Il piccolo cartello, sopra la cabina, scandiva in grossolane lettere intagliate nel legno le parole "Libellule Viola".
«La porta a destra è la camerata dei maschi, quella a sinistra per chiunque non si identifichi col genere maschile» spiegò la ragazza della panna, indicando le due porte che si affacciavano sul porticato rialzato.
«Grazie a Dio, non ce l'avrei fatta un'altra estate con i maschi» disse qualcuno alle mie spalle.
La mia espressione doveva essere strana perché la ragazza mi si avvicinò, bisbigliandomi all'orecchio: «È non-binary, non un extraterrestre. Non fare quella faccia.»
«Non sto facendo nessuna faccia, stavo solo ascoltando» ringhiai contro di lei.
Per tutta risposta scosse la testa e tornò a rivolgersi al gruppo. «Bene, ora è arrivato il momento di litigare per i letti di sopra e disfare tutte le vostre valigie. Avete un'ora per sistemarvi, poi ci incontreremo qui fuori per il ripasso delle regole e i giochi di affiatamento.»
Ancora non potevo concepire come proprio lei fosse una dei capi-squadra del campeggio, ma sopratutto come proprio io fossi stata assegnata al suo gruppo.
So che non dovresti giudicare un libro dalla sua copertina, ma tutto in lei - dai capelli appena tinti, al piercing all'ombelico che usciva dal suo top aderente, alla spessa riga di eye-liner intorno ai suoi occhi felini - urlava pericolo.
Trascinai la mia valigia nella stanza che ci era stata assegnata, insieme alle altre quattro persone con cui avrei condiviso quello spazio per i prossimi tre mesi, a chiudere la fila la ragazza-panna.
Era una semplice camerata rettangolare, pavimento e pareti di legno, un grosso tappeto verde al centro, un paio di armadi e cassettoni, tre letti a castello e un letto singolo attaccati alle pareti. Quest'ultimo fu il primo ad essere occupato, ovviamente.
Le due bambine più piccole, probabilmente sui dieci anni, si scagliarono su quello più lontano dalla porta, vicino all'unica finestra, occupandolo senza alcun indugio.
La terza ragazza, che doveva aver appena finito le medie, si diresse nella direzione opposta, sistemandosi sul materasso inferiore.
Non mi sarei arrampicata sulle scalette tremolanti di quegli affari manco morta, quindi mi avvicinai all'ultimo letto a castello rimasto, senza fare i conti con chi lo avrei condiviso.
Il materasso di sopra era già ricoperto da un lenzuolo e qualche cuscino in più, ma non ci feci molto caso finché la ragazza dai capelli rossi non mi si avvicinò.
«Sembra che avrai l'onore di dormire sotto la sottoscritta» disse lei, allargando le labbra in un grande sorriso. «Spero che tu non abbia il sonno leggero, tendo a russare molto.»
«È vero, possiamo confermare!» urlarono le due bambine, alla nostra sinistra.
«Immagino che sia una buona cosa che io abbia bisogno di questo per sentire, allora» replicai sorridendo alle bimbe e indicando con un dito il mio apparecchio acustico. Senza non ero in grado di sentire molto, solo vibrazioni e i rumori più forti.
Loro sembrarono perplesse, un po' tristi, avrei voluto dirgli che stavo scherzando, non dovevano preoccuparsi, ma la ragazza-panna si allungò verso il mio orecchio, osservando l'apparecchio. «Siamo un'accoppiata perfetta, allora! Posso dormire senza preoccuparmi» esclamò lei, rivolgendomi uno sguardo divertito.
Io alzai gli occhi al cielo e inizia a disfare i miei bagagli.
«Conosci la lingua dei segni?» chiese la ragazza. Lei non aveva nulla da fare, sembrava che avesse già preso posto nella cabina da qualche tempo, così girottava fra di noi, senza aver uno scopo preciso.
«Sì, ma la mia sordità è solo parziale quindi non ho quasi mai bisogno di usarla.»
Lei annuì, guardandomi dall'alto al basso.
«Cosa c'è?»
«Nulla, ti sto solo osservando.»
«Non ti preoccupare, è sempre un po' strana» si intromise la ragazza che pensavo aver appena finito le medie mentre ci passava affianco per sistemare una pila di vestiti in uno dei cassetti. «Inizierai a non farci caso.»
Sembrava che in quella stanza si conoscessero tutti e che io fossi l'unica nuova campeggiatrice, il che mi mise un po' a disagio.
«Sai, Sofia, non dovresti parlare così del tuo capitano. Dovresti portarmi un po' di rispetto» iniziò a battibeccare lei.
«Sai, Erica, forse inizierò a farlo quando prenderai sul serio il tuo ruolo» disse di rimando la ragazzina, Sofia, facendole la linguaccia.
Quindi il suo nome era Erica. Penso che anche la donna, quella che aveva diviso le squadre, lo avesse detto, ma ero troppo impegnata a fumare dalla rabbia per fare caso al suo nome.
Continuammo a disfare le valigie, chiacchierando del più o del meno. Scoprii che le due bambine andavano a scuola insieme ed avevano appena finito la quinta elementare, i loro nomi erano Clara e Denise. Sofia sembrava più grande di quanto fosse, infatti avrebbe iniziato la terza media a settembre. Jamila e Alex, invece, avevano entrambi sedici anni, rendendomi la più vecchia di quel gruppo, perfino di Erica che ne avrebbe compiuti diciotto in autunno. Anch'io li dovevo ancora compiere, ma ero nata ad inizio Settembre. Questo mi fece sentire ancora di più a disagio.
Dopo che avemmo finito di sistemarci ci fu intimato da Erica di cambiarci con dei pantaloni comodi - quando lo disse stava guardando la mia gonna e le mie gambe, ne ero abbastanza sicura - insieme alle magliette viola della cabina che aveva distribuito. Fui abbastanza riluttante ad infilarmela: la grafica della libellula con scritto "cabina sei" con un font discutibile non rientrava certamente nel mio stile.
Poi arrivò il momento di raggiungere i ragazzi. Anche loro si erano cambiati e tutti insieme sembravamo meno imbarazzanti. Sembravamo più uniti.
Davanti alla cabina si apriva un piccolo spazio con quattro tronchi sdraiati sul terreno e messi a quadrato, Erica ci disse di sederci e lei saltò sopra una scatola al centro per guardarci tutti dall'alto.
«Quest'anno siete stati prescelti per essere nella squadra delle Libellule Viola» iniziò a dire con tono gravoso. «Sapete quanto io tenga alle regole del campo e quanto io voglia che vengano rispettate.»
Sofia e Alex si scambiarono uno sguardo ironico, alzando le sopracciglia e ridacchiando.
«Ma sono sicura che il grande capo vi abbia già spiegato tutto nel dettaglio, quindi non mi ci starò a soffermare troppo» continuò, facendo finta di non notarli.
Le regole del campo erano poche, come il coprifuoco dopo il falò per i più piccoli, mezzanotte per i più grandi, oppure dover rifare il proprio letto ogni mattina. La cosa più complicata per me era stata il ritiro del telefono ancora prima di essere smistati nelle cabine. Per il resto non sembravano nulla di trascendentale, ma nell'aria aleggiava qualcosa di strano.
«Quindi direi di oltrepassare allegramente questo passaggio e iniziare subito con il gioco della palla. Ce la passeremo a turno dicendo il nostro nome e una cosa speciale su di noi» concluse, tirando fuori dalla scatola da cui ora era scesa una palla gialla e nera molto vecchia.
«Odio questo gioco» mormorò Alex di fianco a me. In effetti, faceva molto primo giorno di scuola, ma in qualche modo avremo dovuto iniziare a conoscerci, immaginavo.
«Inizierò io, anche se non c'è un modo sbagliato di fare questo gioco quindi non servono grandi esempi. Il mio nome è Erica, mia madre gestisce questo posto e mi obbliga a fare da animatrice» disse lanciandomi la palla.
Quello spiegò molte cose, il fatto che fosse obbligata da sua madre risolveva molti dei miei dubbi sul perché fosse finita a fare da capo-squadra.
I suoi occhi grigi mi fissavano mentre prendevo la palla fra le mani. Erano ardenti, come a dire "vediamo cosa sai fare, ragazzina". Onestamente, non avevo idea di cosa si aspettasse. E ancora più onestamente, non avevo idea del perché volessi dire qualcosa che l'avrebbe lasciata stupita, solamente per vedere che faccia avrebbe fatto.
«Bianca, il mio senso dell'orientamento fa davvero pena, a quanto pare» dissi invece. La verità era che non aveva nulla di interessante da dire, non avevo nulla di così speciale da condividere.
Passai la palla ad Alex, senza nemmeno guardare Erica in faccia.
Alla fine del giro avevo appreso che due dei ragazzi si chiamavano Edoardo ed Emanuele ed erano fratelli gemelli, gli altri due invece erano ragazzi nuovi, come me, e i loro nomi erano Marco e Zaccaria.
«Molto bene, ragazzi. Vi chiedo ora di dirigervi al Grande Salone, stanno per servire la cena e non vorrei che la perdiate. Poi potete seguire Alex verso il falò, conosce la strada» disse Erica, una volta messa via la palla.
Tutti si alzarono, dirigendosi verso l'edificio in cui ero entrata per sbaglio quella mattina, sulla cima della collina.
«Tu non vieni?» le chiesi.
«Oh no, ho un appuntamento galante che non posso evitare. Dovrai aspettare stanotte per rivedermi, so che senza di me sarà una serata lunga ed insopportabile, ma non puoi starmi attaccata solo perché ti sei presa una cotta per me» sghignazzò dirigendosi verso la cabina e facendomi un cenno di saluto con la mano destra.
Per fortuna era girata quando le mie guance iniziarono a diventare rosse.
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Summer Nights ☆ {GIRLxGIRL}
RomanceOra disponibile su Amazon: https://amzn.eu/d/c1vqEYS Bianca sta cercando l'amore della sua vita. Erica vuole solamente far arrabbiare sua madre. Un campeggio estivo le porterà ad avvicinarsi l'una all'altra per poi non volersi più allontanare. ⚠️ATT...