capitolo 8. Come una farfalla -REVISIONATO-

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Sento le mani leggermente tremare, per questo motivo le nascondo dietro di me, così da nascondere questa mia agitazione. 
Non mi sono mai piaciuti questi eventi, mi mette a disagio condividere queste pareti con così tante persone. 
Spero solo che mio padre non faccia l'errore che commette ogni anno, nonché quello di nominare la mia malattia davanti a tutti loro.
Da una parte lo comprendo, lui è facile che adesso io stia meglio, e vorrebbe condividere questa sua felicità.
Ma non sopporterei di essere guardata ancora una volta con compassione, o, ancora, con disprezzo.
Ayla è di fianco a me, e mi dice di stare tranquilla, notando le mie preoccupazioni, le quali risaltano nel mio viso.

<<Sono lieto di annunciarvi il nostro terzo anno di matrimonio>> esclama mio padre, indicando la donna al suo fianco.

Una serie di applausi si fa spazio nella sala, e so già cosa adesso uscirà dalla sua bocca.
Lo sguardo di nostro padre va su di noi, immischiate tra la folla.

<<Invito a venire qui di fianco a noi, le mie due figlie, Addison e Ayla>> enuncia.

Speravo che non l'avesse detto, ma così non è stato.
Ayla mi incoraggia con lo sguardo di fare dei passi avanti, mentre li fa anche lei.
Con coraggio, mi avvicino a mio padre, cercando di evitare tutti quei contatti visivi.
Noto alcuni sguardi puntati su di me, mentre bisbigliano qualcosa a me sconosciuto.
Odio trovarmi qui, davanti a tanta gente.
Spero solo che questo momento finisca al più presto.

<<Sono davvero felice della mia famiglia>> esclama mio padre, posizionandoci una mano sulla spalla, con un sorriso che gli avvolge le labbra.

Per mia fortuna quel momento termina dopo pochi minuti, e io posso finalmente scappare da tutti questi sguardi.
Inizia la musica di sottofondo, e le persone si separano per andarsi a sedere nei vari tavoli presenti nella sala.
Mi avvicino ad uno di essi, insieme ad Ayla, nello stavo tavolo dove è presente mio padre e sua moglie.
Dò un'occhiata fugace al posto, e devo dire che non è niente male.
La sala è molto grande, e le pareti di quest'ultima sono avvolte di un colore grigio molto chiaro, mentre ogni spazio di essa è riempito da tavolini, di cui il colore sfocia in un bianco.
Alcune finestre presenti nella sala sono aperte, altre invece chiuse, con una tendina del medesimo colore delle pareti della sala, le quali sono ricamate perfettamente nella parte inferiore.
Oltre le finestre posso intravedere un giardino molto curato, con alcuni fari accesi tra l'erba, così da illuminarlo.
Nella sala risuona una melodia soft di sottofondo, che accoglie tutte le persone presenti.

<<Sono contento che siate venute>> nostro padre si avvicina a me e ad Ayla, pronunciando queste parole, nelle quali noto sincerità.

Poi si allontana, posizionandosi davanti al tavolino, con un bicchiere di champagne in mano.

<<Voglio brindare questa sera con voi, per festeggiare l'anniversario mio e di mia moglie>> esclama, ma prima che un'altra serie di applausi risuonasse nell'aria, aggiunge altro. <<E voglio anche brindare....>>

A questa affermazione, le mie mani come d'istinto iniziano a tremare, insieme alle mie gambe.
Sento che sta per dirlo, lo fa sempre.
Sento che dalla sua bocca sta per uscire quella frase, e quella parola, di cui sono prigioniera.
Odio che le persone se lo ricordino, che si ricordino della mia diversità.
Sento la mano di Ayla appoggiarsi sulla mia gamba, coperta del tessuto del vestito che indosso e che avvolge il mio corpo, e con lo sguardo mi incoraggia, dicendomi che sarà solo un momento e dopo di che nessuno penserà più a questo attimo.
Vorrei che fosse così, ma si è sempre rivelato il contrario.
Più mio padre metteva in risalto tale situazione, più quegli sguardi aumentavano.

<<Voglio brindare anche a mia figlia, che, fortunatamente, sembra essersi ripresa dalla sua malattia>> esclama. 

Inizio a sentire gli sguardi delle persone su di me e sul mio corpo, così intensi che posso quasi sentirli pungere la mia pelle.
Stringo con forza il tessuto del vestito che indosso, mentre sento un nodo crearsi in gola, che sembra come volermi soffocare.   Come d'istinto mi alzo, stanca di sentire tutti quegli brusii che si erano creati nell'aria dopo l'esclamazione di mio padre.
Perché l'ha fatto, nonostante gli ho sempre detto che odio che le persone se lo ricordino?
Con le mani ancora tremanti, mi escono alcune lacrime che ho trattenuto.
E avere lo sguardo di tutti i presenti su di me, mi fa mancare la forza, facendomi sentire inspiegabilmente debole.
Mio padre cerca di richiamare la mia attenzione, ma, stanca di sentire ancora quegli sguardi pungenti su di me, mi dirigo verso l'uscita di quella sala, dato che, a causa di quegli sguardi, mi sentivo come mancare il fiato.
Libero tutte le lacrime trattenute, senza freni, facendo divenire i miei occhi gonfi e rossi, con il nero del mascara che cola sul mio viso, ma io non dò importanza a ciò.
Corro via da quel posto, mentre tengo le punte del mio vestito a causa della sua lunghezza, per non inciampare.
Le mie gambe sfiorano la frescura dell'erba nella quale sto correndo con tutta la rabbia che si è impossessata di me, raggiungendo il cancello di quel posto e oltrepassando anche quello.
Il rumore dei tacchi sbatte con forza contro alcune pietroline nella strada, mentre il mio respiro diviene sempre più ansante, ma io ignoro ciò e continuo a correre per allontanarmi il più possibile da quel posto.
Vorrei urlare contro la vita, prendermela con lei e chiederle perché ha assegnato a me questo destino.
Tutti questi sguardi hanno sempre avuto ragione.
Sono costretta a convivere con una diversità addosso, e io devo solo imparare ad accettarlo.
Io, una ragazza con mille insicurezze, una  ragazza prigioniera del suo stesso caos e del suo stesso destino, chi mai vorrebbe stare accanto ad una persona simile, oltre ad Ayla? 
Solo un folle potrebbe mai decidere di starmi accanto, accettando questa mia diversità con cui un giorno, e forse non molto lontano, dovrò fare i conti.
Rallento i passi, cercando di riprendere fiato.
Un leggero venticello muove le punte dei miei capelli castani, mentre vago in una strada buia e desolata, solo con qualche lampione acceso, il quale però sembra funzionare per metà.
Potrei chiamare un taxi, ma per adesso voglio stare sola, con i miei pensieri che mi torturano giorno e notte.
Ad un tratto, però, sento il rumore di un clacson, e sposto lo sguardo su una macchina che si avvicina verso la mia direzione.
Riconosco questa macchina, e la mia ipotesi si afferma, quando il finestrino della macchina a abbassa, mostrando la figura di Royal al suo interno.

𝘊𝘰𝘮𝘦 𝘜𝘯 𝘉𝘢𝘵𝘵𝘪𝘵𝘰 𝘋'𝘈𝘭𝘪 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora