38

108 9 221
                                    

Ottoke 어떻게

Si portò la penna tra i denti e la mordicchiò, mentre sedeva sulla sedia girevole della sua scrivania. Ripensava a quel pomeriggio e a come avesse provato della delusione nel sentire che Lea aveva chiesto a Marco un passaggio. Certo i due erano stretti e non era la prima volta che la ragazza gli faceva una richiesta del genere, ma lui aveva dato per scontato che avrebbero fatto la strada insieme, talmente per scontato che credeva che anche lei lo pensasse. Forse avrebbe dovuto proporglielo subito invece di starsene zitto e aspettare un miracolo.

Non era mai stato bravo con le amicizie, da piccolo non facevano che prenderlo in giro, sia in Italia che in Corea, così aveva finito per isolarsi. Non valeva la pena soffrire per persone che non sapevano la differenza tra Tokyo e Seoul. Pensava che in questo modo sarebbe stato tutto più facile, non avrebbe avuto problemi di nessun tipo, ma si sbagliava, e di problemi ne ebbe eccome. Il più grande e più importante era quello di non saper socializzare.

Non lo ammetteva, ma aveva paura di essere giudicato, allontanato, deriso, così non ci provava neanche.

Allungò lo sguardo verso il suo letto, dove la divisa era stata lanciata e abbandonata a sé stessa, dopo essere stata sostituita da indumenti più comodi, come la sua tuta dei Bulls.

La sua amicizia con Marco era nata in maniera così spontanea e naturale che non se ne rese neanche conto. E allo stesso modo, notò, non si era reso minimamente conto della nascita dell'amicizia tra Marco e Lea. Non ricordava il momento esatto in cui avessero stretto e questo lo lasciava con un sentimento di confusione, che bloccò ipotizzando che si conoscessero già dalle medie.

Si passò una mano sulla fronte e finalmente liberò la penna dai suoi denti attentamente curati. Per averli così dritti e bianchi aveva dovuto subire anni di torture dal dentista, la peggiore era stata l'apparecchio, e solo il pensiero gli fece tornare dei brividi lungo la schiena.

Si alzò e portò la sua divisa al bagno, dove la infilò all'interno della lavatrice. Non aveva minimamente voglia di sentire sua madre lamentarsi con lui del fatto che doveva fare sempre tutto lei e che "nessuno dentro quella casa" le dava mai una mano.

Si ripeté a mente i passaggi che doveva effettuare e una volta attivata, sperò con tutto sé stesso di non aver sbagliato niente. Non voleva ritrovarsi con la divisa striminzita, come era successo l'ultima volta.

Sospirò e si accasciò davanti all'oblò, dietro il quale i suoi vestiti venivano affogati in acqua e sapone e fatti voltare su loro stessi. Si perse a guardare quei movimenti, mentre con la mente tornava a quel pomeriggio.

Fare la strada a piedi fino all'Istituto con Lea non era stata altro che una scusa per parlarle. Infatti, ci stava pensando ormai da giorni, quel nome gli tornava alla mente in continuazione e due giorni prima, quella donna, l'aveva anche sognata.

Avrebbe voluto dirle dei suoi genitori. Ma non aveva trovato il modo giusto per farlo.

Aerin, un po' per l'alcol, un po' per l'eccitazione del suo compleanno e delle scarpe nuove, un po' perché soddisfatta da aver risposto a tutte le loro domande e quindi dall'avere una memoria impeccabile, un po' perché forse si sentiva in colpa, aveva ceduto a Jin.

Gli aveva detto il nome, ma prima che potesse aggiungere altro, il ragazzo si era alzato, dileguandosi nella sua camera.

Nonostante fossero passati due giorni ancora non riusciva a decidersi su cosa fare. La sua impulsività lo spingeva a parlare con Lea, a dirle ciò che sapeva. Voleva aiutarla, aveva visto lo sguardo triste che aveva fatto quando lui le aveva chiesto le sue origini, qualche settimana prima, quando avevano studiato insieme.

Pesca La PaperaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora