capitolo 4. La dura realtà -REVISIONATO-

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Sono distesa sul letto, mentre osservo il soffitto già da parecchi minuti, e tra le dita tengo una collana, di cui faccio dondolare in aria il ciondolo appartenente ad essa.
Penso a ieri, continuamente.
Penso al fatto che, tra non molto, avrei dovuto lasciare questa casa, e vivere con delle persone del tutto sconosciute.
E proprio tra queste persone c'è una in particolare, di cui il nome sembra torturare la mia mente, e nonostante provo a non pensarci, la mia mente non sembra voler collaborare.
Se chiudo gli occhi, mi sembra quasi di poter vedere ancora i suoi occhi verdi su di me, e nel mio corpo sembra ripetersi una serie di emozioni che mi torturano ogni volta che accade questo.

<<Avanti Addie, dovrai solo

cambiare casa->> Ayla mi fa tornare alla realtà, ma io la interrompo subito bruscamente, senza darle tempo di aggiungere altro.

<<Cambiare casa, la mia casa, nella quale ho vissuto per 19 anni e

vivere con persone che non conosco, addirittura chiamandoli fratelli. Ti sembra poco?>> alzo la testa dal cuscino, per poterla guardare meglio negli occhi mentre lei resta seduta sulla sedia accanto alla scrivania, e alzo un sopracciglio nell'ultima domanda.

<<Non devi per forza considerarli come dei fratelli, non lo sono realmente. Potresti considerarli però, come degli amici, che ne dici?>> 

<<Non voglio degli amici, sto bene così.>> butto nuovamente la testa nel cuscino con noncuranza, riprendendo a far dondolare il ciondolo della collana.

Da quando ho scoperto la mia malattia, ho iniziato a chiudermi in me stessa, senza voler nessuno accanto, oltre Ayla.
Ayla però mi ha sempre proposto di fare nuove amicizie, e di conoscere nuova gente. Lei vorrebbe per me che io vivessi una vita normale.
Ma io non avrò mai una vita normale, perché so il destino che mi aspetta, a causa della malattia che mi porto addosso.
E poi c'è già Ayla al mio fianco che mi fa stare bene, non ho bisogno di altre persone. 

<<So che è difficile, Addie. So che da quando sei venuta a conoscenza della tua malattia per te è come se la vita si fosse fermata. Ma non è così, Addie. Guarda, guarda fuori dalla finestra>> mi costringe a posare gli occhi oltre la finestra, dalla quale entrano dei raggi solari a cui per un attimo socchiudo gli occhi. <<Lo vedi? Il sole continua a sorgere, ogni giorno. Questo significa che la vita non si è fermata. Tu devi solo viverla, nonostante tutto>>

Ci vuole coraggio per vivere, e io quel coraggio non l'ho.
E il sole non è per tutti.
Per chi ha il buio dentro, non c'è luce che possa illuminarlo.

<<Non importa, preferisco stare sola.>> insisto, distogliendo lo sguardo dalla finestra.

Lei emette un sospiro, senza aggiungere più nulla.
Metto fine a quella conversazione, girandomi dall'altra parte e mettendomi le cuffie, le quali riproducono un pezzo col violino che avevo improvvisato qualche giorno fa.

La musica mi tranquillizza.

È proprio per questo che nei momenti di paura la maggior parte delle volte mi metto a suonare il violino. 

Ho imparato questo strumento anni fa, e da allora è diventata la mia cura. 

La mia cura come quando la paura si impossessa di me, quando ho quelle voci dentro come se fossero delle minacce. 

Perché la paura fa questo, è come se ti minacciasse dentro. 

Ma poi, strofino l'arco su quelle corde, è tutto va via. 

Come se la paura avesse paura della musica. 

Come se la musica è la minaccia della paura. 

Come la musica fosse uno scudo.  

𝘊𝘰𝘮𝘦 𝘜𝘯 𝘉𝘢𝘵𝘵𝘪𝘵𝘰 𝘋'𝘈𝘭𝘪 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora