Royal's pov
*FLASHBACK*
<<Allora, tu dovresti chiamarti Royal, giusto?>> la donna davanti a me, circa sulla trentina d'anni, continua a parlarmi, ma io non le dò ascolto, evitando perfino il suo sguardo. <<Ti va di conoscerci? Io sono Emma, e sono davvero contenta di conoscerti. Se hai qualche domanda per conoscermi meglio, chiedimi pure>>
Poso lo sguardo sulla donna che da quando sono entrato non fa altro che parlarmi, e osservo ogni suo dettaglio.
I suoi capelli sono lisci e morbidi, e le toccano leggermente la spalla.
Tra i capelli tiene un piccolo fermaglio dorato, che le raccoglie parte dei capelli, mentre lascia ricadere sui lati del viso alcuni ciuffi, che le incorniciano il volto perfettamente.
I suoi lineamenti sono delicati e un sorriso le avvolge la labbra rosee.
Poi, risalendo con lo sguardo, un azzurro che ricorda quasi il mare avvolge le iridi dei suoi occhi, poi noto anche le sue lunghe ciglia messe in risalto.
Mi accorgo anche di un altro particolare, un piccolo neo che le risalta sulla guancia, rendendo il suo viso ancora più bello.
Resta seduta sulla sedia, davanti a me, con le mani incrociate, mentre le braccia le scivolano lungo le gambe, incrociate anch'esse.
Dopo la sua domanda, tutto ciò che si sente in questa stanza è il rumore delle lancette dell'orologio che segnano i secondi.
Mi concedo qualche minuti per vagare con lo sguardo sulla stanza.
Un color panna avvolge le pareti, nelle quali sono presenti tanti quadri, di diversi tipi.
Un quadro, in particolare, cattura la mia attenzione.
Un quadro nel quale c'è dipinto l'alba.
Nel quadro risalta un cielo pieno delle sue sfumature, con i colori dell'alba, che sfociano su un arancione molto chiaro, e che tanto mi attraggono.
Resto ad ammirare quel quadro per qualche secondo in più, poi il mio sguardo continua a vagare sulla stanza in cui mi trovo.
Infondo alla stanza c'è una scrivania, nella quale sono appoggiate varie cose, da fogli sparsi a penne messe in perfetto ordine su un portapenne, e c'è perfino una piccola lampada accesa.
Noto, presente nella scrivania, anche due candele accese, una di colore viola, l'altra rosa, e suppongo siano profumate, dato che nell'aria si espande un certo profumo che ha già travolto le mie narici da quando sono entrato qui dentro.
Poi, i miei occhi continuano a vagare, e nella stanza noto anche una libreria, con degli scaffali avvolti di un colore bianco.
Ogni spazio di ogni scaffale è riempito da un libro, e non c'è un solo spazio vuoto.
Mi concedo qualche secondo per far travolgere la mia mente da una certa curiosità su cosa potessero mai trattare quei libri, poi decido di lasciar perdere e di posare la mia attenzione su altro.
Noto un piccolo tavolino bianco, rotondo, in un angolo della stanza.
Sopra di esso è presente una piantina, che resto ad osservare qualche secondo in più.
E infine, nella stanza sono presenti due poltrone, nelle quali in una sono seduto io, e nell'altra la donna davanti a me.
Non so chi sia, non la conosco, e sinceramente non ho tanta voglia di conoscerla, nonostante lei sembra molto entusiasta, ma io non capisco il perché, e poco mi importa.
È stato papà a portarmi qui, dicendomi che lei sarebbe stata la mia psicologa e che mi avrebbe ascoltato.
Mi ha detto che con lei potevo parlare di tutto quello che volevo, e che poteva diventare la mia amica.
Ma io non voglio amici.
E questo papà non lo capisce mai.
Lui non mi ascolta.
Ho provato a fargli capire che voglio stare solo, gliel'ho detto tante volte.
Perché papà insiste così tanto nel farmi avere degli amici?
Io non voglio amici.
Non li voglio.
Voglio stare solo.
Il mio sguardo ricade sul quadro appeso nella parete, restando ad osservare tutte le sfumature dipinte dell'alba.
L'alba mi ricorda la mamma.
Ricordo che ogni notte salivamo in terrazza, e restavamo lì ad aspettare l'alba.
Insieme.
A volte faceva freddo, e il vento picchiettava forte sulla mia pelle, così la mamma mi stringeva forte a sé, e ad un tratto smettevo di sentire freddo, mi bastava sentire il suo calore.
Restavamo lì, a contemplare le stelle, e a contarle.
Una volta gli chiesi "si possono contare tutte le stelle?".
Lei mi disse "non puoi sapere qualcosa finché non ci provi".
E così iniziammo a contare le stelle, fino ad aspettare l'alba.
Poi è andata via.
Non so perché l'abbia fatto.
Da quando è andata via da me ho continuato a contare le stelle, e ad aspettare l'alba.
Il giorno in cui andò via, e arrivò la notte, salì in terrazza, e aspettai l'alba.
Pensavo che magari la mamma aspettava l'alba per tornare a casa.
Magari, una volta che sarebbe stata alba, lei sarebbe tornata.
Però non tornava.
Mai.
Ma io continuavo ogni notte a contare le stelle, fino ad aspettare l'alba, continuando a sperare che, una volta alba, sarebbe tornata.
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𝘊𝘰𝘮𝘦 𝘜𝘯 𝘉𝘢𝘵𝘵𝘪𝘵𝘰 𝘋'𝘈𝘭𝘪
Romance❗️IN PAUSA❗️ -IN REVISIONE, SI CONSIGLIA DI NON LEGGERE OLTRE IL CAPITOLO REVISIONATO- -La paura, a volte, si impadronisce di te, prendendo il tuo posto- Addison Clark è una ragazza costretta a vivere nel buco nero della paura, a causa della sua...