» mimai con le labbra.
Lui alzò un sopracciglio e si mise ad osservare gli ultimi campeggiatori rimasti. Quando i suoi occhi si fermarono su di lei, alzò ancora di più il sopracciglio. Sapevo che era il suo tipo, non poteva nasconderlo.
Conoscevamo la maggior parte di loro, dagli anni passati, e già sapevamo che la nostra sfida non si sarebbe rivelata così facile: era un mix perfetto di bambini ambiziosi, con il solo scopo di vincere nella vita, e di ragazzini che odiavano deludere mia madre e avrebbero fatto di tutto pur di farci desistere dall'infrangere le regole. Se avevo ragione su quella ragazza, lei sarebbe stata la nostra unica speranza di vincere.
Quando mia madre finì di elencare i nomi per la cabina cinque, o "Scoiattoli Verdi", e non la vidi alzarsi per seguire Kai, quasi esultai dalla gioia.
Le sorrisi, mettendo in bella mostra tutti i miei denti, ma lei non sembrava per nulla entusiasta.

Summer Nights ☆ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora