Se Telefonando.
Le fitte che provenivano dalla parte sinistra del volto di Marco, lo riportarono a tanti anni prima.
Era successo in un'estate molto calda, aveva solo nove anni, l'orologio di Ben Ten gli pendeva dal polso, troppo grande per il suo "fisico da scheletro", come lo prendeva in giro suo zio. Si trovava nel cortile della parrocchia, in uno dei tanti pomeriggi in cui era costretto ad andare al Grest. Sua madre doveva lavorare e non poteva lasciarlo con nessuno, lì avrebbe fatto amicizia, si sarebbe divertito. Questo gli aveva promesso la mattina del suo primo giorno, quando disperato e in lacrime, non voleva lasciarla andare, e si era aggrappato al suo collo profumato di lavanda.
Ora si trovava seduto sul gradino, con in mano il succo di frutta alla pera, lo odiava, non gli era mai piaciuto, ma l'alternativa era l'acqua Santa e, a detta del catechista, quella serviva a cose più importanti che dissetare il piccolo Marco.
Lui e il suo triste succo alla pera, si godevano il silenzio del cortile. Gli altri bambini stavano finendo i loro disegni, lui aveva girato l'orologio, aveva scelto il mostro con i poteri più adatti, e questo gli aveva permesso di essere veloce e finire prima. Così da poter vedere sua mamma non appena fosse arrivata a prenderlo. Quella sì che era la parte migliore della giornata.
Non si divertiva come sperava di fare, gli piaceva quando i catechisti raccontavano la storia di Gesù e spiegavano alcuni suoi comportamenti spingendo i bambini a comportarsi bene. Gli piaceva perché in quel momento non era obbligato a interagire con gli altri. Poi però arrivavano i giochi di gruppo, ci aveva provato più volte, magari la prima volta era solo un caso, anche per la seconda volta le probabilità che fosse solo dovuto al caso erano alte, ma alla terza Marco iniziò a farsi delle domande: possibile che fosse l'unico bambino a rimanere sempre da solo? Nessuno lo sceglieva mai. La stessa storia si ripeteva ogni giorno anche a scuola, quindi si poteva ritenere abituato.
Ma seduto su quel gradino, mentre si rigirava la piccola cannuccia di plastica tra i denti, si domandava quale fosse il motivo. Eppure era simpatico, rispondeva sempre alle domande facendo guadagnare i punti al gruppo, era anche bravo a cantare. Ricordava che un bambino grassottello gli aveva detto che era perché era uno sfigato, talmente sfigato che neanche suo padre aveva voluto stare con lui. Marco non gli rispose, non poteva mica dire a chiunque che suo padre stava in missione nello spazio insieme ai Guardiani della Galassia, era un segreto tra lui e gli Avengers e di certo non lo avrebbe detto a un ragazzino simpatico quanto Dudley Dursley.
Ricordava con strana lucidità i rumori di passi pesanti, dei mormorii che intimavano al silenzio, e poi la vista di due ragazzi più grandi, a quell'epoca gli sembravano enormi, ma ripensandoci ora avranno avuto più o meno dodici anni. Tenevano per le braccia un bambino della sua età, così che non si potesse muovere. Uno di loro gli sferrò un pugno allo stomaco e questo si contorse dal dolore. Non ricordava con precisione il motivo di quella aggressione, poteva essere per una rara figurina dei Pokémon, per la merenda o per puro divertimento e frustrazione.
Ciò che ricordava però era quell'ondata di adrenalina che gli percorse tutto il corpo, come se non fosse lui a comandarlo, si alzò di scatto, lanciò a terra il succo e a grandi passi si avvicinò ai due bulli. Non gli piacevano quelli come loro, li trovava stupidi, non potevano che esserlo per pensare che per lavarsi la faccia dovevi usare il gabinetto della scuola. Quante volte aveva provato a spiegarglielo, ma loro lì, che lo spingevano con forza all'interno del water.
Si era sforzato di far tornare alla mente quelle poche mosse che suo zio gli aveva mostrato e senza esitazione e con molto coraggio, li attaccò.
Ricordava i pianti, oh quanti pianti! Sembravano così duri e forti, eppure erano lì a piangere e a chiamare la mamma. A lui colava il sangue dal naso, era convinto di aver perso il dente che da più di una settimana gli danzava in bocca, il lato sinistro della faccia pulsava, ma l'adrenalina ancora in corpo non gli permetteva di sentire il forte dolore che quella notte non lo avrebbe fatto dormire.
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Pesca La Papera
RomanceImpegnata nella ricerca di un'attività in cui sia brava, maledice i suoi genitori biologici per averle dato quei geni che lei reputa "rotti" e per averla successivamente abbandonata in ospedale. Arrivata all'ultimo anno del liceo, Lea sentirà il bis...