Settembre ☆ Bianca

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Era già suonata l'ultima campanella, ma ancora non ero riuscita a parlare con le mie amiche di Erica. O di nulla di quello che mi era successo quell'estate.
Loro non erano nemmeno state molto d'aiuto. Non si erano praticamente più interessate al tema campeggio, lasciandolo nel dimenticatoio. E io non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi all'argomento senza entrare in un puro stato di panico. Ero senza speranze.
Tutti i miei compagni si stavano riversando fuori dall'aula, unendosi alla marea di corpi che si spingevano per scendere le scale il prima possibile e così potersene tornare a casa. Io rimasi immobile dietro al mio banco, lo zaino in spalla e il telefono in mano, insicura sul da farsi.
Claudia si fermò sulla soglia della porta di legno dipinto di bianco, ormai vecchia e scrostata, guardandomi con fare incuriosito, la testa leggermente inclinata di lato.
«Perché te ne stai impalata lì? L'autobus non aspetta nessuno, di sicuro non noi» commentò poi, prima di rigirarsi verso l'uscita, sicura che da lì a poco l'avrei seguita.
Strinsi le dita intorno alla spallina dello zaino e presi un grosso respiro. Prima o poi avrei parlato con tutte loro, gli avrei raccontato di Erica e di quanto l'amassi, ma non era ancora arrivato quel momento. E andava bene. L'unica cosa che importava in quell'istante era riuscire a ricacciare indietro le lacrime che si stavano formando nei miei occhi, annebbiando la mia visione, e riuscire a prendere l'autobus per arrivare a casa di Aurora.
Raggiunsi le altre facendo una piccola corsa, mantenendo lo sguardo basso in caso una di loro si accorgesse della patina lucida che si stava creando nei miei occhi. Non volevo che mi facessero domande a cui probabilmente non avrei nemmeno saputo rispondere.
«-proprio quello che pensavo anch'io. Hai totalmente ragione tu.» stava dicendo Aurora, scuotendo la testa. Non avevo idea di che cosa stessero parlando, ma in quel momento il mio cervello era troppo concentrato su Erica per fare davvero attenzione alla loro conversazione.
Mi ritrovai a sperare che lei si trovasse al mio fianco. Era tutto molto più facile quando potevamo vederci ogni giorno, senza doverci mettere d'accordo su un'orario preciso per poterci chiamare, senza sapere cosa stesse succedendo all'altra in quel momento, senza dover portare tutto questo peso sulle mie spalle, da sola. Se Erica fosse stata qui, non avrei avuto nessuno problema a dire a tutte quanto lei mi piacesse. Avrebbero potuto capirlo da sole, vedere che ragazza straordinaria fosse e quanto io fossi fortunata ad averla nella mia vita. Invece si trovava dall'altra parte della regione, troppo lontana per farmi sentire al sicuro. Lo odiavo.
Lasciai che le altre venissero trascinate più avanti dalla marea di ragazzi che sembravano impazziti alla sola idea di uscirsene da quel posto e potersene andare via. Se mi fossi sporta avrei visto ancora le loro teste in mezzo a quelle di altri sconosciuti, ma cercai di mantenere una certa distanza mentre tiravo fuori il telefono dalla tasca dei jeans in cui l'avevo riposto, all'estrema ricerca di qualcuno.
Non lo avevo preso in mano per tutta la mattinata, un po' perché non mi è mai piaciuto chi usa il cellulare a scuola, invece di ascoltare la lezione, un po' perché le mie amiche, in ogni momento di pausa, non volevano far altro che raccontarmi della loro estate e della loro nuova amica, non potevo certo fare l'indifferente alla loro conversazione, nascondendomi dietro lo schermo del cellulare.
Quando lo accessi notai subito le venticinque notifiche da parte di Erica. Il cuore mi si fiondò in fondo allo stomaco, come un masso lanciato nel bel mezzo dell'oceano. Che le fosse successo qualcosa? Perché mai c'era bisogno di mandare così tanti messaggi nel giro di poche ore? L'unica spiegazione ragionevole era per un'emergenza.
La mie mente iniziò a riempirsi degli scenari più inimmaginabili, di un auto che la colpiva in pieno mentre attraversava le strisce pedonali davanti a scuola, di un terremoto che colpiva solamente la sua città e le faceva crollare il soffitto addosso. Avevo il petto che faceva male dalla paura, ma tutto si dissipò non appena aprii la chat e vidi quello che in realtà contenevano i messaggi.
Non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo e mettermi a sorridere a tutte quelle parole.

Erica 7:57
Non ti devi preoccupare, se non te la senti non sei obbligata da nessuno a farlo.

Erica 7:57
Insomma, mi piacerebbe conoscere le tue amiche, ma ci sarà un sacco di tempo per quello.

Erica 7:58
Se te la senti, ok, ma non sentirti obbligata.

Erica 7:58
Non è qualcosa che devi fare per me, ma solamente qualcosa che devi fare per te.

Erica 7:58
Va bene?

Era già dalle sei del mattino che aveva iniziato a riempirmi di frasi dolci ed incoraggianti, all'inizio avevo trovato un po' irritante la marea di messaggi che mi stava inviando, ma in realtà forse lei sapeva meglio di me quello di cui avevo veramente bisogno.
Scorrendo tutta la chat un magone mi si iniziò a formare in gola, pesante e costante, che non mi abbandonò fino al giorno dopo.
Mi chiedevo come facesse Erica ad essere così perfetta, ad avermi capito così bene in poche settimane, ad aver conosciuto la vera me, di cui a malapena io era a conoscenza e le persone a me più care non ne dubitavano nemmeno l'esistenza.
Mi sentivo strana, come se stessi vivendo in due mondi diversi, due dimensioni parallele, l'unica cosa ad unirle me stessa. Ma anche io non ero una cosa unica: avevo mille sfaccettature, ad alcune persone ne mostrano solamente poche, ad altre le mostravo tutte, nessuna esclusa.
Avrei voluto trovare un modo per mostrare la vera a me a chiunque mi passasse di fianco, e sapevo quale era il primo passo da compiere, ma certe volte è più facile pensare che agire.

Summer Nights ☆ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora