Capitolo 15 ☆ Bianca

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Ogni giorno che passavo al campo, ne scoprivo nuovi luoghi. Nascosta dalla fitta boscaglia, al limitare di uno dei tanti camminamenti che si intrecciavano per il campo, c'era una vecchia palestra che i campeggiatori tendevano ad usare solamente quando pioveva. Come quel giorno.
Non era facile che, nel bel mezzo dell'estate, il cielo decidesse di diventare grigio e riempirsi di nuvole, ma quelle poche volte che succedeva i caposquadra sapevano già cosa fare. Sembrava che fosse quasi una tradizione giocare a palla prigionerai nelle giornate uggiose, una tradizione che non rendeva felici i meno competitivi.
Palla prigioniera è il gioco per eccellenza in cui forza bruta, velocità e scaltrezza si intrecciano, si sa. Metà dei ragazzi sembrava raggiante. L'altra metà sembrava preferire una morte veloce ed indolore invece che partecipare a quella specie di tortura legale.
Anche Erica sembrava far parte di questo secondo gruppo. Teneva una palla da pallavolo stretta fra le mani, mentre passeggiava con grandi falcate davanti a noi, facendo avanti e indietro, la faccia contrita. La nostra squadra si sarebbe scontrata contro quella di Kai e sembrava che per lei non ci fosse potuta essere notizia peggiore. Da quello che avevo capito, la squadra vincente avrebbe preso un bel po' di punti, mentre quella perdente sarebbe rimasta a bocca asciutta.
Kai, dall'altra parte del campo, non sembrava star facendo molto per incoraggiare il piccolo gruppo di campeggiatori che stava seduto in un cerchio attorno  a lui.
«Se non la conoscessi,» mormorò Jamila al mio orecchio, «penserei che abbia paura di perdere e finire sul fondo della classifica.»
Ancora non capivo bene quella strana dinamica che si era creata fra Erica, la voglia di perdere qualsiasi sfida e il resto della squadra. Onestamente, facevo davvero tanta fatica a capire Erica in generale. Ma in qualche modo continuavo a convincermi che, con molta forza di volontà e un po' di olio di gomito, sarei riuscita a farla ragionare. O almeno, a non lasciare che le sue strane idee impedissero alle libellule di finire sul podio. Quella sarebbe stato il mio unico desiderio e la mia unica missione per quell'intera estate; ormai avevo lasciato perdere l'idea di fidanzarmi entro la fine dell'estate. Sembrava ovvio a chiunque che in quel campeggio non si nascondeva la mia anima gemella o, se lo stava facendo, si stava nascondendo davvero molto bene. Ma davvero molto molto bene. Tipo ai livelli dell'invisibilità.
Avevo iniziato a dubitare che esistesse una persona adatta a me in generale, se proprio vogliamo essere onesti fra noi.
La partita ebbe presto inizio, anche se avrei preferito che non lo facesse, e fui scelta per stare in quello che le altre libellule chiamavano "l'attacco". In poche parole, dovevo stare in prima fila, vicinissima alla riga bianca che divideva il campo da basket in due, pronta a tirare una palla a chiunque mi capitasse sotto tiro. La motivazione per quella scelta era stata solamente una: essendo una delle più alte, avrei coperto meglio la visuale nemica e i più piccoli avrebbero potuto nascondersi dietro di me, usandomi come una specie di scudo umano.
I primi minuti passarono lentamente, mentre il mio cuore iniziava a pompare sempre più veloce, preso dall'ansia ogni volta che una palla osava venire nella mia direzione. Ma stava andando tutto bene, non ero ancora stata presa di mira dall'altra squadra e non mi era ancora finita una palla in mano, quindi non avevo ancora messo in mostra tutta la forza che avevo nelle braccia. E, devo dire, che stavo bene così. Non ero sicura che, per il bene della squadra, fosse una buona idea darmi un ruolo troppo importante in quella partita.
Ero una persona competitiva, ma gli sport di questo tipo erano contro la mia natura. Forse mi era rimasto una specie di trauma dalle medie, quando giocando a palla prigioniera i ragazzi della mia classe non facevano che urlarmi addosso di muovermi di più o di metterci più impegno, ma non in modo carino ed incoraggiante. O forse era perché una volta, quando non stavo indossando l'apparecchio acustico, non avevo sentito una mia compagna dirmi di spostarmi e la palla mi era finita direttamente in faccia. Forse era per entrambe le cose.
Il fatto che avessi dovuto fare da scudo ai più piccoli e che, con molta probabilità, una palla mi sarebbe finita addosso prima della fine della partita, mi rendeva leggermente ansiosa.
«Mirate a chi sembra più lento» stava dicendo Alex alle mie spalle, a chi si stesse riferendo di preciso non lo sapevo, ma avevo una mezza idea di chi potesse essere l'anello debole dell'altra squadra. C'era una bambina che sembrava avere massimo dieci anni e, anche se sembrava una cosa un po' ignobile da fare, sembrava il bersaglio più facile. Se ne stava in prima fila, nell'angolo di campo proprio davanti a me, le mani tutte attorcigliate intorno alla stoffa della maglia, guardandosi attorno con fare preoccupato.
Così, quando l'occasione si dimostrò propizia, presi un po' di coraggio e chiesi agli altri di passarmi la palla. E con un grande senso di colpa la tirai verso la bimba.
Ho già menzionato che la forza dei miei muscoli delle braccia è praticamente inesistente? Bene, anche se la bambina si trovava a pochissimi passi da me, l'arco della traiettoria del pallone da pallavolo fu così floscio da arrivarle con leggiadria fra le braccia. E lei lo prese fra le mani come se nulla fosse.
Forse quello era il karma per aver scelto come preda qualcuno che aveva praticamente la metà dei miei anni.
Così, mi ritrovai ad essere la prima eliminata di tutta quella partita. Fu quasi una camminata della vergogna quella che feci dalla nostra metà di campo fino all'altra parte, per arrivare alla prigione.
Erica, che non stava giocando e sembrava infischiarsene delle regole, mi si avvicinò con le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni, un sorriso borioso sulle sue labbra. «Sei davvero un asso in questo gioco, non sapevo di avere una campionessa nazionale di palla prigioniera in squadra.»
Io dovetti trattenermi dall'alzare lo sguardo al cielo. O da darle un pugno in faccia.
«L'ho solo fatto per non farti sfigurare quando verrai chiamata in campo tu» replicai, cercando di sembrare il più acida possibile. Per fortuna non era difficile con Erica.
Lei portò la mano destra verso la mia spalla, dandole due piccole pacche. «Purtroppo non penso che avrai mai l'onore di vedermi giocare, però bella giocata.»
Detto questo se ne andò, fischiettando fra sé e sé.
Dopo poco, anche altre libellule mi raggiunsero nella prigione. Qualcuno riuscì anche a liberarsi, ma la squadra non sembrava avere una tattica di gioco prestabilita e alla fine ci ritrovammo con solamente un giocatore ancora in vita.
Edoardo era sopravvissuto fino all'ultimo minuto, schivando tutte le palle che gli arrivavano addosso come se fosse stato un serpente sguisciante. Ma la squadra di Kai era ancora praticamente al completo.
Non c'era alcuna speranza di vittoria e nessuno si stupì quando anche il nostro ultimo baluardo cedette, colpito dal nemico.
Inutile dire che, l'unica della squadra con un grande sorriso stampato sulla faccia, era Erica.

Summer Nights ☆ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora