Aveva Sempre Odiato i Bulli.

Con forza chiuse la porta del suo appartamento dietro di sé. Questa fece tremare le pareti dalle quali cadde un pezzo di intonaco bianco che andò a frantumarsi sul pavimento polveroso. Non gli interessò e si appoggiò con la schiena alla porta lasciandosi cadere a terra, mentre la sua mente gli riproiettava le ultime ore trascorse.

~~~

Doveva prendere alcuni suoi vestiti e tornare a casa Park, ma durante il tragitto era voluto andare a visitare sua madre. Jin alla fine non lo aveva accompagnato, era ancora con Lea. Marco invece aveva deciso di non pensare ulteriormente a quanto successo con lei. Aveva altri problemi a cui pensare.

Così era andato dalla mamma. Sperava sempre di trovarla sveglia, ma come ogni volta che si affacciava alla sua stanza, lei dormiva ancora. Aveva trovato spesso Federico, il padre di Valerio, seduto accanto a lei. Non sapeva da quanto i due si conoscessero, ma non si era mai realmente posto la domanda. Era contento che qualcuno stessi lì quando lui non poteva.

Quel pomeriggio però, non c'era Federico ad accarezzarle la mano, non c'erano gli infermieri a controllare i valori, né qualche collega la stava informando speranzosa delle ultime novità a lavoro. Ma non era neanche sola.

Quando lo vide, il ragazzo si immobilizzò. Aveva gli occhi fissi su di lui, le narici erano allargate dalla rabbia e la mano intorno alla maniglia era stretta e sudata.

Lui non l'aveva visto, stava mormorando qualcosa a voce bassa, fu nel momento in cui accarezzò la guancia dell'ex moglie, che il ragazzo tornò in sé.

«Allontanati da lei.» Lo disse con fermezza e con una freddezza che non pensava di possedere. Non in quel momento. Non con lui.

L'uomo si girò e quando incontrò lo sguardo del figlio sorrise tristemente. Si alzò dalla sedia e fece per avvicinarsi a lui. Di istinto Marco fece un passo indietro e la sua sicurezza vacillò.

«Sei cresciuto così tanto.» Commentò l'uomo fermandosi dov'era, aveva recepito il messaggio e non si era avvicinato ulteriormente.

«Così in fretta.» Lo corresse lui.

«Figliolo-»

«NON SONO TUO FIGLIO.» Urlò. Urlò così forte che l'uomo fece un passo indietro. Era scoppiato. Non era stabile emotivamente in quel periodo. Ogni evento, ogni persona, ogni dettaglio sembrava che gli dicesse che non meritava di essere felice.
Suo padre era l'ultima persona che avrebbe voluto vedere.

«Non sono tuo figlio.» Ripeté. La voce rotta e tremante.

L'uomo annuì e abbassò la testa verso le sue scarpe costose tirate a lucido. Allungò gli occhi verso quelle di Marco e le vide vecchie, rotte, scolorite. Il ragazzo quasi se ne vergognò.

«Marco,» Riprese il padre correggendosi. Ma il ragazzo storse la bocca. Anche il suo nome, che aveva imparato ad amare grazie all'effetto che ne faceva la voce di Lea, sulla sua era disgustoso. «Io lo so che è difficile per te, ma io non volevo lasciarti. Ti giuro, io non-»

«Tu cosa?» Fece un passo verso di lui, minaccioso. La pubertà lo aveva reso molto più alto, ma rivedeva nel padre i suoi stessi occhi, lo stesso sguardo. E lo odiava. E odiava se stesso. «Cosa? Bada a giurare, perché nessuno ti ha obbligato ad abbandonare tuo figlio di quattro anni. Di quattro anni!» Ripeté urlando e alzando quattro dita con la mano. «Nessuno ti ha costretto a non fare MAI neanche una chiamata. Neanche una visita. Ci hai eliminati dalla tua vita per crearne una nuova. Una più bella. Ma ti sei mai domandato, almeno una volta, che cazzo di fine avevamo fatto?» Era fuori di sé. Le lacrime gli rigavano il volto, la barba che iniziava a coprire sempre di più le sue guance. Gli occhi erano spalancati, rossi. Eppure ci stava provando a regolarsi. Non sapeva quanto ancora avrebbe resistito.

Pesca La PaperaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora