Capitolo 5 ☆ Bianca

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Tutto mi sarei aspettata da un capo-squadra fuorché lasciare il suo gruppo, senza dire nulla, per tornarsene in cabina.
Fu Alex a prendere il comando della squadra, in quanto aveva più esperienza nel campus, e dopo aver passato la serata al falò ci accompagnò alla cabina.
Quando provai a chiedere qualcosa su Erica mi dissero di non farci troppo caso, che lei era fatta così. E di non sperare di vincere il primo posto, visto che ogni anno faceva qualcosa che costava alla squadra un sacco di punti detratti.
Dicevano che lo facesse apposta, che volesse perdere, perché sua madre era la direttrice e non voleva darle retta.
Era un comportamento così infantile per una ragazza di quasi diciott'anni che quasi mi fece venire da ridere, ma tutti gli altri sembravano tristi e desolati.
«Dobbiamo solo impegnarci e cercare di vincere tutte le sfide che possiamo. Sono sicura che non potrà fare nulla se continuiamo a incassare punti» provai a dire.
Jamila scosse la testa. «È inutile, anche l'anno scorso ci abbiamo provato. Finisco sempre nella sua squadra, ma non è mai capitato che finissimo più in alto di quinti in classifica.»
Le facce di tutti erano così tristi. Mi chiesi se veramente Erica fosse così stronza da deprimere un gruppo di bambini solamente per andare contro sua madre.
«La terrò d'occhio io, farò in modo che non ci faccia perdere nessun punto. Ve lo prometto» promisi io, annuendo leggermente.

La mattina seguente, Erica non si alzò insieme a noi. Quando tutta la camerata fu pronta per andare a colazione, con le magliette viola addosso, lei stava ancora dormendo nel suo letto, sotterrata sotto il lenzuolo, come se fosse una barriera a proteggerla contro il resto del mondo.
Aspettai cinque minuti, dopo che gli altri se ne furono andati, poi scossi con foga le gambe del letto.
«Che cazzo stai facendo?» gracchiò lei uscendo dal guscio di coperte.
I suoi capelli erano tutti rizzati verso l'alto e non indossava più il trucco pesante del giorno prima. La faceva sembrare molto più giovane.
«La colazione è fra dieci minuti, non puoi perderti il pasto più importante del giorno e poi pensare di riuscire a vincere la sfida di oggi» le sorrisi sorniona.
Lei sbuffò e tornò a letto, ricoprendosi interamente con il lenzuolo. «Vi raggiungerò più tardi.»
Scossi di nuovo la base del letto, questa volta ancora più forte di quanto avessi fatto prima. «Posso continuare tutta la mattina, finché non ti deciderai a scendere e vestirti.»
«Okay, ma smettila. Non che sarei riuscita a dormire ancora dopo questo terremoto» borbottò lei, alzandosi definitivamente, scostando le coperte e facendo dondolare le gambe fuori dal materasso.
Invece di usare le scalette, come ogni altro normale essere umano, saltò giù, atterrando con i piedi nudi sul pavimento di legno scuro. Indossava solamente un paio di pantaloncini grigi e un reggiseno sportivo nero, lasciando così in bella mostra il piercing all'ombelico, i peli delle gambe e un piccolo tatuaggio poco sopra la clavicola destra.
Per qualche strano motivo mi ritrovai a distogliere lo sguardo da lei. Non aveva alcun senso, ma vederla così mi faceva sentire in imbarazzo, anche se avevo visto decine di ragazze cambiarsi negli spogliatoi scolastici mostrando molta più pelle di quella.
«Vestiti. Ti aspetterò fuori» dissi, cercando di nascondere il mio imbarazzo andando verso la porta. Le mie guance stavano per caso diventando rosse?
Come promesso, l'aspettai fuori dalla cabina, seduta su quei tronchi di legno che il pomeriggio prima avevamo usato per il gioco della palla. Quando finalmente uscì, almeno dieci minuti dopo, eravamo già in ritardo.
«C'era veramente bisogno di mettersi tutto questo eye-liner? Siamo in mezzo ad un bosco» le dissi, una volta che mi si presentò davanti. Non riuscivo a credere come avesse sprecato dieci minuti a farsi un'intera faccia di trucco, ma non si fosse cambiata i pantaloni del pigiama. E il giorno prima aveva pure trovato da ridire sulla mia gonna.
Si strinse nelle spalle, infilando le mani nelle tasche posteriori dei pantaloncini. «Ho le mie priorità.»
I suoi occhi stavano scintillando, sorridendo per qualcosa che non riuscivo ad afferrare. Mi stava prendendo in giro?
Ci dirigemmo verso l'edificio centrale, quello dove si trovava la mensa e dove la colazione stava già venendo servita agli altri campeggiatori, senza rivolgerci più parola.
Se non avessi avuto lei affianco, quella passeggiata silenziosa per i sentieri del campo sarebbe stata estremamente rilassante. Era mattina presto, il bosco era pieno di rumori gentili come il muoversi lento delle foglie o il cinguettare dei primi uccelli che si alzavano o lo sciabordare dell'acqua del lago. La brezza era fresca e l'aria non era ancora afosa come presto sarebbe diventata nel pomeriggio. Tutti erano a far colazione quindi non si sentiva nessun grido, nessuna risata, nessun rumore.
Ma con lei a pochi passi da me non riuscivo a concentrarmi su quella bellezza. Continuava a sbuffare e a trascinare i piedi, come se avesse voluto farmi sentire in colpa per averla alzata così all'improvviso. Ma non sarebbe successo.
«Sei vergine, vero?» chiese ad un certo punto, quando fummo a pochi passi dalla scalinata che conduceva al salone della mensa.
La guardai con gli occhi stretti in due piccoli fessure. Cosa centrava in quel momento?
«Intendo il segno zodiacale» disse lei, emettendo una piccola risata.
Oh.
«Sì, perché?»
«Niente, la sindrome da "io posso aggiustarla, anche se è una persona orribile riuscirò a farla cambiare" ti si addice proprio» rispose lei, salendo gli ultimi gradini e aprendo le grandi porte di vetro.
Quello non era assolutamente vero, non aveva idea di cosa stesse dicendo. Volevo solamente far sì che quell'estate fosse stata un bel ricordo per i bambini della nostra cabina e non un'esperienza orribile. Volevo che tutti si divertissero e che passassero del bel tempo assieme e non avrei lasciato che fosse lei a rovinare tutto.
Mi ero fermata, rimanendo indietro, ma la raggiunsi prima che potesse chiudersi le porte alle spalle.
Dentro i tavoli erano per la maggior parte occupati dai campeggiatori già intenti a gustare la loro colazione. I banconi di ferro erano stati riempiti con biscotti, cereali, uova strapazzate, bricchi di latte e di succo; e tutti si erano riempiti i propri piatti con quello che più desideravano.
Per la maggior parte i ragazzi si erano divisi per cabina, ma c'era qualche maglia arancione in mezzo a quelle verdi, una maglia azzurra in un mare di rossi.
Nel tavolo più vicino al centro, dove si trovava il piccolo palco rialzato, erano seduti solamente i cinque capo-squadra, anche loro intenti a mangiare e chiacchierare.
Erica si diresse verso di loro, ma prima che io potessi cercare Alex e gli altri per raggiungerli, si girò verso di me. «Vieni, ti voglio presentare qualcuno.»

Summer Nights ☆ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora