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Negozio dell'Usato

L'ombrello trasparente, ormai asciutto e chiuso, veniva girato e rigirato tra le mani della ragazza, mentre analizzava le sue emozioni. Ne provava diverse e non riusciva a capire realmente quale fosse quella prevalente.

Non avrebbe mai voluto che qualcuno la vedesse piangere, era convinta di essersi asciugata le lacrime quando Jin era andato a prestarle l'ombrello, qualche giorno prima, eppure il ragazzo le aveva viste. Era felice che sul momento non lo avesse dato a vedere, ma allo stesso tempo si sentiva in imbarazzo.

Non si vergognava delle sue lacrime, era convinta che il pianto rappresentasse una più che valida e legittima valvola di sfogo, ma quel ragazzo la mandava sempre in confusione. Avrebbe voluto mostrargli la sua parte sempre felice e forte, quella che mostrava a tutti quanti. In pochi, infatti, avevano avuto il privilegio di conoscere il lato più vulnerabile, e adesso, tra questi, rientrava anche il ragazzo carino per cui aveva preso una sbandata.

Sospirò mentre si osservava le scarpe che lasciavano intravedere i calzini blu, con sopra stampato diverse copie del volto verde di un alieno. Uno dei tanti motivi per cui non approvava la divisa scolastica era appunto che non poteva esprimere al meglio sé stessa, le piaceva indossare calzini particolari, ne aveva di tutti i tipi. Aggrottò le sopracciglia al pensiero che forse Jin li avrebbe trovati strani, ma si rassicurò subito pensando che intanto non ci avrebbe mai fatto caso.

Alzò lo sguardo verso l'entrata dell'Istituto Orientale. Si erano dati appuntamento lì, dopo le lezioni del ragazzo, e nel controllare il suo orologio, fu felice di scoprire che mancavano solo dieci minuti.

Avrebbe fatto finta di niente, non avrebbe fatto parola delle condizioni in cui si trovava lo scorso pomeriggio e sperava che lo stesse facesse anche lui.

Non si ricordava neanche quando tutto fosse iniziato. Quando, di preciso, aveva iniziato ad avere questa cotta. Lo aveva sempre ritenuto un bel ragazzo, ma a un certo punto qualcosa doveva essere andata storto, non ha più saputo tenere a bada le sue emozioni. C'era stato un gesto in particolare? Si domandava, o lo ha sempre inconsapevolmente provato?

Di una cosa però era certa: doveva finire.

Eppure, nel vederlo uscire dall'Istituto, si rendeva conto di quanto sarebbe stato difficile. Una mano era nascosta nella tasca dei Jeans, l'altra reggeva il cellulare, col quale scriveva un messaggio servendosi solo del pollice. I capelli scuri e fini gli ricadevano sulla fronte e i suoi occhi a mandorla formavano delle rughette ai lati, mentre sorrideva per qualche messaggio. Camminava lentamente, in modo che Lea potesse godersi la scena e si ricordasse di chiudere la bocca, se non voleva sembrare un'idiota imbambolata.

Si portò il telefono nella tasca posteriore dei jeans e nell'alzare lo sguardo, incrociò quello di Lea. La ragazza fece istintivamente un passo indietro e deglutì.

Doveva assolutamente smettere.

«Annyeong¹!» La salutò con un sorriso dolce e mosse la mano verso la sua direzione.

La ragazza spalancò gli occhi e non rispose.

«Lea?» Rise lui. «Allora ha ragione il tuo professore a sgridarti!» La prese in giro, senza mai togliere il sorriso dalle labbra, pensando che non lo avesse capito.

Lea balbettò qualcosa e scosse la testa per riprendersi. «No, sì, cioè... Ecco, io...» Ridacchiò e si passò nervosamente una mano tra i capelli. «Mi hai colto alla sprovvista, il mio cervello è impostato sull'italiano!» Esclamò sentendo improvvisamente molto caldo.

Lui la guardò divertito e alzò le spalle senza aggiungere altro.

«No, nel senso,» riprese Lea iniziando ad agitarsi. «Essendo una delle prima parole che insegnano, ora sarei entrata a riconsegnare il mio attestato di coreano base.» Ridacchiò rilasciando tutta la sua tensione, mentre presa a camminare, diretta verso il Bonjour.

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