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Sei speciale.

Le pareti bianche davano a Lea l'impressione che si stringessero al passare dei minuti. Su queste erano appesi dei poster sulla salute fisica e mentale, dei fogli riguardanti vecchi convegni, ormai passati da mesi, e macchie di sporco.

Era seduta su una sedia di plastica, nella sala di attesa, le spalle al muro e lo sguardo rivolto verso la parete davanti a lei, dove un poster rovinato spiegava come lavarsi accuratamente le mani. Ormai lo aveva imparato a memoria, lo leggeva ogni volta che si sentiva prendere dall'ansia, o dalla rabbia, o dalla paura. Aveva perso il conto di quante volte ormai lo avesse iniziato da capo.

Sulla sua spalla, il peso della testa di Marco ormai non le dava più fastidio. Con movimenti lenti e ritmici gli accarezzava i capelli alla base del collo, era riuscita in questo modo a calmarlo, mentre piangeva fino ad addormentarsi.

Era stremato. Il suo volto, nonostante gli occhi chiusi, mostrava finalmente la verità. Non aveva più la forza, né la volontà di continuare a celare il tutto con un'ipocrita maschera.

A Lea sembrava molto più grande dei suoi diciannove anni. Gli occhi erano infossati in dei cerchi lividi, le labbra screpolate erano chiuse in una linea, il colore della sua palle era talmente pallido da sembrare innaturale, le guance, coperte da un filo di barba, erano scavate. Lea si domandava come avesse fatto a essere tanto cieca e stupida da non accorgersi prima dello stato in cui era caduto il suo amico.

Sentì una stretta allo stomaco, il viso farsi sempre più caldo e la rabbia riemergere. Si obbligò a chiudere la mano libera a pugno e tornò con gli occhi sul poster davanti a lei.

«Vuoi un caffè?» La voce di Jin le arrivò delicata e cauta.

Girò la testa verso di lui, era davanti alle macchinette ormai da una decina di minuti. Si stava concentrando su ogni merendina presente per mantenere la lucidità.

Lea gli sorrise. «Sei già al terzo.» Mormorò per non svegliare Marco. «Fai una cosa,» disse mentre allungava cautamente la mano per raggiungere la sua borsa, tirò fuori il portafoglio e lo allungò verso di lui. «Vai a prendere il pranzo, sono già le quindici, non abbiamo mangiato niente.»

Jin alzò un sopracciglio e le fece segno di levare l'oggetto. «Cosa vuoi mangiare?»

A dire il vero, aveva lo stomaco completamente chiuso, non aveva alcuna voglia di mangiare, ma sapeva che non le avrebbe fatto bene. In più, pensava che Jin avesse bisogno di prendere una boccata d'aria. «Come preferisci, è indifferente.»

Il ragazzo annuì lentamente, le prese il portafoglio che ancora teneva allungato verso di lui e glielo ripose in borsa. «Posso lasciarti sola?» Le chiese prima che potesse dire qualcosa. «Cerco di fare il più velocemente possibile, va bene?» Lea annuì lentamente, ipnotizzata, se un mese prima le avessero detto che Park Jin Oh gli avrebbe fatto una domanda del genere, sarebbe sicuramente andata in iperventilazione.

Osservò il ragazzo scomparire tra i corridoio e si lasciò andare a un sospiro. Se aveva una certezza in quel momento, era che non avrebbe mai superato la cotta per lui, e ogni giorno che passava, ogni parola che le diceva o gesto che faceva, lei si innamorava un pochino di più, soprattutto adesso che avevano iniziato a conoscersi e a condividere del tempo insieme.

Marco si mosse nel sonno riportandola alla realtà, aveva momentaneamente smesso di accarezzarlo senza accorgersene, poggiò la guancia sulla sua testa e gli passò la mano sulla schiena coperta ancora dalla divisa scolastica.

Sentì il corpo del ragazzo muoversi sotto il suo tocco e capì avesse ripreso a piangere, si allontanò così da lui, costringendolo ad alzare la testa. Gli prese il volto tra le mani e poggiò la fronte alla sua. «Devi stare tranquillo.» Gli disse con voce dolce e ferma. «Non sei solo, ci sono io e non ti succederà niente di male.» Mormorò allontanandosi leggermente per guardarlo negli occhi.

Pesca La PaperaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora