15

108 15 216
                                    

Il Mio Papà

Marco tirò giù la serranda del negozio di giocattoli con poco sforzo. La luce della vetrina l'aveva lasciata accesa, in modo tale che illuminasse il nuovo trenino con la pista da montare, arrivato qualche ora prima.

Jin si trovava appoggiato al palo della luce, davanti al Camelot, il negozio di giochi in cui il suo amico aveva iniziato a lavorare da qualche mese. Lo aveva salutato con un cenno della testa e aspettava che finisse di chiudere tutto quanto.

La lieve luce arancione illuminava i capelli castani di Marco e metteva in evidenza le occhiaie che contornavano i suoi occhi. Inevitabile fu per Jin chiedersi da quanto tempo non si faceva una dormita come si doveva.

«Andiamo.» Sospirò il ragazzo iniziando a camminare. Jin portò le mani dentro il suo giacchetto di pelle, che qualche giorno prima suo fratello aveva rovinato, e lo seguì lentamente. «Devo passare da Barbara, le devo lasciare Fuzzy Wuzzy che Melinda se l'è dimenticato da me, ieri.»

Jin aggrottò le sopracciglia, aveva detto troppi nomi tutti insieme e gli serviva qualche secondo per ricollegarli:
Barbara era la sua altra datrice di lavoro, madre dei due bambini che Marco guardava il fine settimana e il Mercoledì e il Venerdì sera. Melinda e Tobias, di, rispettivamente otto e sei anni, li conosceva dalla fine del secondo superiore, quando erano "ancora grandi quanto caccole", parole sue. Nonostante Melinda fosse già in terza elementare però, non ne voleva sapere di separarsi da Fuzzy Wuzzy, il suo orsacchiotto di peluche.

Questo spuntava col musetto peloso dalla tasca dei pantaloni di Marco, che camminava velocemente, con le mani chiuse a pugno.

Non disse niente, non gli chiese niente, camminò al suo fianco in silenzio, finché non si fermò improvvisamente davanti a un grande cancello con sopra due iniziali intrecciate: B-F.

Mentre l'amico consegnava il piccolo orsacchiotto alla sua proprietaria, Jin rimase fuori casa e alzò gli occhi verso il cielo nella speranza di vedere almeno una stella, ma le luci artificiali dei lampioni non gli permettevano di vedere altro che il buio e il piccolo spicchio di luna.

Voleva vincere agli stand, voleva aiutare la sua classe a guadagnare il più possibile, cosicché potessero andare in vacanza in campeggio, e lì, finalmente, avrebbe potuto vedere le stelle.

Il rumore metallico del cancello lo fece sobbalzare lievemente e tornare a guardare verso terra. Marco era uscito e con un gesto della mano gli fece segno di seguirlo.

Camminarono per qualche minuto, finché non arrivarono al parco centrale. A quell'ora della sera non vi era nessuno, se non qualche padrone che portava a spasso il proprio cane in tuta o già in pigiama.

Di solito Jin ci veniva la mattina presto per correre e allenarsi o, dopo il lavoro di Marco, si incontravano per qualche tiro a canestro. Invece, quella sera, si sedettero su una panchina, davanti a una fontana da cui l'acqua zampillava.

Jin non aprì bocca. Non avrebbe saputo cosa dire. Conosceva bene la situazione di Marco e non era delle migliori.

A soli cinque anni fu abbandonato dal padre, dopo aver frantumato il cuore alla madre, facendosi trovare a letto con un'altra donna. Venne cacciato di casa e allo stesso tempo dalle loro vite.

Da allora però, si poteva dire che non aveva più avuto nemmeno una madre, troppo impegnata a lavorare e mantenere la casa, da stare con lui anche solo per qualche minuto. Tornava a casa tardi, stanca e irrascibile. Marco, dopo le prime sfuriate, non ci provò più a chiederle di giocare, e rimaneva con Margherita, l'anziana vicina di casa che lo guardava durante il giorno.

Quando soffiò sopra le sedici candeline la prima cosa che fece fu quella di trovarsi un lavoro. Helena e Mattia furono per lui un miracolo, non sapeva niente sui bambini, ma accettò comunque l'incarico da babysitter per dare una mano alla madre.

Pesca La PaperaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora