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IVY


Inspirai a fondo con gli occhi puntati sulle piccole luci della città. Avevo il vento tra i capelli ed i gomiti appoggiati sul parapetto in vetro dell'attico dove lui mi aveva portata. Il suo sguardo bruciava così ardentemente la mia schiena, a pochi metri di distanza da me, che un calore indescrivibile si espanse lungo in tutto il mio corpo. Da cima a fondo. Mi sembrava di sognare. Mi sentivo così libera in sua presenza che pensai sarei stata quasi capace di fluttuare in aria con la leggerezza di una piuma. Che sensazione! Libera da ogni catena, da ogni preoccupazione o da qualsiasi peso immane che ingiustamente mi ero trascinata negli anni.

«A che cosa pensi?» Bisbigliò scostandomi i capelli, affinché appoggiasse il suo mento sulla pelle nuda della mia spalla sinistra. Una delle sue mani si avvinghiò attorno al mio fianco per poi premersi sopra il mio addome, mentre l'altra reggeva un bicchiere di Whiskey.

La punta del suo naso sfiorò la pelle della mia gota . Mi annusò per un po' ed infine su quello stesso punto appoggiò la sua bocca con tanta di quella tenerezza che per poco non mi sciolsi. «A come riesci a liberarmi dalle mie ferite.» Parlai, preda delle sue interminabili ed intense lusinghe. Cercò disperatamente i miei occhi ed io lo accontentai voltandomi di poco. Eravamo così vicini che respirammo nelle bocche di l'un l'altra. Mi fissò per un po', quasi studiandomi. Era vero che io non sapevo nulla sul suo conto, tuttavia, neppure lui sapeva niente di me e mi stava più che bene perché mai nessuno sino a quel momento era riuscito a farmi sentire così impavida. Così desiderosa di sorridere, di rischiare tutto o di ...vivere.

«È impossibile liberarsi delle proprie ferite.» I suoi occhi si rattristarono, come se si fosse appena accorto che quelle parole mi avrebbero fatto perdere le speranze. La cruda e reale verità da cui provavo a fuggire. Stampò un bacio sopra la punta del mio naso non rompendo il contatto visivo con me per nessuna ragione al mondo, mentre il mio corpo si eccitò in maniera davvero incredibile.

«Lo so...» mormorai tornando alla realtà rivolgendogli anche un sorriso che mi partì direttamente dal cuore «...però in qualche modo tu quelle ferite riesci a rendermele insignificanti.» Mi ascoltò attentamente, sfregando appena le sue labbra sulle mie, da una parte all'altra. «Quando sto con te non fanno più così paura o così male. Non pesano più. Si annullano, capisci? È assurdo, non so niente su di te, eppure, celi una tale immensità dietro questi occhi che ogni volta che si posano su me hanno la capacità di calmare la mia anima in fiamme.» Si mordicchiò lentamente le sue labbra dove dopo averci posato i miei occhi, sollevai la mano e gliele accarezzai con il pollice affinché smettesse di fare quel gesto. «Con te mi sento giusta, nel bene e nel male, e non ho mai desiderato di trovarmi altrove se non in tua presenza.» Ma lui non poteva capire. Il suo sguardo si spense e lui parve irrigidirsi alle mie parole. Forse avevo corso troppo dando sfogo al mio povero cuore? Dopotutto, da quanto lo conoscevo? Poco più di un paio di settimane? «Io non ho diciassette anni. Io ho diciassette giorni di vita. Diciassette, esattamente come quelli passati da quando ti ho incontrato.»

Si scansò. Pensai mi avrebbe baciata, ma lui si allontanò immediatamente da me dopo quella dichiarazione. «Vieni, ti riporto di sotto.» Parlò in modo pacato dandomi le spalle mentre le palpitazioni del mio cuore furono quasi impercettibili nel silenzio della notte.

«C-..che cosa ho detto di sbagliato?» Domandai preda dei sensi di colpa vedendolo bersi in un solo sorso l'alcool rimanente nel suo bicchiere che in seguito appoggiò su un tavolino lì accanto.

«Niente.» Mormorò, quasi tormentato, non degnandomi neanche di uno sguardo, al che, le lacrime mi punsero gli occhi. Non riuscii a digerire quella sensazione strana che percepii alla bocca dello stomaco e che poi si diramò in tutto il mio corpo con tanta di quella velocità che mi sentii destabilizzata e confusa.

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