Capitolo 13 ☆ Bianca

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Il momento che aspettavo con tanta paura era appena arrivato.
Era da poco finita l'ora di pranzo, la cabina che si occupava di ripulire la mensa stava già facendo il giro dei tavoli per raccogliere piatti e posate sporchi, mentre il resto di noi aveva due ore libere prima dell'inizio delle attività pomeridiane.
Negli ultimi giorni, in quei periodi di vuoto, avevo giocato a scacchi con Sofia, avevo fatto una partita a jenga con Alex e Jamila, avevo addirittura partecipato - con risultati scadenti - in una partita di calcio con tutti gli altri.
Erica spariva sempre, non so dove, a non so fare cosa, ma quel giorno mi si era avvicinata subito dopo aver sceso i pochi scalini fuori dell'edificio della mensa. Avrei dovuto capire che ci fosse qualcosa di sbagliato già da quel suo comportamento insolito.
Mi si parò davanti, come comparsa dal nulla, tenendosi a braccetto con Kai, il quale sembrava trovarsi sull'orlo di un precipizio, qualcuno dietro di lui pronto a spingerlo giù. La sua pelle era diventata verdognola, di quel colore viene spesso associato ad un vomito imminente. Speravo solamente che non colpisse me.
«Oh, eccoti qua Bianca! Stavamo proprio cercando te!» proruppe lei, il tono di voce più falso che io avessi mai sentito in tutta la mia vita. «A Kai hanno assegnato di ripulire uno dei ripostigli entro l'inizio del pomeriggio, ma è molto disordinato e non può farcela da solo. Avrei voluto aiutarlo io, ma purtroppo mia madre mi ha chiesto di fare un'altra commissione. Perché non gli dai una mano tu?»
Presi un respiro prima di risponderle, cercando di raccogliere tutta la calma e la gentilezza che rimaneva nel mio corpo. Erica non si meritava alcuna gentilezza da parte mia, ma una promessa è una promessa.
«Un ripostiglio?» chiesi.
Erica si strinse nelle spalle. «Sai, quei posti dove metti tutte le cose che non ti serviranno per molti mesi, mentre aspetti che torni l'estate. Ci saranno un sacco di cianfrusaglie e da solo, come ho già detto, non ce la può fare.»
Avrei voluto alzare gli occhi al cielo e sparire da lì il più velocemente possibile, ma tutti hanno diritto ad una possibilità. Dovevo imparare a lasciare aperte le porte all'amore, altrimenti lui non sarebbe mai entrato.
«E che cosa dovrei far-»
«Non ti preoccupare, basta che segui le istruzioni che ti darà Kai, non è nulla di trascendentale, sono sicura che ve la caverete benissimo» dicendo così spinse Kai verso di me, con entrambe le mani. «Devo davvero andare da mia mamma ora, ci si vede dopo. Ricordatevi di usare le protezioni.» Si allontanò poi, salutandoci con la mano. La mia faccia si scaldò più dalla rabbia che dall'imbarazzo.
«Intende di stare attenti a non farsi del male» disse Kai, di punto in bianco.
Ero sicura che non intendesse quello, ma non glielo feci notare. Sapevo che non era così stupido da credere veramente in quello che aveva appena detto.
Ci dirigemmo verso quel fantomatico ripostiglio, rimanendo in silenzio per buona parte del viaggio, fatta eccezione per qualche indicazione su dove andare o su qualche commento sul meteo. Non avevo mai avuto una conversazione così arida in vita mia.
«Tu e Erica siete amici da tanto, mi sembra di capire» tentai di dire io, buttando lì un argomento di conversazione a caso.
Lui annuì, mettendosi le mani nelle tasche. «Sin da quando siamo piccoli. Ho iniziato a venire in campeggio qua già dalle elementari e lei praticamente ci vive, quindi...» lasciò che la frase si finisse da sola, ripiombando nuovamente nel silenzio tombale di pochi secondi prima.
Era difficile da immaginarsi una piccola Erica, probabilmente sempre scorbutica come allora, e un piccolo Kai che facevano amicizia fra gli alberi di quei boschi. Mi venne spontaneo chiedermi se ci fosse qualche foto di loro da bambini, appesa sul muro della mensa. Ero sicura che ci doveva pur essere qualcosa e mi ripromisi di andare a guardarci appena ne avessi avuta l'occasione.
Dopo poco arrivammo ad una specie di capanno, la porta già aperta e qualche scatolone già impilato contro la parete esterna. Sembrava che qualcun altro avesse già iniziato a mettere in ordine il casino che regnava all'interno: ogni più piccolo spazio era ricoperto da oggetti, alcuni chiusi dentro scatole di cartone, altri stipati dentro grandi contenitori di plastica, ma c'era anche dell'attrezzatura sparsa in giro, senza un minimo segno di ordine.
Sembrava che l'anno prima avessero accatastato più roba possibile dentro quel piccolo edificio, rimandando al futuro il compito di mettere in ordine.
«Da dove dovremmo iniziare?» chiesi a Kai, studiando con gli occhi quello che mi si parava davanti.
Lui si passò una mano fra i capelli. Sembrava alquanto disperato.
«Prendi la prima cosa che ti capita sotto mano e vedi se sembra ancora utilizzabile. Le cose da tenere vanno messe nella pila a destra, fuori, mentre quelle da buttare o riutilizzare a sinistra» mi spiegò brevemente, mentre si metteva lui stesso ad aprire un contenitore di plastica trasparente con al suo interno quelle che sembravano diverse bandiere e stendardi delle sei cabine.
Senza fiatare mi misi anch'io all'opera, decisa a lavorare duro per finire il prima possibile.
Più aprivo scatoloni, più spostavo oggetti, più mi addentravo dentro quello spazio angusto, più sembrava che il tempo non passasse mai.
Per fortuna non sembrava esserci molta polvere. O qualche insetto. Se un ragno fosse sbucato fuori dal nulla avrei seriamente potuto iniziare ad urlare.
«Allora, come ti sembra Erica?» chiese lui ad un certo punto, cogliendomi così di sorpresa da farmi quasi cadere la palla da calcio che tenevo fra le mani, pronta a metterla nella pila di cose da tenere.
Non mi aspettavo che dicesse qualcosa e la domanda mi colse alla sprovvista. «Siamo molto diverse, io e lei» risposi dopo qualche secondo di ponderazione. «Diventare amiche sembra quasi una missione impossibile, ma credo che con il tempo stiamo imparando a conoscerci.»
Era la verità, non c'era alcun motivo per cui raccontargli una bugia. Kai era il suo migliore amico, ero sicura che sapesse meglio di chiunque altro quanto Erica avesse un carattere veramente complicato.
«Certe volte può essere un po' una testa calda, ma se le dai una possibilità sono sicuro che ti farà cambiare idea su di lei. Probabilmente entro la fine dell'estate riuscireste anche a diventare amiche, se le dai abbastanza tempo per aprirsi. È fatta così» replicò lui, prendendomi dalle mani la palla da calcio, soppesandola pensieroso. La sua faccia seria sembrava lasciar intendere che avrei dovuto lavorare veramente sodo per avvicinarmi in quel modo ad Erica, ma che, allo stesso tempo, fosse quasi necessario che io lo facessi.
Era davvero strano come, senza neanche saperlo, avessero detto praticamente la stessa cosa l'uno sull'altro.
I loro fini erano diversi, ovviamente. Lei stava cercando di farmi fidanzare con lui. Lui stava cercando di farmi diventare amica con lei. Ma il fatto che si volessero così bene da parlarmi in quel modo mi faceva sorridere.
«Spero davvero che tu abbia ragione, mi piacerebbe entrare in confidenza con lei.»
Per i restanti quarantacinque minuti l'aria intorno a noi sembrò essersi fatta leggermente meno densa. Era strano, Kai sembrava aver lasciato andare qualche peso e ora sembrava estremamente più libero. Più se stesso.
Non ero sicura di cosa fosse successo, ma all'improvviso aveva iniziato a parlottare di qualsiasi cosa, lasciandomi a malapena il tempo di replicare prima di cambiare subito argomento.
Forse voleva solamente essere sicuro che Erica mi stesse simpatica, forse non si sentiva a suo agio a parlare con me credendo che io odiassi la sua migliore amica. Forse era tutt'altra questione e io non avevo capito nulla.

Summer Nights ☆ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora