44

80 10 251
                                    

Sei una testa di ---

Lea si era sempre vantata di essere una ragazza razionale, di seguire sempre un filo logico, di pensare più volte prima di agire. Ma questa volta qualcosa era andato per il verso sbagliato. Invece di ragionare sull'accaduto, lo aveva messo da parte, o meglio, aveva provato a metterlo da parte, a ignorarlo, a far finta che non fosse mai successo.

Aveva fatto un errore.

Camminava spedita, a volte alternava una breve corsa che però rallentava quasi subito per via del poco allenamento, aveva la testa bassa verso il marciapiede e se il semaforo era rosso passava ugualmente, accertandosi che le macchine non ci fossero o fossero ancora lontane.

Arrivata davanti alla palazzina mal messa, spinse col suo indice dalla smalto rosa rovinato il pulsante grigio del citofono. Rimase attaccata per diversi secondi finché finalmente non sentì la sua voce. «Sì?» Arrivò metallizzata e lontana, lo aveva svegliato.

«Scendi immediatamente.»

«Ma chi è?» Chiese sbuffando.

«Scendi Marco o salgo io e non ti conviene.» La voce di Lea lasciava trapelare tutta la sua rabbia. Si era trattenuta per fin troppo tempo e ora si sentiva come una pentola a pressione pronta a esplodere.

Mentre aspettava che il ragazzo scendesse, scaricava il suo malumore camminando avanti e indietro davanti al portone specchiato della palazzina. A sinistra di questo, un clochard sonnecchiava su un materasso rovinato, coperto da delle lenzuola sporche che coprivano tutto il suo corpo. Accanto c'era un cappello rivolto al contrario con dentro pochi spicci, vicino una bottiglia di birra ormai vuota e una busta di carta tutta stropicciata.

Lea portò una mano all'interno dei suoi pantaloncini di stoffa a righe gialle, verdi e rosa. Dalla fretta si era dimenticata la borsa a casa, ma aveva il vizio di lasciare delle monete nelle tasche di tutti i suoi indumenti, fu così che trovò due euro e trantadue centesimi.

Si avvicinò lentamente al signore e si accovacciò per lasciare quei pochi soldi che era riuscita a trovare. Lo conosceva ed era una delle persone più buone che avesse mai incontrato.

Si chiamava Gianfranco, ma per Lea era sempre stato Franco, ed era un ottimo ascoltatore. Quell'estate in cui lei e Marco stavano insieme, Lea passava molto tempo a parlarci mentre aspettava che il ragazzo uscisse di casa, ci metteva sempre troppo tempo a prepararsi.

«Lea?»

La ragazza si girò verso il portone, davanti a questo Marco la guardava con aria stanca e confusa. Aveva i capelli spettinati, gli occhi stretti per il fastidio che gli procurava la luce del sole, indossava una maglietta bianca, che dalla fretta aveva messo al contrario, e dei jeans scuri con le scarpe ancora da allacciare.

Lea strinse i denti e si avvicinò a grandi passi a lui, per poi spingerlo con forza. «Sei un pezzo di merda!» Urlò.

Marco non oppose resistenza e spalancò gli occhi colto di sorpresa. Si era appena svegliato e gli ci volle qualche secondo per realizzare ciò che stava succedendo.

«Sei una testa di-» Si tappò la bocca e gli diede un pugno sul petto. «Con Jasmine!» Urlò ancora e sotto le coperte Franco si mosse.

Marco la bloccò per i polsi affinché non potesse colpirlo ulteriormente, lei fece per divincolarsi ma il ragazzo strinse con più forza e la scosse così che potesse tornare in sé. «Datti una calmata, Lea.» Le disse piano, ma dallo sguardo che la ragazza gli lanciò, capì che non era stata una mossa saggia.

«Perché lei?» Urlò ancora.

Marco la liberò dalla presa e questa tornò a colpirlo con forza. La lasciò fare, se lo meritava.

Pesca La PaperaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora