Capitolo 26 ☆ Erica

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Quando Bianca si era avvicinata al mio volto e mi aveva baciato, il mio cuore e il mio cervello erano andati in un tilt completo.
Le avevo detto io di farlo, ma mai avrei pensato che sarebbe successo sul serio. Era più una specie di scherzo, tipo una di quelle cose che dici in preda a degli attacchi di coraggio improvviso, ma da cui non ti aspetti alcun risultato concreto.
Averla così vicina a me, percepire le sue braccia intorno alla mia vita, sentire il sapore delle sue labbra, mi aveva mandato completamente nel pallone. Così continuai a baciarla e a baciarla finché le nostre labbra non furono gonfie e arrossate, finché Bianca non si staccò da quell'intreccio di sua iniziativa.
Ovviamente non la baciai solamente per quel motivo, solamente perché era stata lei a fare il primo contatto e l'unico pensiero coerente che riuscivo ad avere era una serie "Ah" e "oh". Era qualcosa che ormai volevo fare da giorni, forse anche da più tempo di quanto non avessi realizzato in principio.
Non ero mai stata una tipa da grandi relazioni, ero riuscita a far avvicinare solamente una persona in quel modo - prima di Bianca. Prima di quella serata al lago, immaginavo che, nonostante tutto, nonostante il tempo, nonostante il dolore, pomiciare con qualcuno mi avrebbe sempre ricordato di Luca.
Ma non era così.
In quel momento, con l'acqua che mi lambiva le cosce e la luna alta nel cielo, esistevamo solamente io e Bianca, il suo profumo incredibile, la morbidezza del suo corpo, il suo sapore dolce. Nulla più. Era come se una bolla si fosse creata intorno a noi, nascendo dalle profondità del lago e abbracciandoci, senza l'intenzione di farci andare via molto presto.
Mi sentivo terribilmente in colpa. Che fine aveva fatto quell'amore che tanto professavo per Luca? Dov'era finito tutto il tempo che avevamo passato insieme, tutte le cose belle e tutte le cose brutte? Dove erano finiti i miei sentimenti per lui?
Luca e Bianca si assomigliavano, ma non erano la stessa persona. Lo sapevo, ma non mi aspettavo di sentire quel senso di colpa che mi attanagliava lo stomaco.
Anche dopo che ci fummo lasciate alle spalle il lago, rimettendoci i nostri pigiami che avevamo lasciato sulla riva, ancora mezze gocciolanti. Anche dopo che Bianca continuava a ridacchiare tutta contenta e agitata e allungava il suo collo per vedere se anch'io mi sentivo vertiginosa come lei mentre rientravano nella cabina silenziosa e buia. Anche dopo che mi diede un piccolo bacio prima di arrampicarmi su per le scalette del nostro letto a castello, mi sentivo sporca, tormentata.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio, lo sguardo rivolto verso il soffitto di legno, gli occhi che vagavano da un'asse all'altra, contando quante ce ne fossero sopra il mio corpo. Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo il volto tutto rosso di Bianca, la sua bocca leggermente aperta, il suo petto che si alzava ed abbassava con foga mentre si discostava da me. I suoi occhi che mi studiavano, tutti luccicanti e gli angoli delle sue labbra che si alzavano, rivolgendomi uno dei sorrisi più calorosi che avessi mai visto.
E io continuavo a sentirmi in colpa. Perché ne ero contenta, ero felice che mi avesse baciato ed ero felice che lei e Luca non si fossero fuse in un'unica persona nella mia testa. Ma non potevo fare qualcosa del genere a Luca, non quando lui non era nella posizione di farmi cambiare idea o di riprendersi il suo posto al mio fianco.
Fu così che quella notte decisi che, a partire dal mattino, non le avrei più rivolto alcun tipo di attenzione. Avrei fatto finta che quella notte non fosse mai successa, avrei soppresso qualunque sentimento stesse fiorendo nel mio petto, avrei recitato la parte della stronza di turno.
Era l'unica soluzione possibile.
Così, la mattina seguente, mi alzai prima che il resto della cabina si svegliasse. Non avevo chiuso occhio e vagavo per il campo come una specie di zombie, alle prime luci del mattino, quando nemmeno mia mamma o mia sorella erano già sveglie.
Mi diressi alle cucine, dove i due cuochi stavano già preparando la colazione e, con il pretesto di essermi sentita male durante la notte, rubacchiai latte e cereali, per mettermi a mangiarli in un angolo della mensa.
Quella grande stanza, senza nessun altro al suo interno, completamente svuotata dalle chiacchiere e dal rumore di posate che si scontravano, aveva qualcosa di surreale. Sembrava quasi che fosse già arrivato l'autunno, quando tutti i ragazzini se ne tornavano a casa e al campo rimanevano solamente in tre.
Mangiai in tutta fretta, tracannando il latte e smangiucchiando i cereali in grosse cucchiaiate, gli occhi incollati alla ciotola e l'umore sotto le scarpe.
Sapevo che, anche se fossi riuscita ad evitare Bianca per tutta la durata della colazione, avrei comunque dovuto affrontarla prima o poi. Se avesse fatto parte di un'altra cabina sarebbe stato tutto molto più semplice, anche se il campo non era così grande da potersi non incontrare più per tutta l'estate. Ma ormai faceva parte delle libellule e, nonostante mi facesse ancora più male ammetterlo, non riuscivo nemmeno ad immaginarmi le libellule senza di lei.
Solamente quando l'orologio appeso sopra la porta della mensa rintoccò le sette e mezza mi alzai, riportando i miei piatti sporchi in cucina e nascondendomi al piano di sopra.
Era una zona sempre chiusa agli altri campeggiatori per molti motivi, uno fra i tanti era che mia madre non aveva piacere ad avere bambini scorrazzanti in giro per quella che, a tutti gli effetti, era casa nostra.
Vivere sopra la mensa di un campeggio aveva i suoi pregi, ma anche i suoi difetti.
Per la prima volta dall'inizio di giugno, rientrai nella mia camera. Non era proibito anche a me e ad Emma entrare in casa, ma sembrava quasi un tradimento al campo e alle nostre cabine ritornare a casa. Gli altri campeggiatori, in fondo, non potevano farlo. Lo trovavo alquanto ingiusto verso di loro.
In quel momento, tuttavia, mi serviva veramente un posto in cui chiudermi o tagliarmi fuori dal resto del mondo. Lì ero sicura che nessuno mi sarebbe mai venuto a cercare, la maggior parte dei ragazzi non sapeva nemmeno dell'esistenza di quel posto. Solamente Kai era riuscito a salire una volta, prima di essere scoperto da mia mamma e cacciato malamente.
Per qualche ora sarei riuscita ad evitare Bianca, senza la paura di girare l'angolo e ritrovarmela davanti. Poi, allo scoccare delle dieci, avrei dovuto fare ritorno al campo, per partecipare alle attività mattutine, ma quello sarebbe stato un problema per dopo. Per il momento esistevamo solamente io, il mio letto che non veniva rifatto da settimane e l'accesso a internet che ci era precluso dentro le cabine.

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