Capitolo 32 ☆ Erica

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Guardare in faccia Bianca diventava una sfida sempre più difficile ogni giorno che passava.
Se prima non riusciva a reggere il mio sguardo senza sembrare triste, poi iniziò a fissarmi con aria di sfida, quasi incenerendomi ad ogni mia mossa.
I suoi sentimenti nei miei confronti sembravano cambiare di ora in ora e non potevo mai sapere con precisione se mi avrebbe urlato dietro, se avrebbe iniziato a piangere o se avrebbe fatto finta di nulla. Stare intorno a lei era come giocare con il fuoco. E l'ultima cosa che volevo fare era bruciarmi.
Così continuai ad evitarla ancora più di prima.
Dopo la pausa pranzo, quando i campeggiatori avevano delle ore libere da utilizzare come meglio credevano, finivo sempre per prendermi a carico qualche lavoretto del campeggio: mettevo a posto l'attrezzatura, preparavo le sfide del pomeriggio, davo un aiuto extra in cucina. Qualsiasi cosa pur di sparire per qualche ora.
La sera e la mattina, tuttavia, dovevo passarle dentro la cabina, senza alcuna eccezione. Emma, una sera, mi aveva trovata mentre cercavo di sgattaiolare nella mia camera da letto, sopra la mensa, e aveva avvertito la mamma. Quest'ultima si era arrabbiata da morire e non si era fatta problemi a ricordarmi quale fosse il mio posto in quell'attività e quale fosse il mio lavoro da svolgere.
Un lunedì mi era stato chiesto di rimettere mano allo sgabuzzino dove tenevamo gli oggetti dell'estate precedente, il quale sembrava essere ancora in condizioni disastrose, nonostante ci andasse sempre qualcuno a mettere in ordine. Era come se, nella notte, gli oggetti si animassero, prendendo vita propria, e si divertissero a ingarbugliarsi fra di loro.
Quel giorno avrei dovuto tirare fuori tutta l'attrezzatura che ci sarebbe potuta servire nel bosco, quando nel weekend l'intero campeggio avrebbe passato una sera sotto il cielo stellato, alla ricerca di qualche stella cadente. Lo facevamo ogni volta che una pioggia di stelle veniva annunciata dai meteorologi, ma spesso nessuno riusciva veramente ad avvistarne qualcuna.
Da sola avrei probabilmente impiegato un'intera settimana a setacciare quello sgabuzzino alla ricerca di lanterne e borse frigorifero. Non avevo nemmeno la minima idea di in quale scatolone si sarebbero potute trovare. La tattica migliore sarebbe probabilmente stata iniziare con molta calma ad aprire ogni scatola mi si parasse davanti.
Ero con la testa infilata dentro ad un contenitore di plastica blu, quando sentii la porta dello sgabuzzino scricchiolare, annunciando l'entrata di qualcuno. Sperai altamente che fosse Kai venuto a darmi una mano in quell'impresa titanica.
«Stai davvero facendo sul serio?» la voce di Alex arrivò dalle mie spalle, cogliendomi di sorpresa. Fra tutte le persone del campo, era l'ultima che mi aspettavo mi venisse a cercare.
«Sì?» tentai io, tornando a guardare la pila di oggetti da spostare che mi aspettava. «Sono determinata a trovare tutto prima di dopodomani. Più seria di così non posso essere.»
Sentii Alex sbuffare e avvicinarsi, scansando gli ostacoli che ci separavano facendo un gran rumore. «Sto parlando di Bianca, non di qualsiasi cosa tu stia combinando qui dentro.»
Prese fuori una corda dalla scatola blu, mia ultima vittima, con fare scettico. Gliela tolsi dalle mani, scocciata, e rimisi il coperchio al contenitore: non era decisamente quello che stavo cercando. Per l'anno successivo avrei dovuto proporre a mia madre di preparare delle etichette da mettere ovunque, così da catalogare tutto al meglio.
«E cosa staresti cercando di dirmi, scusa?»
Non mi piaceva affatto la piega che tutta quella storia stava prendendo. Quando Bianca mi aveva detto di sapere di Luca avrei dovuto immaginare che dietro ci fosse stato lo zampino di Alex. Solo Alex o Kai potevano avergliene parlato. E sapevo benissimo che quest'ultimo non lo avrebbe fatto per nulla al mondo, nemmeno sotto tortura.
«Il modo in cui ti comporti con Bianca mi addolora molto, lo sai che la stai facendo soffrire tantissimo, vero?»
Non avevo certamente bisogno di Alex per capirlo. Potevo benissimo vederlo da sola. Sapevo che Bianca era distrutta a causa mia, ma ormai era troppo tardi per tornare sui miei passi.
Strinsi le spalle. «Che cosa vuoi che ti dica? Che mi dispiace? Che mi sento una merda? Che non me ne pento affatto?»
«Voglio solo che due mie amiche tornino a parlarsi e che, ogni volta che una delle due entra in una stanza, l'altra non sembri morire dentro. Anche tu non sembri stare bene, Erica.» La sua voce era quasi un sussurro, ma non per questo fu meno decisa.
Portai le mani dentro le tasche dei pantaloni, spostando lo sguardo fuori dalla piccola finestrelle alle sue spalle, la quale dava su una fitta schiera d'alberi. Il vetro era sporco, quasi da sembrare annebbiato, un po' come la mia mente.
Anche se Alex non aveva alcun diritto di raccontare in giro di Luca e impicciarsi nella relazione fra me e Bianca, non avevo alcuna intenzione di litigare.
«Sto solo cercando di scappare dai miei problemi, non pensavo che Bianca avrebbe reagito in questo modo. Io non pensavo nemmeno che lei avrebbe avuto il coraggio di baciarmi, per Dio.»
Alex rimase in silenzio, aspettando che io continuassi a parlare.
«Non pensavo che provasse qualcosa per me» mi obbligai a dire. Era la verità, ma dirla ad alta voce mi faceva sentire una persona orribile.
«Ma lei ti ha baciata quella sera. Perché avrebbe dovuto farlo se non provava nulla per te?» domandò incalzante Alex.
Riportai i miei occhi nei suoi, senza mai allontanare lo sguardo. «Non ne ho la ben che minima idea. Ma sono sicura che se non la avessi istigata io, lei non avrebbe mai fatto la prima mossa. Se solo Bianca non-»
«Non dare la colpa a lei, adesso. Lei non ha fatto nulla di sbagliato, a differenza di qualcun altro» mi bloccò, prima ancora che potessi finire la frase.
«Dare la colpa a Bianca è l'ultima cosa che mi passa per la testa, ci puoi contare. So di essere io quella nel torto, ma nella mia situazione anche lei si sarebbe comportata nello stesso identico modo.»
Alex si portò le braccia al petto. «Lei conosce la tua situazione abbastanza bene, sa di Luca. Eppure non sembra concordare con la tua reazione.»
«Lei non sa niente. E, fra parentesi, raccontarle di Luca è stato davvero un colpo basso da parte tua. Ora, se mi vuoi permettere, ho del lavoro da fare.»
«Se non sa nulla allora perché non le parli? Magari potrete trovare un'altra soluzione che non sia questa guerra silenziosa» disse, prima di fare come gli avevo chiesto.
Dopo che la porta di legno fu chiusa alle sue spalle, picchiai con forza la testa contro la parete.

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