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의자 (Uija, sedia)

Jin guardava fuori dalla finestra, dove gli uccellini primaverili cinguettavano da un albero all'altro, i bambini giocavano nel loro pomeriggio libero, il sole splendeva riflettendo i suoi raggi sulle finestre degli alti edifici circostanti e obbligava i passanti a indossare gli occhiali da sole o imbarazzanti cappellini per ripararsi. Tutti gli sembravano liberi, felici, spensierati. Li invidiava. Lui non lo era.

Non era libero, era costretto a sacrificare il suo mercoledì pomeriggio a seguire due ore di lezione che non gli erano affatto utili. Sapeva già tutto. Avrebbe potuto usare quel tempo per pensare allo stand, a quel maledetto stand! Non credeva, quando aveva segnato la crocetta, che sarebbe stato così difficile farsi venire un'idea decente. Per il momento aveva solo pensato di adottare delle papere e fare un gioco in cui le dava come premio, ma c'era qualcosa che non gli tornava in quel piano.

«Park Jin Oh, hai domande?» Il professore di coreano lo guardava innervosito, si era accorto della sua distrazione.

Il ragazzo fece un bel respiro e drizzò la schiena. «Sì, posso andare in bagno?» Chiese in lingua.

Se lo sguardo del suo professore lo avesse potuto uccidere non avrebbe esitato a fare fuori Jin in quel momento, ma il ragazzo lo ignorò e, a un suo impercettibile cenno della testa, uscì dall'aula.

Passeggiava lentamente fra i corridoi, non aveva alcuna esigenza di andare al bagno se non quella di scappare dalla lezione noiosissima a cui era costretto a partecipare.

Si stava avvicinando alla macchinetta del caffè, quando la tasca destra dei suoi pantaloni vibrò. Tirò fuori il suo cellulare e rispose senza badare al nome apparso sopra. «Pronto?»

«Oh, mi è arrivato il canestro nuovo, lo vieni a provare stasera?» Dalla voce riconobbe subito Marco. Sospirò e rimase per qualche secondo in silenzio, mentre pensava. Aveva a disposizione un'uscita infrasettimanale e due nel fine settimana, teoricamente aveva già sprecato l'unica infrasettimanale quando era andato al cinema il giorno prima, ma era così arrabbiato con i suoi genitori che decise di andare contro le loro stupide regole.

«Va bene.» Rispose solamente iniziando a leggere i nomi delle diverse bevande tra cui scegliere.

«Ah, oh.» Riprese Marco. Jin sapeva che non lo stava usando col suo secondo nome "Oh", ma era solo il suo modo barbaro di chiamare le persone, sospirò e attese che andasse avanti. «Alla fine? Che hai scelto di fare?» Non gli fu difficile capire a cosa si riferisse, ma Jin non aveva ancora preso una decisione, così preferì non rispondere.

«Ci vediamo dopo.» Disse soltanto prima di attaccare.

Era diventato palese ormai anche a Marco quanto stesse in crisi per il progetto di raccolta fondi. A scuola, a ricreazione, gli aveva spiegato alcune idee che stavano mettendo in pratica con Sara e Jasmine. L'ansia lo sovrastò, erano tutti messi tempisticamente benissimo, avevano idee valide e c'era chi si muoveva per cercare il materiale e chi già le stava mettendo in pratica. Grattandosi la testa si sfogò con Marco su quanto lui si stesse muovendo a lumaca e su quanto lo invidiasse in quel momento.

L'amico si portò le mani nelle tasche del jeans e con la testa indicò alla loro sinistra, dove Lea stava disegnando sopra il tavolo di legno, verde. «Perché non lo fai con lei? Ha già delle ottime idee, me ne stava parlando stamattina.»

Non gli andava, non gli andava di stare con altre persone, soprattutto con persone con cui non era legato. Con Marco avrebbe potuto chiudere un occhio, alla fine erano amici, si vedevano spesso e a volte riusciva anche a confidarsi con lui, lo metteva allo stesso piano dei suoi amici coreani, ma oltre a loro non aveva nessuno. Avrebbero dovuto consultarsi prima di mettere quella stupida crocetta!

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