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ABEL


«Gran bella serata, non è vero? Sai avrei rivisto un po' il tuo discorso di inizio incontro ma tutto sommato la chiacchierata è stata alquanto piacevole.»

Mandai via con un cenno di capo uno dei miei uomini non appena Victor mi raggiunse con un paio di bicchieri stretti nelle sue mani.

«Tequila liscia. Pura! Proviene dalle vostre zone.» Abbozzò un ghigno cinico, tipico di lui non appena gli rivolsi una lunga occhiata. Il suo atteggiamento parve strafottente, degno di chi aveva le spalle protette da gente ben più importante del Cartello. Forse le voci che circolavano sul suo conto, in merito ad un tradimento della sua patria, erano veritiere.

Lasciai il bicchiere su un tavolino lì accanto mentre lui seguì il gesto della mia mano fingendosi oltraggiato dalla mancanza di rispetto. Suo figlio, invece, restò in disparte a guardarci in lontananza.

«È così che accogliete gli amici? Credevo foste più ospitali da queste parti.» Sogghignò stuzzicandomi, bevendosi la sua tequila in un colpo solo. «Sai, Abel, ti conosco da così tanto tempo e non mi piace affatto lo sguardo che mi hai rivolto nell'arco di tutta la serata.»

«A sì?»

Annuì. «Già, e mi chiedevo se ci fosse qualche tipo di astio lasciato in sospeso, nonostante a me non risulti.»

Gli sorrisi in modo lieve non convincendolo affatto. «In tal caso credo che tu non debba preoccuparti di nulla.»

«Me lo auguro per te.» Diede una pacca sulla mia spalla non lasciandomi più alcun dubbio. Stava facendo troppo lo spavaldo e la cosa mi puzzò parecchio. Strinsi forte i denti tendendo i muscoli della mandibola, allontanando la sua mano da me.

«E dimmi, come sta tua nipote?»

«Mia nipote?» Sollevò le sopracciglia incuriosito accendendosi un sigaro. Probabilmente non si aspettava una domanda simile. «Oh, Luna sta bene. Ne vuoi uno?» Mi avvicinò il contenitore ma rifiutai con un cenno di mano.

«La tua vera nipote...» riformulai la domanda, lasciandolo perplesso per qualche secondo  . Dopotutto, ero l'unico a sapere meglio di chiunque altro i suoi segreti «...la figlia di Jeremy. Ricordami come si chiama?»

Mi fissò.
La sua espressione facciale mutò in un batter di ciglia e mi accorsi che avessi toccato il suo punto più debole quando della sua espressione da sbruffone non restò più niente.

Temporeggiò a rispondermi, ciononostante era un uomo scaltro ed avevo sempre avuto rispetto per la sua pacatezza in merito alle faccende famigliari. Nessuno meglio di lui riusciva a gestirle così bene . «Sta bene anche lei.»

«È tornata a Sacramento?»

«No.» Rispose. «Studia fuori paese.»

«Certo, immaginavo.» Gli rivolsi un sorriso e cacciai fuori la pistola dalla tasca premendogliela  di soppiatto sull'addome, senza che nessuno in quel baccano se ne accorgesse. «Dove sono i soldi del Cartello, Victor? I tuoi affari vanno alla grande, eppure, i versamenti nelle tasche dell'organizzazione che ti dà il pane scarseggiano. Alquanto strano, non è vero? Eppure, noi non abbiamo mai ritardato la merce quando si trattava di te.»

Guardò l'arma, sorrise e poi riportò i suoi occhi nei miei facendosi qualche domanda. «Che cosa fai?» Non abbassò la pistola. Non provò neppure ad allontanarsi. In realtà, non gli convenne. Mi conosceva molto bene e sapeva che non ci avrei messo molto a staccargli i coglioni.

«Ciò che si fa con i traditori. Allora?»
Insistetti.

«Avevo ragione...» mormorò acchiappando l'arma con la mano per allontanarla «...non siete affatto ospitali.»

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