p r o l o g o

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Città del Messico

HUNTER


«Dov'è finito il carico di merce, Montoya?» Sbattei ferocemente il palmo della mano sulla mia scrivania, eccessivamente infuriato. «Esigo delle spiegazioni!»

Deglutì ma la sua bocca era asciutta come i deserti delle sue terre. «Hunter, io...-credimi, ci sto lavorando!»

Ghignai ironicamente. «Ci stai?-...Ci stai lavorando? Duecento milioni di dollari sono finiti chissà dove e tu ci stai lavorando? Che cazzo significa che ci stai lavorando, coglione? Non ci devi lavorare ma ti dovevi occupare personalmente di quel carico e delle mie attività lucrative. Quel container è partito dalla Russia a bordo di una nave. Ha attraversato l'oceano come un fantasma per giungere qui in Messico e tu ne hai perso ogni traccia? Sai che cosa succede se la polizia messicana confisca quel container, eh Montoya? Lo sai?»

«Non credo che c'entri la polizia!» Osò dire mentre le gocce di sudore che avevano imperlato nervosamente la sua fronte scesero lungo il suo volto. «E se fosse stato il Cartello?»

«Il Cartello dici?» I formali gruppi criminali impegnati sia nell'importazione che nell'esportazione di stupefacenti, specialmente cocaina, di cui io stesso e la mia famiglia ne facevamo parte. «Forse non ti è chiara una cosa...» mormorai a quell'idiota perdendo ogni briciolo di pazienza rimasta nel mio corpo «... sono io il Cartello, Montoya! A Sacramento saprei come comportarmi poiché la polizia sta sotto di me e siamo intoccabili, ma queste non sono le mie terre ed io posso fare ben poco, è per questo che mi sono rivolto a te, imbecille! Fa che quel carico giunga a Sacramento entro-...»

«Signor Black...» m'interruppe nuovamente Tristan costringendomi ad ignorarlo di nuovo.

«-....entro giovedì, o giuro che ti apro un buco in faccia!»

«Signor Black..?»

«Non ora Tristan!» Ebbi solo un attimo per rivolgere uno sguardo al mio migliore amico nonché braccio destro sin da quando eravamo bambini. Eppure, gli avevo detto mille volte di non irrompere nel mio studio nel bel mezzo di un incontro davvero importante con il figlio maggiore di una delle più grandi teste della mafia messicana. Restò lì impalato, accanto alla porta, per tutto il tempo in cui discussi con colui dei miei affari.

Afferrai la pistola che mio padre aveva donato a me, una revolver Python 4.25", precedentemente appartenuta mio nonno, la scaricai di tutti i proiettili tranne uno ed infine gliela puntai mentre si dimenò sulla sedia letteralmente terrorizzato. «Hunter...Hunter, ti prego! Ho famiglia-...No! No..!»

Presi bene la mira e a sangue freddo premetti l'indice sul grilletto facendo partire un colpo a vuoto che per qualche strana ragione mi lasciò l'amaro in bocca. Forse sarebbe stato più appagante se solo lo avessi tolto di mezzo facendo un favore a tutta l'umanità. «La sorte ha deciso per te...» esclamai mentre lui ansimò «...hai tre giorni di tempo, Montoya, non farmi pentire per averti graziato!»

«Hunter!»

«Che c'è?» Sbottai con ira finché gli occhi scuri del mio amico, velati da un tumulto di terrore e tristezza mi fecero provare una fitta al cuore. Guardò prima Montoya ed infine me, al che, congedai il messicano affinché lasciasse me e Tristan da soli nel mio studio. «Che c'è? È successo qualcosa a Sacramento? Parla Tristan!»

Tirò un lungo sospiro che dissolse ogni mio dubbio, dopotutto, non lo avevo mai visto in quelle condizioni, infine annuì, lasciandomi in apnea.

Fu così che cinque anni prima, all'età di ventitré anni appresi la notizia della prematura morte di mio padre. Non si seppe mai chi fosse stato il responsabile ma qualcosa dentro di me mi diceva che i Keller c'entrassero qualcosa. Eravamo le due famiglie più temute della contea, costantemente prigionieri di una leggendaria rivalità ed insormontabili faide ; ci contendevamo affari e territori e non potevano che essere stati quei vigliacchi. Non era rimasto nulla di lui, l'avevano ridotto in brandelli, sparso come cenere, un chiaro messaggio a tutti noi affinché ci allontanassimo dalla California prima che la stessa sorte toccasse anche a noi. Da quel giorno, però, distruggere i Keller e vendicare la morte di mio padre era diventata la mia priorità nella vita e di certo il nostro rientro in città avrebbe spiazzato tutti quanti, loro compresi.

Loro per primi.

Tristan si accomodò sul sedile in pelle del mio jet privato. Indossò i suoi occhiali da sole e ci riempì un paio di bicchieri di cognac.

«Grazie.» Mormorai pensieroso, cosa che non gli sfuggì anche se evitò domandarmelo conoscendomi meglio di chiunque altro al mondo. «Il Karma è già operativo?»

«Già da un paio di settimane. Quel luogo è stato totalmente rimodernato e tutti a Sacramento si domandano a chi appartenga. Credimi, sarà una grossa sorpresa quando scopriranno che il night club è tuo ed in tutta franchezza, amico mio-...» il rumore dei nostri bicchieri scontrati dal mio amico echeggiò all'interno del velivolo «...-non vedo l'ora di assistere alle loro facce. Sai, non credo che saranno molto felici del tuo rientro e questa cosa li farà arrabbiare parecchio.» Rise.

«È proprio questo l'intento.» Annuii prima di sorseggiare l'alcool. Il locale ci sarebbe servito per il riciclaggio del denaro proveniente dalle mie innumerevoli attività. «Manterremo il profilo basso, almeno inizialmente. Dopodiché agiremo...» dissi pacato «...voglio che nessuno di loro la faccia franca. Intesi?» Esclamai determinato. «Non rimarrà traccia dei Keller a Sacramento, fosse l'ultima cosa che farò.»

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